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La donna a casa, l'uomo a lavoro...

La deprimente situazione delle donne del Sud, intrappolate dai classici, stupidi stereotipi duri a morire

22 marzo 2008

Si conosce benissimo l'assurda e ingiusta disparità che esiste tra uomo e donna, disparità che interessa tutte le sfere possibili e immaginabili. Alla stessa maniera conosciamo altrettanto bene il gap esistente tra Nord e Sud, distanza oramai proverbiale e che sembra dover rimanere per sempre. Ecco, immaginatevi la difficile situazione che possono vivere la donna del Sud Italia. Deprimente.
In questo articolo vogliamo affrontare alcuni aspetti di questa tematica tanto problematica e descrivere alcune delle realtà che le donne del sud sono costrette a vivere.

La donna a casa, l'uomo a lavoro - Diversi rapporti, analisi e studi ci dicono che il Sud Italia è la parte dell'Italia dove è è più alta la percentuale di coppie tradizionali. Oltre un terzo, infatti, è organizzato secondo il modello classico: la donna rivestire il ruolo di casalinga e l'uomo quello del lavoratore che sostiene la famiglia economicamente e contribuisce poco alla gestione della casa.
A ricofermare la costante presenza di tale stereotipo è una ricerca condotta dall'Istituto Iard sulle giovani coppie italiane, incaricato da una multinazionale leader nei prodotti utilizzati per l'igiene personale e della casa.
Secondo l'indagine condotta nelle regioni iataliane del Sud le coppie tradizionali raggiungono il 37% a differenza del 19% del Centro e del 18% del Nord.
In Sicilia questa percentuale cresce fino al 50%, ovvero una coppia su due. La Sicilia, dunque, continua ad essere ancora molto legata al modello di famiglia tradizionale, ma rispetto alle altre regioni italiane, la cura dei figli è affidata ad entrambi i genitori. Il dato emerge nella metà delle famiglie siciliane.

Quindi, stando ai dati della ricerca, nelle giovani coppie isolane troviamo ancora la donna come ''angelo del focolare'' e l'uomo che ogni giorno va in ''missione lavorativa''. Ll'unica differenza sembra essere la mutazione della figura paterna, non più monolite imperscrutabile da rispettare con devozione da una certa distanza, ma attivamente partecipe alla vita affettiva della famiglia.
Nonostante l'avvicinamento del papà ai figli, sempre secondo questa ricerca, un capitolo a parte ha la cura dello studio dei propri figlioli. In Sicilia come nelle altre regioni della penisola, è solitamente la madre ad occuparsi della vita scolastica dei figli, ma nel 20% delle famiglie siciliane c'è però anche la collaborazione del papà.

Nella ricerca, poi, le coppie italiane sono state suddivise in tre gruppi, tenendo conto del lavoro domestico della donna, del suo status occupazionale (lavoratrice o casalinga) e del grado di partecipazione dell'uomo alle attività della casa. Le tre tipologie individuate sono state: la coppia tradizionale o "all'antica", (anni '50- '60) che costituisce il 26% del campione totale; la coppia a doppia presenza, a cui appartengono il 38% delle giovani coppie italiane; e infine il modello del futuro, la coppia collaborativa, che si posiziona al secondo posto con un 36%, un modello che risponde al cambiamento in atto nella società moderna in cui la donna, più istruita e ambiziosa, è più partecipe al mercato del lavoro. In alcuni casi la donna svolge il ruolo di lavoratrice e svolge lavori domestici.

Ora, senza nulla togliere alla validità dei dati della ricerca finora elencati, la situazione fin qui descritta, avulsa dalle implicazioni più profondamente socio-culturali (principalemente perché trattasi di un'analisi richiesta da una ultinazionale leader nei prodotti utilizzati per l'igiene personale e della casa, e non dal ministero della Lavoro, della Famiglia o delle Pari Opportunità), la situazione economica e sociale delle donne è veramente un nodo complicato da sciogliere e che fa poco onore alla cultura sociale nazionale.
Rimanendo sempre nel Sud Italia, se ad esempio andiamo a dare un occhiata ai dati raccolti recentemente dall'Osservatorio di genere di Arcidonna, notiamo chiaramente come continua ad essere profondo il gap che separa donne e uomini in Sicilia, dalla formazione al mondo del lavoro. Secondo i dati diffusi nei giorni scorsi da Arcidonna, nel corso della conferenza stampa di presentazione della campagna "Non pensare a sesso unico", ideata da Feedback e rivolta alla lotta agli stereotipi di genere, a un anno dal conseguimento del titolo accademico solo il 35% delle donne laureate in Sicilia ha un'occupazione, contro il 42,2% dei maschi laureati nei tre principali atenei dell'Isola (Palermo, Catania e Messina).
Il divario tra dottori e dottoresse, come dimostrano gli ultimi dati di AlmaLaurea, si riscontra anche a livello retributivo: la media degli stipendi delle laureate occupate è di 848,5 euro netti mensili contro i 1.172 euro netti mensili dei maschi. Una differenza del 27,5%, il doppio di quella che si riscontra sul suolo nazionale (13,5). Che le donne trovino ad un anno dalla laurea un'occupazione di qualità inferiore agli uomini lo si evince anche da un altro dato: i maschi con un contratto di lavoro a tempo indeterminato sono il 54,5% contro il 40,7 delle femmine [leggi ''L'Italia immobile dei laureati'' di F. Pace].

"Il problema - sostiene Valeria Ajovalasit, presidente nazionale di Arcidonna - è che in Sicilia continua a prevalere un orientamento culturale secondo cui il lavoro è per le donne una scelta di second best. Per questo, ci è sembrato opportuno realizzare una campagna di comunicazione integrata per combattere questo fenomeno. Partendo proprio dagli stereotipi di genere, da quei processi che stanno alla base della riproduzione sociale delle discriminazioni. Il motto "Non pensare a sesso unico" sarà il filo conduttore ideale del nostro progetto, "Laboratorio di Pari Opportunità: pratiche per il superamento degli stereotipi", finanziato dall'Unione europea con il Programma Equal (II Fase). Un progetto che coinvolgerà l'università, le scuole, i sindacati e le imprese. Ossia quelle istituzioni sui cui è necessario agire per realizzare una reale democrazia paritaria".

Altri dati sconfortanti sono quelli realtivi alle scelte di studio dei giovani siciliani: presa in considerazione l'intera popolazione femminile iscritta alle quattro università dell'Isola nel 2007, solo il 34,4% opta per i corsi ad indirizzo scientifico, contro il 61,7% dei colleghi maschi.
Riprendendo ancora Alamalaurea, a un anno dal conseguimento del titolo il 76,5% dei laureati italiani in Ingegneria ha già un lavoro. Esattamente al contrario di quanto avviene per i laureati delle facoltà umanistiche, con percentuali di occupazione che vanno dal 47,7 del gruppo letterario al 58,4 del gruppo linguistico. Detto in altri termini, le scelte formative delle giovani siciliane vertono sui percorsi che, alla prova del mercato del lavoro, si rivelano più deboli.

Al di la di tutto, e qui lanciamo un sassolino senza voler accendere polemiche, vogliamo chiedere alle donne, alle politiche donne, se per caso non è remare contro loro stesse prestarsi a giochi (e ribadiamo: giochi) come quello di rispondere a frivole interviste nelle quali l'intervistatrice chiede se preferiscono il reggicalze o collant, perizoma, slip o culotte? [Intervista di Giulia Cerasoli a Dorina Bianchi (candidata al Senato in Calabria nel Pd), Anna Finocchiaro (presidente del gruppo del Pd al Senato e candidata a presidente della Regione Sicilia), Stefania Prestigiacomo (Pdl), Laura Ravetto (Pdl), Alessia Mosca, (responsabile politica del lavoro del Pd) e Chiara Moroni (Pdl), pubblicata in questi giorni dal settimanale Chi).

- Donne e lavoro: se l'Italia è penultima in Europa... (Guidasicilia.it)

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22 marzo 2008
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