La fiaccola olimpica sul tetto del mondo
Il fuoco olimpico è arrivato sull'Everest grazie a un gruppo di alpinisti cinesi
Il Fuoco di Olimpia ha raggiunto il punto trerrestre più consono per far sentire il proprio calore agli dei: la fiaccola olimpica ha raggiunto oggi la cima più alta del mondo, quella del monte Everest (Qomolangma in tibetano), a 8.848 metri di altezza.
Le fasi finali dell'ascesa di un gruppo di alpinisti cinesi sono state trasmesse dalla televisione di Stato cinese, la Cctv. Per compiere l'impresa la fiaccola è stata divisa in due, e gli alpinisti hanno atteso per due settimane al campo base sul versante cinese della montagna che si verificassero le opportune condizioni atmosferiche.
Malgrado le violentissime raffiche di vento e una temperatura inferiore ai 30 gradi centigradi, a risolvere la situazione è stata la "finestra" che si è aperta all'improvviso nella bufera di neve che aveva finora spazzato la vetta, vanificando gli sforzi precedenti durati giorni e giorni.
"Tutti i gruppi etnici della Regione autonoma tibetana sono estremamente orgogliosi", ha commentato in tono trionfante Wu Yingjie, vice presidente esecutivo del locale governo filo-cinese. "L'etnia tibetana, in particolare, per questo importante evento ha profuso grandi preghiere".
Ad aprire la staffetta decisiva era stata la 39enne cinese Ji Ji, l'altra donna del drappello, vedova: suo marito, Rena, rimase ucciso tre anni fa quando una frana si abbattè sul suo veicolo, mentre era diretto al campo-base per tentare l'ascesa agli 8.080 metri del Gasherbrum 1, un altro dei giganti dell'Himalaya.
Il difficile viaggio della fiaccola olimpica, da sempre viaggio d'armonia e di pace ma che quest'anno è stato segnato dalle contestazioni degli attivisti dei gruppi per i diritti umani, finirà a Pechino nel giorno dell'apertura delle Olimpiadi, l'8 agosto.
Il dialogo tra il Tibet e la Cina - A Dharamsala, nel nord dell'India, sede del governo tibetano in esilio, hanno parlato ai giornalisti i due inviati del Dalai Lama, Lodi Gyari e Kelsang Gyaltsen, tornati tre giorni fa dalla Cina dove hanno incontrato le autorità di Pechino per discutere di Tibet. Lodi Gyari ha detto che nonostante ci fossero grandi divergenze fra le parti, il dialogo è stato sereno. Gli inviati hanno chiesto a Pechino il rilascio dei prigionieri arrestati durante i moti di Lhasa del marzo scorso così da poter garantire loro assistenza medica, e hanno rigettato le accuse secondo le quali sarebbe il Dalai Lama a organizzare le manifestazioni anti cinesi, confermando che il leader tibetano sostiene le Olimpiadi di Pechino. Gyari e Gyaltesn hanno inoltre chiesto la fine della rieducazione culturale in Tibet che sta totalmente annullando la cultura e le tradizioni tibetane nella regione a scapito di quelle cinesi. Gli inviati hanno parlato di volontà espressa da entrambe le parti di risolvere la situazione. Presto verranno decise le date per altri incontri.
Il presidente cinese Hu Jintao, invece, ha invitato il Dalai Lama e i suoi sostenitori a mostrare "sincerità" accusandoli nuovamente di essere i responsabili della rivolta in Tibet e del tentativo di danneggiare le Olimpiadi di Pechino.
Hu ha detto che i recenti colloqui delle autorità cinesi coi rappresentanti del leader buddista del Tibet in esilio sono stati "coscienziosi e seri" e che le due parti hanno convenuto di continuare a restare in contatto. Ma il presidente cinese ha anche attribuito ai sostenitori del Dalai Lama la recente rivolta in Tibet, affermando che essi operano per danneggiare la vetrina dei Giochi olimpici di Pechino ad agosto.
"Speriamo che la parte del Dalai userà le proprie azioni per mostrare sincerità", ha detto il presidente Hu nel corso di una conferenza stampa, invitando i sostenitori del leader buddista a smettere di creare problemi e di cercare di separare il Tibet dalla Cina.
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