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La fretta del boss stragista impaurito dalla Giustizia. Anche a Catania si lavora sulle stragi di mafia del '92

La mafia aveva paura, decise così di far esplodere i suoi acerrimi nemici

22 novembre 2004

Anche a Catania si lavora sui collegamenti fra le stragi di Capaci, dove morì il giudice Giovanni Falcone, e quella di Via D'Amelio dove perse la vita il giudice Paolo Borsellino.
La ricostruzione della strategia stragista dei boss di Cosa Nostra ''per arrivare a trattare nel '92 con le istituzioni'', è stata al centro della prima parte della requisitoria del pg di Catania, Michelangelo Patanè, nel processo che riunisce i procedimenti per le stragi di Capaci e via D'Amelio, in cui vi sono 16 imputati, per i quali la Cassazione ha annullato lo scorso anno, con rinvio, le condanne a loro carico. Il processo si svolge nell'aula bunker del carcere di Bicocca, davanti ai giudici della seconda sezione della corte d'assise d'appello di Catania.

''La strategia del terrore voluta da Totò Riina - ha affermato il pg di Catania, ripercorrendo le accuse su cui i giudici di Caltanissetta hanno emesso due anni fa sentenze di condanne all'ergastolo - tendeva ad avere nuovi referenti politici in modo da ottenere nuove norme legislative che potevano favorire Cosa nostra, così come la riforma dei processi per mafia e il 41 bis''. ''Per raggiungere questi obiettivi - ha aggiunto il pg - i boss decisero, nel corso di alcune riunioni che vennero tenute fra febbraio e marzo 1992, di mettere in atto 'la strategia' e venne dato il via alle condanne a morte dei 'traditori' che non avevano mantenuto gli impegni con l'organizzazione e fra questi Salvo Lima, Nino Salvo, Calogero Mannino e Claudio Martelli; e per i nemici storici dei boss, i magistrati Falcone e Borsellino e il questore Arnaldo La Barbera».

L'accusa ha sostenuto che ''Borsellino aveva manifestato pubblicamente di scoprire gli autori dell'omicidio del suo amico'' e in questo modo ''si sarebbe rafforzata ancora di più nell'organizzazione mafiosa l'idea di ucciderlo''. ''Riina - afferma Patanè - dopo la strage di Capaci, secondo alcuni pentiti, era preso da una frenesia che lo portò a compiere l'attentato di via D'Amelio, e avrebbe scelto di anteporre l'uccisione di Borsellino a quella di Mannino, perché aveva fretta. La sentenza di morte nei confronti del giudice era già stata emessa, da tutti i capimafia, nelle riunioni di febbraio e marzo; ma in seguito, a causa della ristrettezza dei tempi, non riuscì a consultarli nuovamente, anche se aveva già il loro consenso''. Il magistrato ha poi parlato delle riunioni a cui una parte dei componenti della cupola avrebbero partecipato fra maggio e giugno '92 per mettere a punto l'attentato.
La requisitoria proseguirà il 3 dicembre prossimo.

Fonte: La Sicilia

Attentato di via D'Amelio

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22 novembre 2004
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