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La Grande Malata

La giustizia italiana sta sempre più male. Il nuovo anno giudiziario italiano comincia tra le contestazioni e le proteste.

14 gennaio 2005

Inizia in un clima di contestazione il nuovo anno giudiziario. Domani nel capoluogo siciliano ci sarà la cerimonia di inaugurazione, una cerimonia che verrà disertata  dai magistrati del distretto di Corte d'appello di Palermo. Le toghe palermitane, infatti, hanno deciso di non presentarsi alla cerimonia ordinaria ha cui parteciperà il ministro della Giustizia Roberto Castelli, e indire in contemporanea una contromanifestazione.
''I magistrati del distretto di Palermo - si legge in una nota diffusa da giudici e pm -, ad eccezione di quelli della corte d'Appello che, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, dovranno assicurare la regolarità formale dell'Udienza di apertura dell'Anno Giudiziario, si ritroveranno a Palermo, in piazza della Memoria, alle ore 9.00''. ''L'iniziativa proseguirà - scrivono i magistrati palermitani - nell'aula magna del nuovo Palazzo di Giustizia, dove, in una assemblea aperta a cittadini, esponenti di forze politiche e sociali e all'avvocatura, si confronteranno sull'assoluta inadeguatezza, rispetto alle vere cause del disservizio e dell'inefficienza dell'amministrazione della giustizia, dei progetti di riforma e sui loro evidenti limiti costituzionali''.

Il Guardasigilli leghista, Roberto Castelli, non si scompone davanti alla chiara contestazione delle toghe palermitane. ''Se non ci sarà nessuno - ha detto il ministro Castelli -, allora sarà chiaro chi non vuole il dialogo''.
Palermo è stata scelta dal ministro della Giustizia per l'inaugurazione, dove a conclusione della cerimonia in Cassazione, parlerà della riforma dell'ordinamento giudiziario. A chi ha fatto notare, però, che per protesta i magistrati non saranno presenti e faranno una propria contromanifestazione, il Guardasigilli ha replicato: ''Ognuno si prende le responsabilità delle proprie azioni. Sarà chiaro chi rifiuta di dialogare e chi no''.

Anche la Cisl Sicilia parteciperà nella mattinata di domani, con una delegazione guidata dal segretario generale Paolo Mezzio, alla manifestazione organizzata dall'Associazione Nazionale Magistrati (ANM) a Palermo. ''I mali della giustizia - sostiene il sindacato - richiedono una strategia lungimirante e una riorganizzazione del settore costruita su basi di concordia. Rifuggendo dalle suggestioni di certo neo-cesarismo''. Invece, la riforma firmata dal governo appare ''insufficiente nel metodo e nel merito''. Da qui la partecipazione al sit-in a piazza della Memoria e, a seguire, all'assemblea aperta nell'aula magna del Palazzo di Giustizia.

Ma il malcontento e l'esigenza di protestare non è un'esclusiva dei magistrati e dei giudici di Palermo, è infatti allarmante lo stato della giustizia italiana che con otto milioni e mezzo di processi e una lentezza esasperante, richiede prioritariamente delle riforme che siano però condivise da tutti.  Tale richiesta è stata fatta presente martedì scorso dal procuratore generale Francesco Favara, durante il discorso di inaugurazione dell'anno giudiziario alla presenza del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi.
Come prima accennato, lo stato della giustizia italiana è tale da potersi definire una giustizia malata:  sono otto milioni e mezzo i processi civili e penali che schiacciano 9.500 magistrati ed esasperano centinaia di migliaia di cittadini. Un processo penale dura in media più di mille giorni, uno civile può arrivare anche fino a 1.500.
In un anno le toghe riescono a smaltire quasi due milioni di processi civili e circa sei milioni di cause penali. In Cassazione la produttività aumenta sia nel civile che nel penale ma questo non basta a far quadrare i conti della giustizia, che continuano a segnare rosso fisso visto che in dodici mesi piovono sui tavoli di giudici e pubblici ministeri quasi due milioni di procedimenti civili e sei milioni di penali.

Sono questi dati dell' ''ultimora'', aggiornati dall'ufficio statistica di via Arenula a fine novembre.

La contestazione era già nell'aria martedì scorso, e l'astensione a qualsiasi forma di protesta è stata per rispetto verso il presidente della Repubblicai. Come già detto la protesta prenderà corpo domani a Palermo durante le cerimonie nelle corti d'appello dei 26 distretti.
Le toghe nere, la Costituzione in mano, il libro bianco sulle inefficienze della macchina sono state giudicate iniziative ormai obsolete, superate dalla gravità di una riforma come quella dell'ordinamento che, a giudizio dei magistrati palermitani, si risolve in uno schiaffo e in un tentativo di sottomissione dell'intero ordine giudiziario all'esecutivo.
Ad agitare le acque i dati sulla giustizia e la relazione del pg Favara, che negli ultimi tre anni non ha mai mancato di usare toni duri contro le linee di politica giudiziaria del governo. 
L'anno scorso Favara aveva anticipato i dubbi di costituzionalità poi confermati da Ciampi. Quest'anno potrà argomentare come quella riforma non serve per garantire l'efficienza della giustizia. La "grande malata", come Favara l'ha chiamata in più occasioni, non mostra significativi segni di miglioramento.

I detenuti aumentano di un migliaio e superano i 57mila, l'indultino si è rivelato un flop e solo una piccolissima percentuale di detenuti ne ha approfittato. In compenso calano i detenuti in attesa di giudizio: erano il 25% nel '98, sono il 18% adesso, a riprova che i magistrati lavorano nonostante le accuse del centrodestra.
Le parole di Favara mancano inoltre la grande necessità che i cambiamenti siano condivisi: "Se Parlamento e Governo daranno al Paese riforme giuste e condivise, leggi moderne che possano delineare un sistema di giustizia efficace e tempestiva e strutture adeguate, il risultato non potrà mancare. Sono convinto che i magistrati risponderanno alle aspettative del paese, assicurando, come sempre, massimo impegno e assoluta imparzialità nell'applicazione della legge".
Favara ha sottolineato che "al Legislatore è affidato il difficile compito di trovare un nuovo punto di equilibrio tra le due esigenze apparentemente contrapposte: garanzia ed efficienza. Ciò anche al fine di porre termine ad una situazione ormai insostenibile che, a livello europeo, ci vede permanentemente sotto preoccupata osservazione".
Pesante il giudizio sull'insufficienza e l'abuso del processo penale italiano: "Nel campo penale, si è voluto estendere, oltre ogni ragionevole misura, le fattispecie criminose e le garanzie processuali (sovente prive di effettivo contenuto sostanziale), senza tener conto del progressivo allungamento del processo. Con la conseguenza che si assiste ad una sostanziale vanificazione del processo penale, il quale, quando non è 'fulminato' dalla prescrizione (e c'è il rischio che ciò accada anche più di frequente), produce o una pena che può apparire come una tardiva vendetta dello Stato nei confronti di una persona ormai mutata negli anni, oppure una assoluzione che non ripaga dei danni economici ed esistenziali sofferti in conseguenza del processo".

Favara ha toccato anche lo scomodo tema dei rapporti con la politica: "L'autonomia e l'indipendenza di cui gode, secondo la Costituzione, la magistratura, formata da giudici e pubblici ministeri, deve essere sempre rispettata come ha più volte ribadito il Capo dello Stato", osserva il procuratore generale che poi non risparmia un accenno agli attacchi fatti ai giudici.
"Alla magistratura deve essere restituita la fiducia dei cittadini. - ha detto infine Favara - La fiducia implica anche il rispetto per le sentenze e per la funzione giurisdizionale, che attraverso esse si esprime. Le sentenze e più in generale, le attività dell'autorità giudiziaria possono essere certamente giudicate. Non però contestate o strumentalizzate per fini diversi".

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14 gennaio 2005
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