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La guerra dei fiori rossi

La libertà spiegata ai cinesi dai bambini. Un bel film sull'omologazione e l'individualismo

26 gennaio 2007









Noi vi consigliamo di vedere...
LA GUERRA DEI FIORI ROSSI
di Zhang Yuan

Qiang alla tenera età di quattro anni, viene mandato in un asilo nido a tempo pieno. Dopo pochi giorni Qiang è già diventato l'incubo delle maestre. Fa la pipì a letto, fa il prepotente con i più piccoli, specialmente con le femmine, che ben presto scoprirà essere diverse dai maschi! Qiang, invece di obbedire agli ingegneri di anime che vogliono omologare tutti i ragazzi allo stesso comportamento, fa degli anni dell’asilo il suo apprendistato di piccolo ribelle controcorrente...


Tit. Orig. Kanshangqu henmei
Anno 2006
Distribuzione Istituto Luce
Durata 107'
Regia Zhang Yuan
Tratto dal  romanzo "Kanshangqu henmei" di Wang Shuo
Con Ning Yuanyuan, Li Xiaofeng, Zhao Rui
Genere Drammatico
 
La critica
''Tratto da un romanzo di Wang Shuo, che visse l'esperienza dell'asilo nei primi tempi dopo la rivoluzione, è il 'bildungsroman' di un bambino costretto a confrontarsi con una educazione militaresca. Sulle prime Quiang sembra subire passivamente la dittatura delle maestre e aspira ai rossi fiori di carta assegnati ai migliori. Poi, però, nel fanciullino monta irrefrenabile la ribellione per cui suscita un putiferio inventando che la direttrice è un mostro e mangia i bambini: e lo lasciamo che è fuggito in un ospedale, convinto che per non obbedire è meglio darsi malato. La figura metaforica di questo che Brecht avrebbe definito un 'Neinsager' (chi dice di no) è delineata con tanta forza da suscitare forse nelle alte sfere del suo Paese gli stessi malumori che da noi indussero il sottosegretario Andreotti a indirizzare la famigerata reprimenda a De Sica. Aveva ragione chi ha scritto che i bambini fanno paura ai grandi perché sono i soli capaci di inventare una rivoluzione al minuto.''
Tullio Kezich, 'Corriere della Sera'

''Poetico è il film italo cinese 'La guerra dei fiori rossi', di Zhang Yuan, dal romanzo autobiografico del dissidente cinese Wang Shuo. Chiuso a quattro anni in un asilo a tempo pieno, prima della Rivoluzione, Qiang ha in sé il seme del futuro rivoluzionario: elude gli ordini, si sottrae ai giochi educativi che lo omologano ai compagnetti. E' una vera sinfonia all'infanzia.''
Salvatore Trapani, 'Il Giornale', 16 febbraio 2006

''E' un film bello e molto interessante sull'omologazione e l'individualismo, sulle regole e la disubbidienza, sul conformismo e la rivolta: molto vicino, dunque, ai problemi attuali della Cina, divisa tra libertà e comando, lavoro e personalità. (...) I film di Zhang Yuan raramente vengono autorizzati dalla censura: stavolta speriamo di sì, 'La guerra dei fiori rossi' è troppo bello e utile.''
Lietta Tornabuoni, 'La Stampa'

''Uno dei più significativi registi cinesi di oggi è Zhang Yuan, di cui si è già visto qui da noi un altro piccolo inferno familiare, 'Diciassette anni'. La vicenda, qui, è corale, ma per mettere bene in evidenza le condizioni di quel carcere infantile, il regista, rifacendosi a un romanzo autobiografico di Wang Shuo, di cui a Locarno, nel 2000, si vide anche un film da lui diretto, l'ha fatta rivivere al centro da un bambinetto che, prima quasi distrutto da quei sistemi che gli controllano duramente ogni istante, assume poco per volta atteggiamenti quasi da ribelle, arrivando fino a provocare una specie di fantasiosa rivolta contro una delle due maestre che lì controllano tutti. Risolvendo però alla fine la sua ribellione solo con una piccola fuga che, com'è chiaro, rimarrà senza esiti. Con quel piccolo in mezzo e, via via, il mutamento dei suoi atteggiamenti, il film scorre via limpido e nitido senza aver mai l'aria di assumere scopertamente toni polemici ma in realtà, esibendo, sia pure in modo sommesso (la censura vigila...) l'intransigenza di quei sistemi educativi indirizzati, fin dalla prima infanzia, a far di ciascuno un rappresentante di individui ridotti a una massa di uguali, nei pensieri, negli atti, nelle scarsissime reazioni, arrivando addirittura alla... globalizzazione. Un cinema sostenuto e forte, pur sempre tranquillo in superficie, con la possibilità, a contatto dei bambini, di essere perfino litico e tenero, ma, dall'interno, pronto sempre a graffiare e a esplodere. Suscitando angosce. Il bambinetto al centro è, naturalmente, un piccolo esordiente. Non poteva però essere scelto meglio: gli occhi sempre tristi, il candore affiancato alla collera. Sembra diretto da De Sica.''
Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo'

''Nel mettere in scena il suo teorema, Zhang Yuan rivela un dono alla De Sica o alla Comencini di ottenere dai bambini il massimo della naturalezza; ma chi ha fatto un po' di cinema sa quali fatiche comporta la gestione dei minorenni. E qui 'La guerra dei fiori rossi' mi sollecita un altro ricordo, di quando al primo incarico sul set come segretario mi fu affidata una banda di monelli da tenere zitti e buoni. Rimembro ancora ciò che mi fecero passare quei 20 diavoletti e non oso pensare alle fatiche dell'intrepido regista che ne ha dovuti tenere a bada ben 135. Onore al merito; ma onore soprattutto al messaggio che un bel film ci contrabbanda da un Paese dove per grandi e piccini la libertà è ancora di là da venire.''
Tullio Kezich, 'Corriere della Sera'

''Raramente una cinepresa ha saputo cogliere istinti e pulsioni a livello così primario, fissando sulla pellicola autentici momenti di verità. Bella anche la metafora dei fiorellini, simboli di un desiderio impossibile da soddisfare e quindi generatore di angoscia. Un film cinese realizzato con l'apporto fondamentale di forze italiane, dal co-produttore Marco Muller al montatore Jacopo Quadri, all'autore delle musiche Carlo Crivelli.''
Roberto Nepoti, 'la Repubblica'

''Non è facile trovare il punto d'equilibrio quando sullo schermo si esibiscono i bambini: se le cineteche traboccano di classici, non si contano i casi in cui registi e sceneggiatori speculano sulla leggiadria dell'argomento. 'La guerra dei fiori rossi' del cinese Zhang Yuan - coprodotto dal direttore della Mostra di Venezia Marco Muller - non difetta di motivazioni e gestisce le emozioni con una grinta sottotraccia, ma non per questo meno polemica. (...) Non si può negare, per tornare alla premessa, che gli occhioni sgranati del frugoletto e le tenere fisionomie degli altri alunni (tra cui spiccano le sorelline Nanyan e Beiyan, tanto deliziose che le ruberesti dallo schermo) inducano lo spettatore ad abbassare le difese critiche. Però la dimensione eversiva del protagonista - esaltata dai capricci onirici che finiscono ogni volta nell'umiliante pipì a letto - non si esaurisce nel melenso elogio del ribelle e trova nella nitidezza dello stile l'inevitabile richiamo all'ingegneria politica e sociale perseguita dal regime.''
Valerio Caprara, 'Il Mattino'

Vincitore del 'Prize of the Guild of German Art Cinemas' al 56mo Festival di Berlino (2006). Premio AlbaCinema miglior regia alla V edizione dell'Alba International Film Festival (2006).

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26 gennaio 2007
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