La libertà dei killer di mafia
Vincenzo Chiodo, strangolò e sciolse nell'acido un bimbo di 11 anni. Non ha mai scontato un giorno di pena
Aveva 11 anni, quando Giuseppe Di Matteo venne rapito, tenuto prigioniero dentro un buco per un anno e nove mesi, poi strangolato e sciolto nell'acido.
Il piccolo Giuseppe Di Matteo aveva una colpa, era figlio di Santino Di Matteo, collaboratore di giustizia che non ha ritrattato le accuse sulle stragi palermitane.
Giuseppe Di Matteo è stato ucciso, da Vincenzo Chiodo, un meccanico di San Giuseppe Jato (PA), che ammazzava per conto del boss Giovanni Brusca.
Vincenzo Chiodo, oltre ad essere un pluriomicida, era anche proprietario di un bunker (scoperto nel febbraio '96 su indicazione dell'altro pentito Giuseppe Monticciolo, anche lui componente del manipolo di criminali che uccise il piccolo Di Matteo), in cui la DiA (Direzione investigativa Antimafia) trovò un lanciamissili, 10 bazooka, 25 kalashnikov, 50 bombe a mano, 400 chilogrammi di esplosivo, 10 bombe anticarro, un lanciagranate, 7 fucili mitragliatori, 35 pistole, 50 fucili, diecimila munizioni, 5 cannocchiali per fucili da precisione, 15 silenziatori, 5 giubbotti antiproiettile, due telecomandi a distanza collegati ad altrettanti detonatori, svariati ordigni già confezionati.
Quando l'Antimafia conobbe l'esistenza di Vincenzo Chiodo e lo condannò, questo decise di diventare un collaboratore di giustizia. Vincenzo Chiodo si "pentì" d'avere ammazzato tanti uomini. Di fronte alla legge, pensò che forse sarebbe stato il momento di riflettere sulla sua condotta di vita e decise di raccontare quello che sapeva sulla mafia.
Vincenzo Chiodo da allora non non ha fatto neanche un giorno di carcere, e dopo la condanna definitiva per l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo attende la pronuncia del tribunale di Sorveglianza di Roma che deve ancora decidere come fargli scontare i 17 anni di reclusione.
Vincenzo Chiodo è, ed è stato in tutti questi anni, un uomo libero.
E' chiaro che in questa vicenda gli elementi, discordanti, paradossali, esacerbati ed esacerbanti sono troppi. Non è così che dovrebbe andare. Evidentemente qualcosa non ha funzionato e continua a non funzionare.
Qualcuno alla fine se ne è accorto, e ha capito che bisogna celermente aggiustare quello con ha funzionato. Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli ha quindi annunciato un'ispezione al tribunale di di sorveglianza di Roma, e questa è già scattata.
"L'ispezione avviene al tribunale di Roma, perché è lì che è stata presa la decisione. Adesso attendo le conclusioni dell'ispettorato - ha spiegato il ministro -. Bisogna che i magistrati valutino attentamente nell'ambito della loro attività quali sono quelle decisioni che possono sconcertare l'opinione pubblica". "Non a caso - ha aggiunto il ministro - il primo comma dell'articolo 101 della Costituzione dice che la giustizia deve essere amministrata in nome del popolo. Ciò significa anche interpretando il comune sentimento popolare".
L'Associazione delle vittime della strage di Via dei Georgofili difende il pentito
L'Associazione familiari delle vittime della strage del 27 maggio '93 a Firenze, in Via dei Georgofili, in una nota scritta dice: "Il contributo di Vincenzo Chiodo all'accertamento dei responsabili delle stragi di mafia della primavera-estate del 1993 è stato molto rilevante e le notizie che il pentito ha fornito possono risultare più che utili per la ricerca dei mandanti esterni a cosa nostra colpevoli di massacri senza eguali nel nostro Paese. I collaboratori di giustizia sono ancora una volta sotto i riflettori ma noi torniamo a ribadire la grande importanza dei cosiddetti 'pentitì nei fatti di mafia". "Il giorno in cui Chiodo ha testimoniato in aula al processo di Firenze per le stragi - è scritto nella nota - e si è accusato dell'uccisione del bambino, non abbiamo potuto non avvertire tutto l'orrore di quella confessione, ma il collaboratore è anche colui che per la verità sulle stragi del 1993 ha dato un'ampia collaborazione, fornendo notizie sull'esplosivo che in quell'infausto anno girava sul territorio italiano. Con la sua testimonianza ha fornito inoltre preziose informazioni sulle relazioni che intercorrevano fra personaggi chiave implicati in quelle stragi".
Alle osservazione che l'Associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili, il ministro Castelli ha replicato: "Non sono tra coloro i quali pensano di abolire la legge sui pentiti. Auspico però che venga gestita con maggiore attenzione, nel rispetto di quello che è il comune sentire popolare, per evitare questo sconcerto che non fa bene alla giustizia".