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La Libia è nel caos!

Raid aerei sulla folla, oltre mille i morti! A rischio le forniture di gas all'Italia. L'Ue biasima la cautela italiana

22 febbraio 2011

AGGIORNAMENTO
Dopo quella fugace di stanotte dalla caserma di Bab al Azizia, a Tripoli, Muammar Gheddafi è tornato a parlare dalla tv di Stato. Il raìs ha spiegato che non ha alcuna intenzione di abbandonare la guida del suo Paese. "Non sono un presidente e non posso dimettermi" ha detto il Colonnello, sottolineando di essere il leader della rivoluzione e di voler rimanere, "fino all'eternità un combattente, un mujihid". "Resterò a capo della rivoluzione fino alla morte"  ha aggiunto il raìs. "Io - ha ricordato poi - sono un rivoluzionario. Ho portato la vittoria in passato di questa vittoria si è potuto godere per generazioni".
Un discorso arrivo dopo che è giunta notizia che sono oltre mille i morti a Tripoli durante i bombardamenti sulla folla di manifestanti scesi in piazza per protestare contro il regime. A riferirlo è il presidente della Comunità del mondo arabo in Italia (Co-mai) Foad Aodi, che è in costante contatto, da Roma, con alcuni testimoni in Libia. "Manca l'energia elettrica e i medicinali negli ospedali", ha riferito ancora Aodi, che ha rivolto un appello al governo italiano affinchè si mobiliti "per un aiuto economico e con l'invio di medicinali in Libia. Il governo non rimanga in coma, sordo e cieco, alla rivoluzione che è in atto in queste ore". I battaglioni della sicurezza, fedeli a Gheddafi, hanno nuovamente aperto il fuoco infatti contro i manifestanti a Tripoli. Le violenze sarebbero avvenute nel quartiere di Fashlun, alla periferia della città, che lunedì è stata obiettivo dei raid dei caccia militari libici insieme al sobborgo di Tajura. A Bengasi gli abitanti hanno preso il controllo della città. Lo riferisce Ahmad Bin Tahir, medico locale citato dalla Bbc: "Qui non c'è più la presenza dello Stato - ha detto - Non c'è polizia, non c'è esercito, non ci sono figure pubbliche. Il popolo si è organizzato in comitati per riportare l'ordine".

- «Unità di crisi aperta all'opposizione» di Fiorenza Sarzanini (Corriere.it)

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Continua il caos e continuano le violenze contro i manifestanti in Libia. All'alba di oggi gli aerei militari sono tornati a bombardare le centinaia di migliai di persone pro-democrazia riunite in piazza a Tripoli. Lo riporta Press tv citando testimoni.
I primi raid aerei contro la folla, che chiede le dimissioni di Muammar Gheddafi da 41 anni al potere, risalgono a ieri sera: caccia militari dell'aviazione libica avrebbero eseguito dei raid contro i dimostranti, provocando circa 250 morti secondo quanto riferiscono testimoni citati da Al Jazeera. "Ho assistito a un attacco aereo barbaro - ha affermato un testimone - ho visto bambini piangere da soli al centro della strada mentre avvenivano i raid". Fonti dell'esercito libico, citate da Al Arabiya, sostengono che i vertici delle forze armate hanno ordinato di eseguire un raid aereo anche su Bengasi. Mentre la Bbc ha riferito di aver ricevuto notizie di scontri in corso fra soldati regolari e forze leali al regime libico, avvenuti a ovest di Tripoli.
In precedenza nella capitale i manifestanti avevano dato alle fiamme la sede centrale del governo a Tripoli e altre sedi istituzionali. Anche la tv di Stato e diverse stazioni di polizia sono state prese di mira e incendiate. Secondo un testimone contattato da 'al-Jazeera' sono andate in fiamme anche le sedi governative che si trovano nella piazza 'al-Shuhada' della capitale.

E proprio a causa della violenta repressione si registrano le prime crepe tra i sostenitori del colonnello, diversi militari e politici sono infatti passati dalla parte dei manifestanti in seguito all'eccessivo uso della forza per reprimere i cortei.
Ieri ha rassegnato le dimissioni il ministro della Giustizia libico Mustafa Abdeljalil. A riferirlo è stato il quotidiano libico 'Quryna'. Il giornale ha spiegato che Mustafa Abdeljalil ha comunicato con una telefonata alla sede del quotidiano di aver presentato le sue dimissioni "per protestare contro la violenza usata dall'esercito nei confronti dei manifestanti". Stesse motivazioni hanno portato l'ambasciatore libico presso la Lega Araba, l'ambasciatore in Bangladesh e quello in Indonesia a lasciare i propri incarichi definendo ''un massacro'' ciò che sta avvenendo nel Paese.
Mustafa Rafiq
, ufficiale della polizia di Bengasi, ha informato ieri Al Jazeera che le forze di polizia si sono unite "ai manifestanti e operiamo in città in difesa del popolo". "In questo momento a Bengasi non ci sono militari fedeli a Muammar Gheddafi - ha aggiunto - e i manifestanti controllano la città".
Ad al-Zawiyah, 30 chilometri ad ovest di Tripoli, "le unità dell'esercito libico presenti nella città si sono uniti a noi manifestanti contro Muammar Gheddafi" ha detto un manifestante, Sula al-Azibi. "I soldati e gli ufficiali presenti in città si sono uniti a noi - ha affermato - ora abbiamo anche i loro carri armati. Abbiamo saputo che elicotteri militari stanno sorvolando Tripoli e aprono il fuoco sui manifestanti".
Le milizie di una tribù Tuareg libica hanno occupato il quartier generale di una compagnia petrolifera che opera nella città di Ubari.
Secondo quanto riferisce Al Arabiya, l'Unione degli ulema islamici in Libia, il clero islamico, si è schierato con i manifestanti invitando il popolo alla rivolta che sarebbe "un dovere individuale di ogni fedele". "La ribellione contro il regime di Muammar Gheddafi è un dovere religioso per ogni musulmano libico".
La Lega Araba ha convocato una riunione straordinaria per oggi al Cairo sulla crisi in Libia. Secondo quanto riferito da Al Jazeera, la riunione è stata convocata in seguito alla richiesta dell'emiro del Qatar, Hamad bin Khalifa Al Thani, che ha chiamato il segretario Amr Moussa per avanzare una richiesta formale in questo senso.

Gheddafi intanto ieri sera, al termine di una giornata di violenze, ha fatto una breve apparizione alla tv di Stato per far sapere che non ha lasciato il Paese. Incontrerò "i giovani nella piazza Verde per dimostrare che sono a Tripoli e non in Venezuela", ha annunciato il colonnello invitando tutti a "non credere a quel che dicono le tv che appartengono ai cani randagi".
La Tv di stato aveva annunciato nella tarda serata di ieri che il leader della Jamahiriyha si sarebbe rivolto in nottata al suo popolo sullo sfondo della più drammatica crisi che il paese sta vivendo da quando il colonnello, nel 1969, è salito al potere. Ma chi si aspettava uno dei suoi discorsi fiume è stato deluso. A conferma della sua fama di uomo sempre e comunque imprevedibile, Gheddafi si è concesso alle telecamere solo per 22 secondi. E' stato inquadrato con un mantello, uno stravagante copricapo nero e sotto un ombrello (a Tripoli pioveva) mentre stava per salire su un fuoristrada nella sua residenza di Bab Al Azizia, a Tripoli.
Con una scritta in sovrimpressione, la tv libica ha spiegato che "in un incontro in diretta con la rete tv satellitare Al Jamahiriya, il fratello leader della rivoluzione ha smentito le insinuazioni dei network malevoli". Il ministro degli esteri britannico, William Hague, aveva dichiarato ieri a margine di una riunione a Bruxelles che Gheddafi aveva probabilmente abbandonato il suo Paese per far rotta verso il Venezuela.
Pur breve che sia stata, quella di stanotte è la prima apparizione televisiva di Gheddafi da quando la rivolta contro il suo regime è scoppiata una settimana fa. Suo figlio Seif al Islam ieri notte ha invece parlato in diretta per 45 minuti, promettendo riforme, denunciando un complotto internazionale contro la Libia e ammonendo che il regime intende resistere "fino all’ultimo uomo e all’ultima donna".

E mentre l'Egitto aumenta le guardie di frontiera, la Lega Araba, come detto, convoca una riunione straordinaria, a Nalut, pochi chilometri dalla Tunisia, i manifestanti minacciano di fermare l'afflusso di gas verso l'Italia chiudendo il gasdotto che passa proprio per la loro provincia. In un messaggio pubblicato sul sito Internet del gruppo di opposizione "17 febbraio", si legge che rivolgendosi "all'Unione Europea, e in particolare all'Italia, la gente di Nalut ribadisce di far parte di un popolo libico libero e, dopo il vostro silenzio riguardo le stragi compiute da Gheddafi, ha deciso che interromperà dalla fonte l'afflusso di gas libico verso i vostri paesi, chiudendo il giacimento di al-Wafa che attraverso la nostra zona porta il gas verso l'Italia e il nord Europa, passando per il Mediterraneo". I manifestanti di Nalut sostengono di aver preso questa decisione "perché voi non avete fermato lo spargimento di sangue della nostra gente e del nostro caro paese avvenuto in tutte le città libiche. Per noi il sangue libico è più prezioso del petrolio o del gas". Il messaggio è firmato "la gente delle zone occidentali dalla regione di Nalut".

Seif al Islam: il traghettatore dalla prima alla seconda Jamahirya - Per il regime libico è Seifulislam Gheddafi il traghettatore tra la prima e la seconda 'Jamahiriya'. Pur non ricoprendo alcuna carica istituzionale o di governo il figlio prediletto di Gheddafi è ormai a tutti gli effetti la nuova guida del Paese. E' quanto emerge ormai con chiarezza dalle analisi del media ufficiali di Tripoli.
Erano anni che si parlava in Libia di una sua successione al colonnello Muammar Gheddafi. Se ne parlava già prima di quando venne proposta la candidatura di Jamal Mubarak alla successione del padre Hosni, in vista delle elezioni presidenziali di quest'anno in Egitto, considerata una delle cause della rivolta di piazza Tahrir.
A partire dall'altro ieri sera, quando i manifestanti hanno assunto il controllo delle città orientali della Libia e di molti altri centri del paese, l'ingegnere Seifulislam, come lo chiama la tv pubblica di Tripoli, ha occupato il posto del leader ed è suo quasi tutto lo spazio sulla tv pubblica e sull'agenzia di stato 'Jana'.
Entrambe le testate parlano del padre solo per riferire delle telefonate di solidarietà ricevute ieri da alcuni capi di stato africani, mentre è Seifulislam che si rivolge al popolo a nome della famiglia e del regime per chiedere alla gente di ritornare alla calma e di cessare le manifestazioni, e per minacciare il pugno di ferro contro i dimostranti. Il suo discorso è stato pubblicato integralmente dalla 'Jana' con numerosi lanci ed è stato trasmesso in continuazione a partire da domenica sera, quando è stato mandato in onda per la prima volta. A rilevare questa anomalia sono stati anche gli opinionisti libici interpellati da Al Jazeera che si chiedono "perché parla come un capo di stato pur non ricoprendo alcuna carica pubblica?".
Se per la tv di stato Seifulislam è 'l'ingegnere', per l'agenzia di stampa nazionale 'Jana' e' invece solo 'il fratello' Seifulislam Muammar Gheddafi che "offre nel suo discorso ai libici un'iniziativa patriottica di portata storica in difesa della Libia e per evitare ulteriori spargimenti di sangue e per passare dalla prima alla seconda 'Jamahiriya'". Niente a che vedere con i suoi due fratelli Saad e Khamis, che invece vengono descritti dai siti dell'opposizione libica come responsabili delle stragi compiute nell'est del paese. Saad sarebbe ancora assediato ai manifestanti di Bengasi mentre Khamis avrebbe guidato le truppe entrate in azione contro i manifestanti in quella regione.
Diverso invece è l'atteggiamento dei media locali e delle opposizioni nei confronti degli altri figli del colonnello dei quali non si hanno più notizie. In particolare non si parla di Mutassim, che per un lungo periodo era uno dei candidati alla successione di Gheddafi in alternativa a Seifulislam. Non si parla nemmeno della figlia Aisha, nota perché è stata uno degli avvocati del collegio di difesa di Saddam Hussein, anche se prima della rivolta i siti libici la davano già riparata a Dubai con la madre Safia. Non partecipano alla lotta per il potere nemmeno gli altri figli del colonnello come Hannibal, noto alle cronache perché nel 2008 e' stato trattenuto in prigione per due giorni in Svizzera con l'accusa di maltrattamenti su alcuni membri del proprio staff, il primogenito Muhammad e il settimo e ultimo figlio Saif Al Arab. Al loro posto è in prima fila nella lotta contro i manifestanti c'è il generale Hamid, genero del colonnello, che con un commando composto da 1500 soldati è stato inviato a Bengasi per salvare Saad dalla collera dei manifestanti.

In Italia alzato il livello di allerta - Livello di allerta alzato, a seguito degli ultimi sviluppi della crisi libica, ma tutto nella norma. Lo ha detto ieri all'Adnkronos, da Abu Dhabi, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che ha spiegato come le Forze Armate stiano aggiornando i livelli di allerta: "Non siamo al livello solito, il livello di ieri, ma non vuol dire che siamo di fronte a chissà quale avvenimento". "Non c'è niente fuori dall'ordinario, siamo ai livelli di sicurezza che autonomamente vengono decisi dai capi di Stato Maggiore della Forza Armata - ha spiegato ancora La Russa - poi che mi informino è un altro dato, ma non hanno neanche bisogno del mio ok per i livelli di sicurezza che stanno attuando, siamo nell'ordinarietà". "E' chiaro - ha proseguito il ministro - che in una situazione del genere, con due aerei libici atterrati a Malta e con quello che sta succedendo, il livello di sicurezza si è innalzato, ma può capitare a volte anche per eventi infinitamente minori di questo. Il livello di adesso è stato impiegato anche per eventi di minore importanza". "Comunque - ha concluso La Russa - seguo costantemente con attenzione quanto sta accadendo, anche se ora sono ad Abu Dhabi per motivi istituzionali, insieme al capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Abrate, che è con me, siamo in contatto continuo e diretto e seguiamo gli avvenimenti".
Subito dopo l'intervento di La Russa si è appreso che i due piloti di caccia libici atterrati ieri a Malta hanno chiesto asilo politico. Lo ha rivelato una fonte militare maltese all'agenzia tedesca Dpa, mentre secondo altre fonti i due colonnelli, entrambi operativi nella base Okba Bin Nafe, nei pressi della capitale di Tripoli, si sarebbero rifiutati di bombardare i dimostranti.

Insomma, a seguito dell'evolversi della crisi Libica, il dispositivo di difesa aerea italiano è stato portato a un livello di prontezza adeguato, ma entro i livelli previsti in tempo di pace. Fonti militari hanno spiegato come le tre basi di difesa aerea di Gioia del Colle, Trapani e Grosseto siano state allertate in misura precauzionale, portando l'allerta a un livello adeguato alle circostanze.
Fino ad ora non è stato confermato lo spostamento a sud di elicotteri dell'Aeronautica. La Marina Militare, invece, attualmente non sta intensificando la propria attività, se non per il rafforzamento previsto nel Canale di Sicilia per il controllo dei flussi migratori.
Nelle basi di Gioia del Colle e in quella di Grosseto operano gli Eurofighter, mentre in quella di Trapani la difesa aerea è assicurata dagli F16. Gli elicotteri dell'Aeronautica Militare impiegati per il soccorso aereo sono invece dispiegati nelle basi di Trapani, Brindisi e Cervia. Il livello di allerta, spiegano le fonti, rimane adeguato, ma non è confermato alcuno spostamento di mezzi verso sud.
La Farnesina ha poi confermato che è in via di attivazione un piano di rimpatri degli italiani in Tripolitania, gestito in coordinamento con l'Alitalia, per consentire in tempi quanto più rapidi il rientro dei connazionali che stanno confluendo gradualmente all'aeroporto della capitale libica. A quanto si è appreso al Ministero degli Esteri, già questa mattina di domani partirà per Tripoli un primo volo speciale, concordato con la Farnesina, che si affiancherà ai voli di linea previsti.
Ha rimpatriato i propri dipendenti Finmeccanica. Si tratta di un numero ristretto di lavoratori, meno di dieci. Dirigenti dell'Eni e tecnici di altre imprese metalmeccaniche di Gela (CL), che operano nell'indotto dell'Eni, stanno rientrando in Italia. Gela è terminale di ricevimento del "Green Stream", il più grande metanodotto sottomarino che, con i suoi 520 km di tubazione da 32 pollici, attraversa il Mediterraneo collegando la Libia alla Sicilia. La grande infrastruttura fa parte del "Western Libyan Gas Project", di cui sono proprietari l'Eni (75%) e la Noc (25%) l'azienda petrolifera di Stato libica.
Finora, la rivolta popolare in Libia non ha causato sconvolgimenti negli assetti produttivi per la fornitura di gas all'Italia. Da Mellitha (stazione di pompaggio del metano, in Libia) continuano a partire 25 milioni di metri cubi di gas al giorno, pari a 8 miliardi all'anno. Oltre al personale locale, vi operano tre italiani, tra tecnici di misura e operatori di sala-controllo. Da ieri sera ogni collegamento con loro dal terminale di Gela è impossibile. Sono interrotte le linee telefoniche e le reti telematiche.

L'Unione europea, l'Italia e l'"amico" libico - Alla fine anche Berlusconi è intervenuto. Dopo due giorni di imbarazzante silenzio, ieri il premier ha diffuso un messaggio sulla situazione libica, ma la nota di Palazzo Chigi suona come un "qualcosa dovevo pur dire" più che come una presa di posizione. Scrive la presidenza del Consiglio: Silvio Berlusconi, "segue con estrema attenzione e preoccupazione l’evolversi della situazione in Libia e si tiene in stretto contatto con tutti i principali partner nazionali e internazionali per fronteggiare qualsiasi emergenza. Il Presidente Berlusconi è allarmato per l’aggravarsi degli scontri e per l’uso inaccettabile della violenza sulla popolazione civile. L’Unione Europea e la Comunità internazionale dovranno compiere ogni sforzo per impedire che la crisi libica degeneri in una guerra civile dalle conseguenze difficilmente prevedibili, e favorire invece una soluzione pacifica che tuteli la sicurezza dei cittadini così come l’integrità e stabilità del Paese e dell’intera regione".
Sempre meglio, in ogni caso, di quanto dichiarato ieri mattina dal ministro degli Esteri Franco Frattini. "L’Europa non deve esportare la democrazia", aveva dichiarato a margine della riunione dei capi delle diplomazie europee a Bruxelles. Una dichiarazione lontanissima dalle posizioni espresse dai leader degli altri paesi europei, soprattutto alla luce del fatto che le forze armate italiane sono state mandate a "esportare la democrazia" in Iraq (per ben due volte) e in Afghanistan. "Noi vogliamo sostenere il processo democratico – ha aggiunto il ministro - ma non dobbiamo dire 'questo è il nostro modello europeo, prendetelo'. Non sarebbe rispettoso dell’indipendenza del popolo, della sua ownership".

L'atteggiamento mantenuto dall’Italia stona con quanto espresso dai titolari della diplomazia di tutti i paesi europei e degli Stati Uniti. I ministri degli Esteri dell'Unione Europea riuniti a Bruxelles "condannano la repressione in corso contro i manifestanti in Libia, deplorano la violenza e la morte di civili", esortando "la fine immediata dell'uso della forza". Queste le conclusioni del Consiglio affari esteri. "L'Unione europea è estremamente preoccupata dal livello delle violenze raggiunto in Libia" ha dichiarato l'Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune Catherine Ashton al termine del Consiglio Ue affari esteri.
Il segretario generale dell'Onu Ban Ki moon ha telefonato a Gheddafi per dirgli che la violenza nel Paese "deve cessare immediatamente" e ha chiesto l'apertura di un ampio dialogo. Lo ha riferito il portavoce dell'Onu Martin Nesirki, spiegando che si è trattato di una conversazione "approfondita". Il segretario generale "ha espresso profonda preoccupazione per l'escalation della violenza e sottolineato che deve cessare immediatamente", ha riferito il portavoce. Ban ha anche ribadito la richiesta del rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti umani, fra cui quelli di pacifica assemblea e informazione. Il vice ambasciatore libico all'Onu ha chiesto che i suoi connazionali vengano protetti da quello che ha definito "un genocidio" compiuto dal governo. Di fonte alle notizie di aerei che sparano sui manifestanti a Tripoli, Ibrahim Dabbashi ha dichiarato che va proclamata una no fly zone sulla capitale "E' un vero genocidio sia nelle città orientali della Libia, sia quanto sta accadendo a Tripoli - ha detto alla Bbc - Le informazioni che stiamo ricevendo da Tripoli - ha aggiunto - sono che il regime uccide chiunque scenda in strada. Ci sono mercenari ovunque nelle strade e appena appare un manifestante lo uccidono. Per lo meno gli sparano contro".
Alla fine, visto anche le parole di Berlusconi, il responsabile della Farnesina ha detto ieri sera: "L'Italia condanna la repressione in corso e deplora la violenza e la morte di civili", leggendo le conclusioni della riunione dei capi delle diplomazie dei 27 a Bruxelles. La situazione in Libia "è molto grave, è sull'orlo della guerra civile" ha detto Frattini. "L'Italia - ha tenuto a precisare Frattini, replicando a chi gli chiedeva conto della nostra posizione, considerata più moderata rispetto a quella di altri - si riconosce nelle conclusioni. Ognuno, per le sue relazioni e per la sua storia, ha fatto la sua parte".
Frattini ha respinto l'ipotesi di sanzioni contro il regime libico, avanzata ieri mattina dal collega finlandese Alexander Stubb. "C'è stata questa proposta - ha detto il titolare della Farnesina in una conferenza stampa - Molti altri colleghi hanno risposto che noi ora dobbiamo pensare a seguire il processo di transizione, non a creare le condizioni per un nuovo scontro per le decine di migliaia di cittadini europei che vivono in Libia". E chi chiedeva chi dovrà guidare il processo di riconciliazione nazionale invocato dai capi delle diplomazie dei 27 riuniti a Bruxelles, il titolare della Farnesina ha risposto: "Sta al popolo libico decidere il suo futuro". Quanto al ruolo di Gheddafi, il ministro degli Esteri ha chiarito: "L'Unione Europea non ha mai detto chi deve restare e chi se ne deve andare. Non lo ha fatto in nessuno dei casi che si sono verificati finora e non lo farà adesso, non lo ha fatto per Mubarak e non lo fa adesso".
L'Italia ha ribadito la richiesta di non essere lasciata sola nel caso di potenziali "enormi flussi migratori" che dovessero arrivare dalla Libia. Nella conferenza stampa a Bruxelles, Frattini ha avvertito: "L'Italia è il primo Paese destinatario di potenziali, enormi flussi migratori che, in caso di catastrofe e di caos, potrebbero riversarsi sulle coste italiane".

In Europa, quest'ultimo ritrovato della diplomazia berlusconiana l'hanno ribattezzata "la schizofrenia di Rue Froissart": all'ingresso nelle riunioni comunitarie (le auto delle delegazioni entrano appunto da Rue Froissart, sul lato del palazzo del Consiglio) il politico italiano di turno (in questo caso Frattini) fa dichiarazioni benevolenti verso il dittatore sotto accusa. Poi, in riunione, vota con gli altri un comunicato di condanna. È già successo all'ultimo vertice europeo, quando Berlusconi, arrivando alla riunione, ha cantato le lodi di Mubarak, per poi approvare una risoluzione di condanna delle repressioni ordite dal raìs egiziano. Era successo in precedenza, quando l'Italia aveva difeso il dittatore bielorusso Lukashenko, salvo poi appoggiare le sanzioni Ue alla Bielorussia.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Aki, Ansa, Il Fatto Quotidiano, Corriere.it, Adnkronos/Ing, Repubblica.it]

- L'amicizia pericolosa del presidente del Consiglio di Alberto D'Argenio (Repubblica.it)

 

 

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22 febbraio 2011
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