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La mafia, lo Stato e le stragi del '92

Alla vigilia del 17mo anniversario della strage di Capaci, l'ex boss Giovanni Brusca...

22 maggio 2009

Mentre a Palermo lo Stato e le associazioni antimafia hanno gia preparato per domani, sabato 23 maggio, le cerimonie per ricordare l'uccisione di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e degli agenti di scorta, nell'aula bunker di Rebibbia l'ex boss mafioso, Giovanni Brusca, e il collaboratore di giustizia Ciro Vara, rivelano il presunto coinvolgimento, proprio nella strage di Capaci, di persone "importanti" e isospettabili.
Una coincidenza temporale che arriva con le deposizioni di Brusca e Vara, nel processo al generale Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento alla mafia, per un mancato blitz, nell'autunno del 1995, nel palermitano, che avrebbe potuto portare all'arresto di Bernardo Provenzano.

"Dopo le stragi del '92 e del '93 Provenzano per alleggerire la pressione dello Stato su Cosa nostra, in particolare per i detenuti sottoposti al 41 bis, aveva cercato una strada attraverso la Chiesa". Questa la deposizione di Ciro Vara, che ha detto di aver appreso questa strategia di Provenzano nel novembre 1993 da un mafioso di Caltanissetta, Mimmo Vaccaro, che all'epoca era latitante. "Nel 1993 soffrivamo la pressione dello Stato, i detenuti in particolare, e per questo motivo incontrando Vaccaro dopo che per una settimana era stato insieme a Provenzano, gli chiesi cosa stava facendo per aiutarci. E Vaccaro mi rispose che stava tentando la strada attraverso la Chiesa, in modo da ammorbidire la repressione della magistratura e alleggerire il 41 bis".
Vara ha inoltre rivelato per la prima volta in aula che il boss catanese Pietro Balsamo, negli anni Novanta, riusciva a conoscere in anticipo le mosse delle forze dell'ordine a Catania. "Balsamo - ha detto Vara - aveva notizie sempre di prima mano su arresti che doveva effettuare la Dda di Catania".

All'audizione di Vara è seguito l'interrogatorio in aula di Giovanni Brusca. "Riina - ha detto Brusca - mi disse il nome dell'uomo delle istituzioni con il quale venne avviata, attraverso uomini delle forze dell'ordine, la trattativa con Cosa nostra". Brusca, che ha premuto il pulsante del detonatore che ha fatto esplodere l'autostrada a Capaci, ha raccontato che tra la strage di Falcone e quella di Borsellino "persone dello Stato o delle istituzioni" si erano "fatti sotto" con Riina, il quale aveva loro consegnato un "papello" di richieste per mettere fine agli attentati.
Per la prima volta in un pubblico dibattimento, Brusca ha affermato di aver saputo da Riina il nome della persona a cui era rivolta la trattativa. Ma, quando il pubblico ministero Nino Di Matteo gli ha chiesto di fare quel nome davanti ai giudici, Brusca si è fermato - come mai aveva fatto - e ha detto: "Mi avvalgo della facoltà di non rispondere, perché su questa vicenda vi sono indagini in corso e non posso rivelare nulla". Il riferimento è all'inchiesta che viene condotta dalla procura di Caltanissetta, guidata da Sergio Lari, che da mesi ha avviato nuove indagini sulle stragi del '92.

Rispondendo alle domande dei pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo, Brusca ha inoltre sostenuto di non essere stato sorpreso, dopo la strage di Capaci, per l'uccisione di Paolo Borsellino, ma per il modo con il quale è avvenuto. Perché, la strage di Capaci, così come è stata fatta, ha aggiunto poi Brusca, "Provenzano non la voleva, perché lui preferiva che Falcone venisse ucciso a Roma o in altri luoghi, senza fare troppo clamore". "A Provenzano - ha continuato Brusca - non piaceva la spettacolarizzazione degli omicidi, ma condivideva con Riina l'uccisione dei magistrati Falcone e Borsellino". Il boss, infatti, dopo l'arresto di Riina, impedì a Bagarella, Messina Denaro, Graviano e allo stesso Brusca di proseguire gli attentati in Sicilia. "Provenzano era contrario nelle forme - ha raccontato Brusca - e così Bagarella quando gli comunicò che le stragi le avrebbe fatte al Nord, gli disse che se qualcuno gli veniva a chiedere di questi attentati si poteva mettere un cartello al collo con la scritta 'non ne so nulla'".
Dopo l'attentato a Giovanni Falcone, Totò Riina aveva programmato di uccidere l'ex ministro Dc, Calogero Mannino. Il piano era stato affidato proprio a Brusca. "Dopo Falcone - ha detto ancora Brusca - dovevamo passare a Mannino. Ma improvvisamente ho avuto lo stop da Riina. Quello che poi mi colpì fu la strage di Borsellino di cui prima non avevamo parlato". Per quanto riguarda la strage di via D'Amelio, Brusca ha sostenuto di non sapere "se vi è stata un'accelerazione, posso però dire che quell'attentato mi ha sorpreso come fatto esecutivo".

L'ex boss è tornando, quindi, a parlare dei contatti con la politica: il collaboratore ha ricordato che dopo l'omicidio di Salvo Lima, nel 1992, molti politici si offrirono al servizio di Cosa nostra, tanto che qualcuno propose al capomafia "un contatto con la Lega di Bossi. Ma non so cosa ne fece, perché nel frattempo Riina aveva trovato il canale giusto ed era soddisfattissimo".
Rispondendo alle domande dei pm, Brusca ha infine riferito i pareri di alcuni mafiosi sull'arresto di Riina. "Ci furono diversi commenti in Cosa nostra e molte voci, come quella secondo la quale prima dell'arresto di Riina la moglie di Provenzano si sarebbe incontrata con un carabiniere. Era una voce che mi venne riferita da mio cugino Santino Pullarà, al quale lo aveva detto un maresciallo del Ros"

[Informazioni tratte da La Siciliaweb.it, Ansa.it]

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22 maggio 2009
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