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La mafia trattò solo con alcuni ''pezzi'' dello Stato?

Continuano le rivelazioni di quella che si annuncia un'indagine ancora lunga e complessa

21 ottobre 2009

Il prefetto Mario Mori, ex comandante del Ros dei carabinieri, ieri, durante il processo a suo carico per favoreggiamento aggravato di Cosa Nostra, ha rilasciato una serie di dichiarazioni spontanee sulla scottante questione della presunta trattativa tra mafia e istituzioni intercossa all'inizio degli anni '90; trattativa che tramite il "papello", consegnato in fotocopia nei giorni scorsi ai magistrati di Palermo e Caltanissetta da Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo condannato per mafia, Vito, avrebbe dovuto mettere fine alla stagione delle stragi (LEGGI).
Il prefetto Mori ha confermato d'avere più volte incontrato Vito Ciancimino, ma ha negato con forza l'esistenza di una trattativa, come invece ha confermato più volte da Massimo Ciancimino. Insomma, secondo Mori, non esisterebbe alcun 'papello' scritto dal capomafia Totò Riina.
"La esplicitazione del mio rapporto con Vito Ciancimino rappresenta la dimostrazione dell'inesistenza, almeno per quanto riguarda il Ros, di una trattativa con Cosa nostra che avrebbe costituito secondo i pm il contesto della condotta di favoreggiamento di cui sono accusato e questa in modo particolare perché implicava la resa vergognosa dello stato a una banda di volgari assassini presuppone il più rispettoso rispetto del segreto", ha detto Mori nelle sue dichiarazioni. [La memoria di Mario Mori (LiveSicilia.it - Pdf)]

Oggi, Massimo Ciancimino parlando ai microfoni di "Radio anch'io" ha detto: "Sono d'accordo con il generale Mori quando dice che lo Stato non trattò con la mafia, perché per me lo Stato è rappresentato da persone come i giudici Falcone e Borsellino, o l'onorevole Martelli e tanti altri che hanno saputo della trattativa e non hanno voluto trattare. Non parlerei con i giudici se sapessi che lo Stato tratta con la mafia. Bisogna, invece, capire chi sono i singoli soggetti che hanno avviato la trattativa con Cosa nostra". "Ci sono tanti soggetti che oggi dovrebbero fare uno sforzo in più nel ricordare quei periodi, e avere più memoria - ha continuato Ciancimino jr -. Io continuo ad andare avanti a parlare con i magistrati, persone serie come il dottor Lari, Ingroia o Di Matteo, ma la mia posizione non è facile. Il messaggio che viene inviato è che io sia alla ricerca di un'impunità, ma non è così". "Sono preoccupato - ha detto ancora - la mia vita è cambiata. Sono più isolato, gente che prima mi invitava adesso non lo fa più, ma vado avanti. Mentre altri che prima mi guardavano come il demonio adesso invece ascoltano quello che ho da dire".
E per Massimo Ciancimino, il comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica di Bologna ha aumentato le misure di protezione a sua tutela. Ciancimino aveva lamentato carenze nelle misure di protezione come l'assenza di un'auto blindata che era stato costretto a comprare a sue spese. Domenica, poi, gli agenti della sua scorta avevano identificato due persone sospette e armate davanti alla casa bolognese di Ciancimino, poi rivelatisi due carabinieri. Un episodio definito inquietante dal figlio dell'ex sindaco che il giorno successivo avrebbe dovuto fare rivelazioni ai pm sul ruolo dei carabinieri del Ros nella cosiddetta trattativa. Ciancimino ha annunciato anche l'intenzione di tutelare la propria immagine dai "continui attacchi diffamatori a cui è sottoposta in un momento tanto delicato". Il riferimento è ad un articolo apparso sul quotidiano "Italia Oggi" in cui si parla di prelievi di denaro non giustificati e compensi da amministratore incassati anche senza l'autorizzazione dell'assemblea da parte del figlio dell'ex sindaco. Ciancimino avrebbe attinto a oltre 320mila euro dalle casse della Pentamax. La società, fino agli inizi del 2008 era amministrata da lui e ora è in amministrazione giudiziaria. Le quote della azienda sono state affidate al custode giudiziario, nominato dal tribunale Gaetano Cappellano Seminara. Gli illeciti prelievi emergerebbero dal bilancio redatto dall'amministratore giudiziario della società, Giovanni Balsamo. "Denuncerò - ha detto Ciancimino - chi ha leso la mia reputazione e ho intenzione di sollecitare accertamenti sulla gestione attuale della società".

Ai microfoni di "Radio anch'io" stamane hanno parlato anche Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, e l'on. Luciano Violante che, ricordiamo, negli anni riguardanti la presunta trattativa e la presunta redazione del "papello" era presidente della Commissione nazionale antimafia.
Salvatore Borsellino ha detto: "Ritengo che Paolo sia stato ucciso perché si è messo di traverso rispetto a questi movimenti. Nel momento in cui gli è stata prospettata l'ipotesi di una trattativa - ha aggiunto - lui si è opposto. Una cosa del genere non l'avrebbe mai potuta accettare, deve essere stato veramente disgustato da questa azione che era in corso da parte di pezzi dello Stato". E non ha dubbi sulle cause che portarono alla morte di Paolo: "Avrebbe sicuramente denunciato il tutto all'opinione pubblica, se non avesse potuto fermare il meccanismo in altra maniera. Per questo è diventato indispensabile eliminarlo". Poi ha avuto parole di apprezzamento per lo sviluppo delle indagini: "Oggi tante cose stanno venendo fuori grazie a magistrati coraggiosi che stanno facendo bene il loro lavoro".

Luciano Violante, invece ha voluto rispondere alle dichiarazioni spontanee di Mori: "Non concordo con la ricostruzione di Mori - ha affermato Violante - ma la memoria a distanza di 17 anni gioca brutti scherzi". A non convincere l'ex numero uno dell'Antimafia sarebbero le date riportate dal ex comandante dei Ros: "Sostiene che lo avrei convocato il 20 ottobre del '92 per parlare del rapporto mafia-politica redatto dal Ros. Non è vero. La commissione Antimafia decise di esaminare questo rapporto dopo l'emissione dei mandati di cattura, cioè dopo il 21 ottobre. La decisione di occuparci di questi argomenti è del 26 ottobre. La comunicazione alla commissione l'ho fatta due giorni dopo".
Violante ha detto ancora: "Quando il generale Mori venne a propormi un incontro riservato con Vito Ciancimino non si parlava di trattativa, quindi la mia opinione fu che quell'incontro facesse riferimento ai processi per la confisca dei beni di Ciancimino". Dopo la deposizione di martedì al processo che vede imputato il generale Mario Mori per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, l'ex Presidente della Commissione nazionale antimafia è tornato ha ribadire che, "successivamente, dopo il 21 ottobre del '92, l'idea era che Ciancimino volesse parlarmi dei rapporti tra esponenti andreottiani e la mafia. Quindi, la questione trattativa viene fuori quando viene pubblicato un articolo di stampa". E "a quel punto alzai il telefono e chiamai la Procura di Palermo - ha detto - per dire 'se vi interessa sentirla è questa la verità. E questo è  tutto". Ma, precisa, "non sono d'accordo con la ricostruzione che fa il generale Mori" nelle sue dichiarazioni spontanee. Inoltre, prosegue Violante, "ci sono delle cose irragionevoli che sono accadute, come quando dopo l'arresto del boss Salvatore Riina la sua casa non fu perquisita e i mafiosi ebbero la possibilità di smontarla tutta, portando via persino le mattonelle alle pareti, questo senza che nessuno se ne accorgesse. Pure quando si becca anche il più piccolo spacciatore, si effettua la perquisizione della sua abitazione".
Insomma, particolari che non tornano, in un'indagine che si annuncia ancora lunga e complessa.

E sono proprio i particolari, i dettagli che in questa indagine potranno dare una quadro certo di quello che avvenne all'ombra dei terribili assassinii dei giudici Falcone e Borsellino. Dettagli che dovranno essere osservati e valutati bene nella lettera con la quale Vito Ciancimino ribadiva nel 1992 la propria disponibilità ad essere ascoltato dall'Antimafia rimuovendo la condizione, espressa in una richiesta analoga nei mesi precedenti, di essere ascoltato dalla Commissione alla presenza degli organi di informazione.
"Il 'delitto Lima' non può essere liquidato con ipotesi semplicistiche sul suo movente. L'omicidio dell'on. Lima è di quelli che vanno oltre la persona della vittima e puntano in alto, un avvertimento, come si suol dire. Sono stato, per molti anni, testimone e in parte protagonista di un certo contesto politico. Sono convinto che questo delitto faccia parte di un disegno più vasto. Un disegno che potrebbe spiegare altre cose, molte altre cose. Ancora oggi sono, pertanto, a disposizione di codesta Commissione Antimafia se vorrà ascoltarmi". E' questo uno dei passaggi della missiva di due pagine, di cui l'Adnkronos è in possesso. La lettera è datata Palermo 26 ottobre 1992 e porta in calce la firma dell'ex sindaco del capoluogo siciliano. Ciancimino avrebbe così acconsentito ad essere ascoltato dall'organismo parlamentare, allora presieduto da Luciano Violante, anche in seduta segreta, senza l'accesso diretto dei media ai lavori della riunione.
"Non avendo ottenuto la diretta televisiva - scrive Ciancimino - ritenni di dovere rinunziare all'audizione. Continuo a ritenere che sarebbe giusto offrire alla pubblica opinione la possibilità di un giudizio non mediato ma oggi, dopo le clamorose iniziative giudiziarie della settimana scorsa, non ne faccio - della diretta televisiva - una 'condicio sine qua non'. Lascio alla Commissione Antimafia la valutazione del problema''.
"La Commissione parlamentare Antimafia, prima versione, senza mai ascoltarmi, nonostante da me sollecitata sin dal 1970 - scrive Ciancimino in apertura della lettera - mi ha condannato 'irrevocabilmente' e le sue 'sentenze' sono diventate la 'prova' delle mie presunte colpe, davanti alla pubblica opinione e alla magistratura". "Il 27 luglio 1990 - sottolinea - mi misi a disposizione della Commissione Antimafia su richiesta del suo presidente on. Chiaromonte, per essere ascoltato. Chiesi però che l'audizione avvenisse pubblicamente ed in diretta televisiva, non per fare spettacolo, ma perché volevo che l'opinione pubblica potesse giudicarmi direttamente e non per interposta persona, cioè per il tramite dei giornalisti a volte imprecisi, spesso sintetici e superficiali e quasi sempre obbedienti al sistema politico-finanziario interessato non alla verita' ma alla difesa di certe posizioni. Non avendo ottenuto la diretta televisiva, ritenni il dovere di rinunziare all'audizione". Ciancimino chiede, dunque, di essere ascoltato dall'Antimafia anche senza la diretta televisiva perché questa non costituisce "una 'condicio sine qua non'".
La Commissione Antimafia, riunitasi ieri a Palazzo San Macuto, ha deciso di desecretare, dopo una proposta di Raffaele Lauro (Pdl), ed inviare questa lettera alla Procura di Caltanissetta. La Commissione ha anche deciso di mettere a disposizione del procuratore di Caltanissetta Sergio Lari un elenco di "ulteriori documenti riferibili direttamente o indirettamente a Ciancimino".

Di Pietro: "Qualcuno in alto ha occultato tutto" - "Oggi, in commissione Antimafia, abbiamo messo le mani su un documento che dimostra in modo inequivocabile che, negli anni '92,' 93 e '94, un pezzo di Stato e importanti uomini politici hanno occultato la possibilità di conoscere e far conoscere al Paese le ragioni per cui in quegli anni ci furono le stragi di mafia". Anche Antonio Di Pietro, leader dell'Italia dei Valori, componente dell'Antimafia, è intervenuto sulla questione della trattativa tra Stato e Cosa nostra.
"Una questione politica e morale grossa come una casa che deve essere affrontata e risolta e riguarda i motivi per cui la Commissione parlamentare Antimafia, in quegli anni, non ritenne di ascoltare Vito Ciancimino che ne aveva fatto espressa richiesta, addirittura con una lettera scritta, nella quale testualmente affermava: 'l'omicidio dell'onorevole Lima e di quelli che vanno oltre la persona della vittima e puntano in alto, un avvertimento, come si suol dire. Sono stato, per molti anni, testimone ed in parte protagonista di un certo contesto politico. Sono convinto che questo delitto faccia parte di un disegno più vasto, un disegno che potrebbe spiegare altre cose, molte altre cose". Insomma, prosegue Di Pietro, "Ciancimino era a conoscenza di fatti e circostanze che riguardavano le stragi di mafia di quell'epoca (Falcone e Borsellino compresi) e degli oscuri rapporti tra mafia e Stato e voleva informarne la Commissione. Nonostante ciò, la Commissione antimafia, dopo aver pure deliberato, il 6 luglio '93, di ascoltare Ciancimino, poi se ne è guardata bene dal farlo. Evidentemente qualcuno in alto, molto in alto, (come alludeva Ciancimino), non voleva che si conoscesse la verità ed ha lasciato così che prima proseguissero le stragi e poi che si instaurasse un'immorale trattativa tra Stato e mafia. Per questa ragione oggi ho chiesto l'audizione urgente dell'allora presidente della Commissione antimafia, l'onorevole Luciano Violante, affinchè renda note le ragioni per cui la commissione non ha ottemperato all'audizione di Ciancimino. Audizione che la stessa Commissione aveva disposto".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa.it, Repubblica.it, La Siciliaweb.it]

 

 

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21 ottobre 2009
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