La musica dei nostri emigranti negli Usa rivive in digitale
Nei cinquemila dischi ereditati dall'etnomusicologa Giuliana Fugazzotto, un passato non così lontano...
Dalla Sicilia a New York: la musica degli emigranti italiani rivive in digitale
Intervista di Emanuela Zuccalà (IoDonna.it)
Sbarcavano a Ellis Island, sotto la Statua della Libertà, con le valigie colme solo di sogni. Li abbiamo visti in tanti film, i quattro milioni di italiani emigrati negli Stati Uniti fra Ottocento e Novecento, ma non sapevamo che tra loro si nascondessero dei musicisti sopraffini. Mandolinisti, cantanti, pianisti che facevano gola alle nascenti case discografiche di New York e del New Jersey, come la Columbia e la Victor, e che fino agli anni Trenta incisero la bellezza di 7.500 dischi. Oggi, cinquemila di questi riempiono gli scaffali dell’etnomusicologa siciliana Giuliana Fugazzotto. Con piglio certosino e passione accesa, la studiosa sta trasferendo i preziosi 78 giri su supporto digitale, per difendere dal tempo questo patrimonio storico, oltre che artistico.
Ha appena presentato a Chicago il suo ultimo libro, Ethnic Italian Records (ed. Documenta), e tanti brani si possono ascoltare nei cd allegati ad altri suoi volumi, I 4 siciliani e Sta terra nun fa pi mia (ed. Nota).
Giuliana, perché si tratta di un repertorio tanto importante?
Perché sono le prime registrazioni della nostra musica popolare. In Italia, in quel periodo, non esiste un mercato per ciò che oggi chiameremmo pop: si vende solo musica lirica e sinfonica, perché solo gli aristocratici possono permettersi di acquistare dischi, e cercano quei generi. In America, invece, gli immigrati lavorano, guadagnano e presto diventano un pubblico nuovo e appetibile. Le nascenti etichette discografiche ingaggiano quindi i musicisti italiani scovati alle feste di quartiere, alle processioni religiose, a matrimoni e battesimi. Ed è un successo.
Cosa ci raccontano le loro canzoni?
La musica strumentale era da ballo, un’antenata del liscio. Mentre i brani vocali, in dialetto, narrano la nostalgia dell’Italia, la fatica ad affermarsi nel nuovo mondo, ma anche le bellezze dell’America. Il campano Eduardo Migliaccio, intrattenitore amatissimo nelle Little Italies americane, nel 1928 dedicò una canzone alla spiaggia di Coney Island a Brooklyn: in dialetto la storpiava in "Cunailante", ammirandola come "terra di gioventù" per la sua vitale frenesia. Un altro tema ricorrente è l’ingiusta condanna a morte di Sacco e Vanzetti, nel 1927.
Chi sono invece "i 4 siciliani" di uno dei suoi libri?
Un’orchestra capitanata da un mandolinista di Marsala, Rosario Catalano, grande imprenditore di se stesso. Ho avuto la fortuna di scovare uno dei suoi nipoti, anzi: è stato lui a trovare me a un convegno. Avevo appena finito di dire che non si sa nulla della vita dei 4 siciliani, quando quel signore si alzò dal pubblico e ribatté: "Non è vero, io so tutto!". Del nonno aveva conservato gelosamente dischi, documenti, contratti, e mi aprì un mondo. Scoprii che Catalano era in grado di commissionare testi a 10 dollari guadagnandone poi 5mila. Dopo la sua morte, a 39 anni, la moglie e i 6 figli tornarono in Sicilia e vissero grazie ai proventi da lui accumulati in soli 8 anni di carriera.
E degli altri musicisti, cosa sappiamo?
Purtroppo solo i nomi. A proposito: posso rivolgere un appello ai loro discendenti?
Prego.
Se state leggendo questa intervista, contattatemi! Vorrei davvero ricostruire le vicende artistiche e personali di questi musicisti. (Continua a leggere l’intervista QUI)