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La "Natività" di Caravaggio in pasto ai porci

La sconcertante ipotesi del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, sul Caravaggio rubato a Palermo nel 1969

24 aprile 2012

Arezzo, il Procuratore antimafia Pietro Grasso: il Caravaggio di Palermo mangiato dai porci
di PierLuigi Massimo Puglisi (Eosarte.eu)

E' l'ultima domanda di un incontro gremito che di più non si poteva proprio. Domanda a sorpresa, che Antonella di Tommaso - sollecitata da me in un breve intervallo - gira in modo lapidario: "Procuratore, il tempo è scaduto ma devo girarle questa domanda: che fine ha fatto il Caravaggio di Palermo?"
"Ci vorrebbe tempo perché è una lunga storia... ma riteniamo che il quadro sia finito nelle mani di ignoranti che l'hanno nascosto in una porcilaia, dove magari i porci poi se lo sono mangiato."
Poi i saluti di rito, i doni del Giardino, e me ne vado sconcertato.

Per la verità la notizia era nelle dichiarazioni del pentito Spatuzza e fu pubblicata alla fine del 2009, ma sempre dubitando della sua attendibilità, come del resto aveva fatto anche Rai3 nel servizio dell'11agosto 2011 "Natività" del Caravaggio: storia di un capolavoro dell'umanità svanito nel nulla. Ora a dirlo è direttamente il Capo della Procura Generale Antimafia.
Dunque addio, non lo vedremo più, la risposta ci fa capire che è inutile sperare che un giorno o l'altro risalti fuori, aggrapparsi all'idea che sia trattenuto come merce di scambio per ricattare lo Stato, illudersi che chi lo detiene sia preso dalla bramosia di realizzare anche solo qualche milione di euro, robetta in confronto a quello che varrebbe nel mercato (200 milioni non sarebbe esagerato).
In passato Marini, Sgarbi, Strinati, ma proprio tutti gli storici e appassionati d'arte si sono più volte espressi sulla sparizione di questo quadro, ricostruendo la storia del dipinto e il suo furto, ma sperando in fondo che... Inutile. Si è provato per anni ad allettare dei criminali imbecilli con cifre che sono apparse nei media, nel timore che l'opera fosse stupidamente e inutilmente maltrattata e deturpata. Erano solo speranze da ingenui, di quelli che abbiamo visto troppa filmografia sulla mafia, mentre chi come il Procuratore Grasso meglio di tutti noi conosce le vette della violenza mafiosa, lancia questo messaggio: dove c'è mafia, anche Caravaggio finisce preda dei porci.
Mi dico che le strategie della lotta alla mafia sono complesse, e spero che la risposta del Procuratore non vada presa proprio alla lettera, ma lo temo, perchè a rifletterci, anche durante il rapimento Moro pensavamo che assassinarlo sarebbe stato un crimine osceno e irrazionale, eppure fu ucciso, e allora è proprio vero che il Caravaggio di Palermo...

E tuttavia di fronte a storie ben più grandi e terribili come quelle raccontate stasera da Pietro Grasso al Giardino delle Idee e che hanno avuto spunto dal suo libro ("Liberi Tutti. Lettera a un ragazzo che non vuole morire di mafia" edito da Sperling&Kupfer), quella della sparizione del quadro più ricercato d'Italia, anzi del mondo, passa in seconda linea, un male minore, ma a suo modo nell'epilogo, resta emblematica. Dunque gli ignoranti fanno danni incalcolabili, che si sommano a quelli dei grandi e piccoli mafiosi, degli assassini, dei corrotti e corruttori, dei tangentisti e scialacquatori, e anche dei perdonisti ad oltranza.
"Ci sono ancora troppe omertà nella Chiesa siciliana" ha detto anche Grasso, che difatti nel suo libro a pagina 145 scrive: "Sostenere la dottrina del perdono senza limiti non ha forse finito per favorire la persistenza del fenomeno mafioso?" E prosegue: "Perché la Chiesa ha rinunciato alla sua funzione di indirizzo etico, celebrando per i mafiosi e le loro famiglie battesimi, cresime, matrimoni e funerali in pompa magna? Perché non ha usato nei loro confronti l'esecrazione aperta, la scomunica, l'emarginazione dalla comunità dei fedeli, quando invece rifiuta i sacramenti ai divorziati e ai suicidi, contrasta i sostenitori dell'aborto e dell'eutanasia in nome di un diritto alla vita che viene quotidianamente calpestato dagli stessi mafiosi?"
Poi, ricordato che contro la mafia in passato ci sono state denunce importanti da parte della Chiesa con le omelie del cardinale Pappalardo e il folgorante anatema di Giovanni Paolo II, scrive con commozione che "La chiesa di padre Puglisi è quella che amo io" e infine si sofferma sul giudice Rosario Livatino, di cui si è avviato il processo di beatificazione, e sottolinea che lasciò questo messaggio significativo: "Non vi sarà chiesto se siete stati credenti ma se siete stati credibili".

Un pomeriggio volato via fra la fitta serie di domande dei tre giornalisti del Giardino delle Idee, e Pietro Grasso che ha fatto spesso ricorso a ricordi per spiegare ai giovani, ma non solo, il fenomeno mafioso, raccontando le origini e gli sviluppi della mafia, i riti, le parole d'ordine, riportando a ogni domanda quello che a lui stesso hanno raccontato sia pentiti sia uomini simbolo come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. "Giovanni - diceva spesso Borsellino a Falcone - finché sei vivo tu io sto tranquillo, perché se decidono di farlo - di uccidere - prima tocca a te".
Nel libro il Procuratore ricostruisce, seppure brevemente, anche la trattativa Stato-mafia. "Borsellino era stato messo al corrente dei contatti dei carabinieri con Vito Ciancimino"  spiega, aggiungendo che "le stragi di Capaci e via d'Amelio rispondono a una triplice logica. La vendetta - per i boss condannati con il maxiprocesso -, la prevenzione per il timore che venissero riprese le indagini su connubi fra imprenditoria, politica e mafia e l'eversione, per evitare che dopo Tangentopoli si potessero innescare mutamenti radicali della politica italiana".
Poi la domanda finale, quella sul Caravaggio di Palermo, quella che nessuno aveva ancora fatto, e una risposta secca, che nessuno vorrebbe scrivere. Ma Pietro Grasso dal 2005 è a capo della Procura Nazionale Antimafia. Chi meglio di lui allora poteva dare la risposta?

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24 aprile 2012
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