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La "non decisione" della Consulta sulla legge 40

Il divieto di fecondazione eterologa "non viola i princìpi Ue"

24 maggio 2012

Ieri, mercoledì 22 maggio, la Corte Costituzionale, che ha esaminato il divieto di fecondazione eterologa stabilito dalla legge 40, ha restituito gli atti ai Tribunali che l'avevano investita del caso, chiedendo di valutare la questione alla luce della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo pronunciata il 3 novembre 2011, sullo stesso tema.
La Consulta, in sostanza, invita i tribunali che avevano sollevato la questione (Firenze, Catania e Milano) a considerare la sentenza della Camera Grande della Corte di Strasburgo, che il 3 novembre scorso di fatto aveva giudicato legittimo vietare la fecondazione eterologa nei paesi comunitari.
La sentenza si riferiva al ricorso di due coppie austriache sterili contro il divieto, stabilito dalla legge austriaca, di ricorrere a tecniche di fecondazione eterologa. Il divieto, secondo i giudici europei, non viola "l'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione dei diritti dell'uomo".

La decisione di ieri della Consulta dunque non boccia la questione di incostituzionalità né dà un via libera definitivo alla legge 40.
Spiega Valerio Onida, ex presidente della Corte Costituzionale e attualmente docente di Giustizia costituzionale presso l'università degli Studi di Milano: "La Corte Costituzionale ha deciso di riproporre ai giudici di primo grado la questione, dicendogli di tenere conto di quanto deciso dalla Corte di Strasburgo", la cui decisione è arrivata dopo che era stata sollevata dai tribunali la questione di costituzionalità. "I giudici dovranno perciò rivalutare la questione - conclude - e decidere se riproporre il giudizio di costituzionalità alla Consulta, perché secondo loro continua a sussistere un contrasto con la Costituzione italiana, o invece valutare che, alla luce della sentenza europea, l'incostituzionalità non esiste più".

Una sentenza accolta con toni decisamente favorevoli dai sostenitori della legge (come il Movimento per la Vita). Ma - sulla scia della spiegazione dei costituzionalisti - gli avvocati delle coppie che hanno sollevato la questione già annunciano la possibilità di un ricorso per la violazione del diritto all'uguaglianza sancito dalla Costituzione italiana.

L'ITER DAVANTI ALLA CONSULTA - Due ore di udienza pubblica, poi i giudici della Corte Costituzionale si sono ritirati in camera di consiglio per raggiungere il verdetto sul divieto di fecondazione eterologa - ossia con ricorso a ovociti o gameti non appartenenti alla coppia - stabilito dalla Legge 40 del 2004 che regola in Italia la disciplina della procreazione assistita. Il dubbio che i giudici dovevano sciogliere era quello sulla possibile incostituzionalità del divieto, sollevato con ordinanza di rinvio alla Consulta da tre tribunali in seguito al ricorso di tre coppie sterili che si ritevano discriminate dal comma 3 dell'articolo 4 della legge 40. Ma, alla fine, la Consulta ha scelto di non decidere.
L'udienza pubblica, che si è aperta con l'intervento del giudice Giuseppe Tesauro, riguardava tre specifiche ordinanze con cui si sono rimessi gli atti alla Corte Costituzionale: quella emanata il 6 settembre 2010 dal Tribunale di Firenze, con cui per la prima volta in Italia un giudice ordinario ha ritenuto costituzionalmente illegittimo il divieto di procreazione eterologa per una coppia in cui l'uomo soffre di mancanza di spermatozoi causata da terapie fatte in adolescenza; quella del Tribunale di Catania del 21 ottobre 2010, riguardante il caso di una coppia in cui la donna ha problemi di fertilità per una menopausa precoce; e quella del 2 febbraio 2011 del Tribunale di Milano, legata a una coppia in cui l'uomo è affetto da infertilità totale e irreversibile.
In realtà, teoricamente, l'abolizione del divieto non comporterebbe la "caduta" dell'intera legge perché questa disciplina l'intera materia della fecondazione assistita e della tutela dell'embrione. Il vuoto normativo eventuale riguarderebbe di fatto la decisione, tutta politica, di consentire alle coppie sterili italiane di ricorrere alla fecondazione eterologa in patria, senza dover andare all'estero, come anche l'anno scorso hanno fatto oltre 4mila coppie con problemi di sterilità.
È su questo punto che si è sempre acceso il dibattito, con il centrodestra e la Chiesa saldamente immobili nel negare questo diritto con una posizione che isola l'Italia dal resto d'Europa.

LE SENTENZE DI STRASBURGO - In una prima sentenza, il primo aprile 2010, la Corte di Strasburgo aveva dato ragione alle due coppie austriache, per le quali l'unico modo per avere un figlio è il ricorso alla fecondazione eterologa in vitro, ma il governo austriaco, sostenuto da quello italiano e quello tedesco, aveva chiesto una revisione del caso davanti alla Grande camera. A novembre la Corte ha invece ribaltato il proprio giudizio esaminando una legge austriaca, sottolineando che, viste le questioni etiche sollevate ma anche la rapidità dei progressi medici, ogni paese ha un ampio margine di manovra nel normare questa materia, e quindi la decisione di Vienna non lede di per sé i diritti delle due coppie.

LE REAZIONI - "Con il rinvio della questione di costituzionalità del divieto italiano di fecondazione eterologa ai giudici a quo, la Corte ha ritenuto preminente la soluzione negativa sul tema della discriminazione offerta dai giudici europei nel simile caso austriaco, ma ha lasciato aperta la questione in ordine a conflitti del divieto con altri principi costituzionali, non dando così una lettura definitiva". Con queste parole ha commentato la sentenza il prof. Alberto Gambino, ordinario di diritto Civile e direttore del dipartimento di Scienze umane dell'Università europea di Roma. "Mi dichiaro soddisfatto della decisione della Corte sulla fecondazione eterologa perché si allinea con la decisione del 3 novembre scorso della Corte europea dei diritti umani. La sentenza della Grande Camera non si era limitata a distruggere l'argomento con il quale i giudici ordinari avevano dubitato della costituzionalità del divieto di pma eterologa. La sentenza finale infatti nega che il divieto di pma eterologa violi i diritti umani e di conseguenza lascia liberi gli Stati di decidere sulle modalità della pma. E questo legittima le scelte che in Italia erano state fatte con la legge 40".

Una decisione 'discutibile', secondo Marilisa D'Amico, ordinario di Diritto costituzionale all'Università degli Studi di Milano e legale di alcune coppie, "la decisione della Corte Costituzionale di restituire gli atti ai tribunali anziché esaminare la legittimità o meno del divieto di fecondazione eterologa stabilito dalla legge 40, come invece abbiamo chiesto nell'udienza di stamattina. Noi andremo comunque avanti".
Non vede nella scelta della Consulta di non decidere un segnale del tutto negativo Maria Paola Costantini, uno dei legali delle coppie sterili i cui casi sono giunti davanti alla Corte: "La Corte costituzionale, in pratica, ha deciso di non decidere. Ma se avesse dichiarato costituzionalmente legittimo il divieto di fecondazione eterologa previsto dalla legge italiana, nel nostro Paese questa pratica non sarebbe stata possibile per molti anni. La questione, in questo modo - dice Costantini - non è affatto chiusa".
Di "sentenza positiva, anche se interlocutoria" parla Filomena Gallo, segretario dell'Associazione Luca Coscioni e legale di una delle coppie coinvolte: "La Consulta poteva dichiarare che il divieto di fecondazione eterologa è costituzionale, invece ha rinviato la questione ai tribunali ricorrenti invitandoli a tener conto della sentenza di Strasburgo. La Consulta ha respinto le tesi dell'avvocatura di Stato - spiega Gallo - e ha accolto le nostre. La sentenza di Strasburgo è vero che sanciva la legittimità del divieto di eterologa, ma in modo parziale: si prescrive infatti ai singoli stati di adeguare la propria legislazione ai progressi delle tecniche. Ora i tribunali potranno riformulare l'eccezione di costituzionalità in maniera più precisa alla luce della sentenza di novembre della Corte europea, e ritornare alla Consulta, che a quel punto non potrà che dichiarare incostituzionale la legge 40". [Informazioni tratte da Repubblica.it]

Riceviamo e pubblichiamo...
Commento al dispositivo della Corte Costituzionale sull'eterologa dell’Associazione Hera

La Corte Costituzionale ha deciso di non decidere, rimandando ai Tribunali di Catania, Firenze e Milano di rivedere le ordinanze di costituzionalità alla luce dei principi espressi dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 3 novembre scorso. In questo modo la questione della donazione dei gameti in Italia rimane ancora aperta.
"Nel ribadire la nostra ferma volontà di continuare la battaglia legale a sostegno delle coppie sterili per modificare la Legge 40, chiediamo - osserva il presidente dell'Associazione Hera Francesco Gerardi - che ci sia nell'immediato una assunzione di responsabilità del Parlamento Italiano a risolvere positivamente questo problema che affligge migliaia di coppie costrette a rivolgersi in altri paesi europei, senza alcuna tutela e a costi esorbitanti nella disperata ricerca di aiuto per ottenere un figlio".

Info
Associazione HERA onlus
Tel. 095 4190063 - Fax. 095 4199957 - Cell. 392 0445289
Via Barriera del Bosco, 51/53ingresso: Via Leucatia Croce, 6 - 95030 S.A.Li Battiati (CT)

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24 maggio 2012
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