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La pecora nera

Opera prima di uno dei teatranti più originali d'Italia, 'La pecora nera' non è una trasposizione del testo teatrale ma un "film vero"

07 ottobre 2010

Noi vi segnaliamo...
LA PECORA NERA
di Ascanio Celestini

Nicola ha vissuto 35 anni in quello che lui definisce il "manicomio elettrico". Nella sua testa scompaginata realtà e fantasia si scontrano producendo imprevedibili illuminazione. Nicola è nato negli anni Sessanta, "i favolosi anni Sessanta", e il mondo che lui vede dentro l'istituto non è poi così diverso da quello che sta correndo là fuori, un mondo sempre più vorace, dove l'unica cosa che sempbra non potersi consumare è la paura.

Anno 2010
Nazione Italia
Produzione Alessandra Acciai, Carlo Macchitella, Giorgio Magluilo per Madeleine e RaiCinema in collaborazione con BIM
Distribuzione BIM
Durata 93'
Regia e Soggetto Ascanio Celestini
Sceneggiatura Ugo Chiti, Wilma Labate, Ascanio Celestini
Fotografia Daniele Ciprì
Con Ascanio Celestini, Giorgio Tirabassi, Maya Sansa, Luisa De Santis, Nicola Rignanese, Barbara Valmorin, Luigi Fedele    
Genere Commedia/Drammatico


In collaborazione con Filmtrailer.com

La critica
"Intento a coltivare precisi impegni sociali e anche politici, qui continua a dedicare con il cinema quella sua attenzione che, con il teatro e la letteratura aveva già dedicato alla malattia mentale. Non però dall'esterno con i soliti accenti iperrealistici con cui tanti film guardano alla pazzia, unicamente invece dall'interno, nell'ottica di chi la vive e ne soffre, con quel distacco sufficiente a fargliela intendere e con l'illusione, spesso, di dominarla. (...) L'interiorità, la quiete e il distacco sollecitato dalla voce narrante del protagonista che si racconta e si commenta anche da bambino, con le logiche che, ovviamente, mancano spesso proprio di logica ma che trovano sempre i motivi e gli spazi giusti nelle cornici di quell'istituto in cui sono evidenti l'ordine e il metodo, senza mai incrinature né accenti di troppo. In cifre in cui, pur nella rappresentazione tutta soggettiva di quei fatti, si percepisce sempre, quasi in filigrana, la partecipazione dell'autore attraversata da sentimenti di una solidarietà commossa e spesso malinconica. Il protagonista è con rigore asciutto lo stesso Celestini, al suo 'doppio' da segni concreti e di rado persino coloriti Giorgio Tirabassi, mentre Maya Sansa disegna con finezza quel personaggio femminile che torna concreto dal passato."
Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo'

"C'è molto Brecht nello stile volutamente non naturalistico, e c'è molto Pasolini nell'occhio cinematografico che Celestini si inventa per questo suo primo film (non casuale, anzi decisivo l'apporto del direttore della fotografia Daniele Cipri, già partner di Franco Maresco in 'Cinico Tv'). Ma l'apparente limpidezza del film nasconde una complessità che darà vita a polemiche e fraintendimenti. È facilissimo leggerlo come un film sulla pazzia, sulla 180, sulla Basaglia, e trovarlo poco realistico, poco di 'denuncia'. La verità è che Celestini usa il manicomio per parlare d'altro. (...) 'La pecora nera' è la storia di un'Italia non cresciuta, rinchiusa nel mito dei 'favolosi anni Sessanta'. È un film su di noi, anche se crediamo di non essere matti."
Alberto Crespi, 'L'Unità'

"A certi film manca qualcosa. In altri c'è troppo di tutto. 'La pecora nera' di Ascaio Celestini, opera prima di uno dei teatranti più amati e originali di questi anni, nonché primo titolo italiano in concorso a Venezia, appartiene alla seconda categoria. (...) Maestro del racconto orale, Celestini è un cantastorie che ha reinventato un'antica tradizione lavorando sulla memoria e la fantasia in tempi di media invasivi e bugiardi. Ma ci sono più immagini paradossalmente, nel 'parlato' ammaliante dei suoi spettacoli che in questo film, dove le scene sembrano spesso in più rispetto a quanto suggerisce la voce narrante di Celestini. Non è solo un problema di racconto (volutamente) frammentato e disorganizzato, ma più semplicemente una questione di tono. (...) Un universo violento e primitivo che evoca a tratti la sapiente ingenuità di Sergio Citti. Ma freddo, artificioso. E un poco ovvio"
Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero'

"Un film sul manicomio troppo inusuale e 'unico' nella sua forma ossessiva e disperata, per non passare inosservato e suscitare clamori. Radicali le reazioni al Lido. 'La pecora nera' è una partitura musicale 'a cappella' per attori e voce recitante. È quasi una nenia un jingle fertile, la parodia di un tormentone da hit parade, che svela, con la sua stessa bruciante verità e doppiezza di una testimonianza autobiografica, ora leggera, ora tragica, ora lucida, ora infantile, ora dolcissima e ora insostenibile, i sogni, gli orrori, gli incubi, le allucinazioni di Nicola. (...) il suo film non è di protesta, non è, se non obliquamente, 'politico'. Ma rompe alcuni riti e abitudini di chi va al cinema (...). È come entrare in casa di Ascanio e bere un bicchiere di vino con lui, mentre affabula. Per costruire uno spazio 'etico' nel senso di creare sodalizio, rischiando tutti, il viaggio negli abissi del malato di mente. Dio ci salvi dai 'sani di mente' in libertà."
Roberto Silvestri, 'Il Manifesto'

"L'andirivieni tra anni '60 e '80, tra marziani e santi (...), tra il supermercato e il manicomio è reso ancora più straniante dalla voce fuori campo dell'autore-attore-regista che ripropone le affabulazioni dello spettacolo teatrale farcite coi detti contadini del tempo che fu e inframezzati dal solito fastidioso 'piiiio, piopiopiopiopio' celestiniano. (...) Il risultato è sconfortante, faticoso, molto poco cinematografico: un monologo sopra le immagini prolungato per novanta minuti. Un'opera simile avrebbe trovato collocazione più appropriata in una delle tante rassegne parallele alla Mostra."
Maurizio Caverzan, 'Il Giornale'

"L'esordio di Ascanio Celestini con 'La pecora nera' ha prodotto un film coraggioso, innovativo ed emozionante. Ci si poteva aspettare il peggio, tipo teatro filmato con annesso monumento alla vanità dell'attore-regista. Invece Celestini ha scarnificato il testo che aveva scritto per il teatro, ha dato corpo e volti ai personaggi di cui raccontava (eccellenti le scelte di Tirabassi e di Maya Sansa), e giocando sull'ambiguità del protagonista (perché vive in un manicomio? È matto davvero o solo un poveraccio senza famiglia?) ha saputo costruire una storia fatta di immagini e non solo di parole. Ma soprattutto è riuscito a restituire lo strazio e la sofferenza di chi si sente emarginato dalla società (perché non rende a scuola o crede ai marziani o subisce le umiliazioni dei familiari) e cerca disperatamente un equilibrio emotivo che un ricordo o un volto rischiano di far crollare all'improvviso."
Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera'

"Approdando alla finzione cinematografica, Ascanio Celestini non viene meno all'affabulazione, ma mette la denuncia in fuoricampo: a scatenarsi è l'ironia surreale, perché matti oggi lo siamo un po' tutti, parola di psicofarmaci. Senza (s)cadere nella cronaca ideologica, fa del suo Nicola, 35 anni di 'manicomio elettrico' in testa, una sorta di stralunato Virgilio nella sporcizia che nascondiamo sotto quel tappeto chiamato società. E' lui a portarci nel 'condominio di santi dove il dottore è il più santo di tutti, è il capo dei santi, è Gesucristo'. Santi tutti, e santi subito (sì, Wojtyla c'è), ma la Via Crucis non ha stazioni, piuttosto 99 cancelli e l'ultimo invalicabile: la contenzione psichica tocca anche a noi e, al netto della Basaglia e dei matti da slegare, conviene riprendere in mano e negli occhi Pasolini, che questa Pecora nera a pascolare tra i montarozzi ce l'avrebbe portata. Già teatro e libro, girato al Padiglione 18 del Santa Maria della Pietà, il manicomio di Roma, e nato dalla presa diretta con ex pazienti, è interpretato dallo stesso Celestini, il compagno di follia Giorgio Tirabassi e l'amore traslucido Maya Sansa. Splendida fotografia digitale di Daniele Ciprì, si viaggia tra '75 e 2005, prendendo di mira le istituzioni e lo stigma sociale, senza barricate: chi ama perdersi in una narrazione avvolgente, fiabesca e reiterata godrà, qualcuno mal digerirà enfasi, tiritera, 'c'era una volta e c'è ancora' di un cantastorie. Ma dovrà riconoscere, Celestini non racconta balle: fa e disfa. Soprattutto fa: cinema."
Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano'

"La figurina incantata di Ascanio Celestini, corpo multisensoriale, spettacolo per una voce sola, off, ci accompagna ipnotizzante attraverso l'infanzia perenne di Nicola. (...) E i set si aprono e si chiudono in un gioco ad incastri di memoria, le pagine del romanzo, il palcoscenico e il film. (...) Album poetico, brechtiano, 'La pecora nera' si rivolge al disequilibrio segreto di ognuno di noi, uno psycho-thriller sull'epoca delle grandi speranze, 'i favolosi anni 60' evocati da Ascanio, umoristico e tragico come i suoi monologhi. E siamo tutti con lui nei corridoi bui del manicomio, nel suo balbettare seducente e nell'esplosione di follia che lo prende di fronte alle merci esposte, brillanti promesse non mantenute come l'amore di lei che indietreggia di fronte al 'pazzo'. Un nuovo sguardo gettato sull''invisibile', opera prima di un artista che fa cantare immagini e parole."
Mariuccia Ciotta, 'Il Manifesto'

"Ci sono due elementi molto belli ne 'La pecora nera', ex spettacolo teatrale e libro pubblicato da Einaudi del bravo monologhista Ascanio Celestini, visto anche nel programma televisivo di Serena Dandini. Primo, il film arriva a far capire come dall'infanzia la follia possa soggiogare un cervello umano. Secondo, una scena grandiosa e simbolica in cui in un supermercato il protagonista ricoverato in un 'manicomio elettrico', preso da furore consumista, si getta sui cibi mangiando voracemente di tutto, per vomitare poi ogni cosa penosamente. L'idea-base (visti da vicino, tutti sono matti) non sembra granché originale, ma il manicomio è raccontato molto bene così come il rapporto d'amicizia tra il protagonista e un altro ricoverato, Giorgio Tirabassi, e il legame di necessità più che di affetto del protagonista bambino con la nonna. (...) Forse non è un difetto che il film di impianto teatrale neppure sembri un'opera cinematografica, che offra (per scelta o per inesperienza) smarrimenti, pause, vuoti analoghi a quelli di una mente alterata dalla malattia."
Lietta Tornabuoni, 'La Stampa'

"Se Basaglia, padre della legge che aprì i manicomi, fosse vivo, 'La pecora nera' di Ascanio Celestini gli sarebbe piaciuta. La prima esperienza (chapeau) dietro la macchina da presa del grande affabulatore teatrale è un'escursione nel mondo degli istituti psichiatrici attraverso la storia di un bambino, Nicola, pecora nera della sua famiglia. (...) Tra gli scaffali dei supermercati, tra pazzia loro (da predisposizione o indotta?) e nostra, si ride dei matti, non proprio da matti."
Cristina Battocletti, 'Il Sole 24 Ore'

"«Se si leva il camice diventa matto pure lui». Sta in questa frase, detta da uno degli ospiti dell'indefinibile istituto per malati di mente di un'anonima periferia della capitale, la chiave di lettura del bel film di Ascanio Celestini 'La pecora nera'. Si è matti perché malati o perché rinchiusi? E i malati stanno dentro o fuori? Difficile dirlo seguendo le vicende di Nicola, che ha trascorso trentacinque anni della sua vita in un manicomio senza sapere bene se fosse un ricoverato, un inserviente o un ospite non meglio identificabile. Forse il ricoverato è l'altro Nicola (un bravissimo Giorgio Tirabassi), quasi inseparabile amico e alter ego del protagonista (interpretato da Celestini). La persistente voce narrante di quest'ultimo cerca, tra il continuo accavallarsi di passato e presente, fragili appigli di normalità. Una normalità che però si sgretola tra giochi di parole e ridondanti filastrocche, lunghi monologhi dietro i quali si celano non di rado pungenti giudizi sul mondo. (...) Il mito dei favolosi anni Sessanta - che peraltro nel bambino divenuto uomo si identifica in insignificanti oggetti dal valore simbolico del tutto personale - si sgretola di colpo, come le inconsistenti ma non meno vere certezze sulle quali Nicola ha costruito la sua normalità. La realtà, che non gli è mai apparsa poi così diversa da quella vissuta nel chiuso dell'istituto, diventa di colpo distante, e il confine più marcato. Anche se poi chi può dire se la verità sta fuori, oltre quei cento cancelli che, in una ricorrente barzelletta raccontata dal protagonista, due matti cercano di scavalcare per fuggire, rinunciando dopo aver superato il novantanovesimo perché ormai stanchi. Presentato in concorso a Venezia con un inatteso successo di critica e di pubblico, 'La pecora nera' colpisce per il linguaggio affabulatorio e la sensibilità con la quale racconta la realtà della malattia psichiatrica e, più ancora, le incongruenze dell'istituzione manicomiale. Sempre in bilico tra realismo e poesia, mescolando fantasia e realtà Celestini mostra un mondo dalle mille sfaccettature, incongruente, surreale, ma ricco di un'umanità che la malattia non annulla, almeno non del tutto. Il racconto non cede mai alla tentazione del pietismo; si parla del dolore con sensibilità. La stessa denuncia dell'istituzione manicomiale non è preponderante, ma lasciata scorrere in sottofondo, e non per questo è meno efficace. Ambientato in parte nel 1978, il film non parla della discussa legge 180, e non si attarda a descrivere il manicomio come luogo criminale perché vi si compiono violenze. Per Celestini, che sceglie di raccontare dal basso, è criminale l'idea stessa di simili istituzioni. Di questo parlava anche l'omonimo spettacolo teatrale - frutto di tre anni di interviste a persone rinchiuse in manicomio - che dal 2005 l'attore e regista sta portando in giro per l'Italia, diventato poi un libro (con allegato dvd). Trasferendo quello spettacolo sul grande schermo, Celestini ha giocato d'azzardo. Ma la scommessa l'ha vinta. Perché 'La pecora nera' cinematografica non è una semplice trasposizione del testo teatrale. È un film vero, certamente con delle pecche, ma sincero, senza ipocrisie."
Gaetano Vallini 'L'Osservatore Romano'

In concorso alla 67ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia (2010).

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07 ottobre 2010
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