La piccola Shafà, un'irachena di 10 anni, in Sicilia per ''guarire'' dalla guerra
La guerra è entrata nella stanza di Shafà
Shafà ha dieci anni e vive in Iraq, nella provincia di Dhi Qar, sulle sponde dell'Eufrate, a pochi chilometri da Nassiriya. Pochi giorni fa la guerra si è infilata in casa sua, nella sua stanza mentre dormiva. Un proiettile vagante l'ha colpita e lei è rimasta con le gambe paralizzate. Il proiettile, probabilmente di una mitraglietta, è arrivato a intaccare il midollo spinale, provocando la paralisi.
La piccola Shafà è stata soccorsa dai militari italiani, che si trovano proprio in quella zona, e con l'aiuto della Croce Rossa e attraverso i canali internazionali del Ministero della Difesa è stata portata in Sicilia.
Shafà è arrivata al Policlinico di Messina, accompagnata dal padre. Qui è stata affidata all'equipe del reparto di Neurochirurgia diretta dal prof. Francesco Tomasello, che hanno compiuto una serie di esami clinici. I primi risultati hanno fatto nascere una forte speranza per la sorte della piccola Shafà: pare infatti che la zona di midollo intaccata dal proiettile non sia del tutto irrecuperabile, quindi non è escluso che Shafà ritorni a camminare.
La speranza nasce dalle dirette parole del prof. Tomasello: ''Entro questa settimana - ha spiegato alla stampa - dovremmo completare le indagini diagnostiche; nel corso della prossima predisporremo tutto per intervenire chirurgicamente e quindi rimuovere il proiettile. Questo ci consentirà di fare una risonanza magnetica per vedere le condizioni del midollo spinale. Comunque si può già anticipare - ha aggiunto - che una parte rilevante del trattamento di questa condizione sarà la riabilitazione e la rieducazione''.
L'ospedale di Messina, con la presenza di Shafà è diventato un luogo di speranza, dove tutte le barriere saltano in virtù della vita e della pace. All'inizio c'è stato ovviamente anche un grande problema di comunicazione tra la bimba, il padre e l'equipe medica messinese, ma è stato risolto brillantemente e in breve tempo, anche perché in casi come questi è fondamentale un dialogo il più possibile corretto tra paziente e sanitari: gli interpreti sono dal giorno del suo ricovero alcuni medici arabi, che si trovano attualmente a Messina, dove al Policlinico stanno frequentando alcuni corsi di specializzazione.