La politica, le talpe e la mafia. ''La mafia aiutò Domenico Miceli alle Regionali siciliane del 2001''
Enrico Pettinato, condannato per traffico di droga, accusa l'ex assessore palermitano Domenico Miceli
La frenetica attività di propaganda di galoppini e capi-decina mafiosi, le battute, gli ammiccamenti e le aspettative dei supporter nella campagna elettorale per le Regionali del 2001, sono stati al centro dell'esame del collaboratore Enrico Pettinato, condannato per traffico di droga, che stamane (ieri mattina, ndr) ha deposto in video-conferenza davanti ai giudici della terza sezione del Tribunale, presieduta da Raimondo Lo Forti, nel processo all'ex assessore comunale dell'Udc Domenico Miceli, in carcere con l'accusa di concorso in associazione mafiosa.
Con un colpo di scena: la scoperta, fatta dai difensori di Miceli, che l'uomo indicato dal pentito come uno zelante promoter di quella campagna, Salvatore Sorrentino, costruttore edile e capo-decina della cosca di Pagliarelli, risulta in quel periodo ''sottoposto a carcerazione'', ovvero detenuto. Così si evince da una scheda biografica del Ros esibita in aula dagli avvocati Ninni Reina e Carlo Fabbri. Sconcerto del Pm Paci, che non si arrende e precisa come spesso, nelle schede degli indagati, si faccia un ''uso improprio della parola carcerazione, che non sempre indica la reale detenzione''. Il presidente risolve la questione ordinando ulteriori accertamenti sulla posizione giuridica di Sorrentino.
Ma cosa racconta Pettinato? Che nei mesi precedenti alle Regionali del 2001, Sorrentino gli consegnò un pacco di volantini elettorali a sostegno di Miceli, dopo avergli spiegato che quel candidato ''era appoggiato dalla famiglia di Brancaccio''.
Pettinato racconta anche gli ammiccamenti con Domenico Marchese, imprenditore edile che aveva effettuato lavori nel cimitero di Sant'Orsola. Incontrandolo dopo le elezioni, Pettinato non avrebbe trattenuto una battuta sui ''bei travagghi'' (i cospicui lavori, ndr) che si era aggiudicato dopo il sostegno a Miceli. ''Tutti 'sti voti - e la frase riportata dal collaboratore -, a qualche cosa ti sono serviti''. Pettinato in aula ha confermato le dichiarazioni rese in istruttoria, ribadendo che anche Marchese si era impegnato per Miceli. E' stato a questo punto che l'ex assessore, presente in aula, ha chiesto di rendere dichiarazioni spontanee: ''Non ho mai visto - ha esordito - il signor Pettinato, né Marchese, né Sorrentino''.
Poi, nel tentativo di smontare l'accusa, secondo cui l'ordine di votare per lui arrivò anche alla famiglia mafiosa di Pagliarelli, Miceli ha sottolineato come le sue competenze nel cimitero di Sant'Orsola fossero ''praticamente nulle'', e dunque inesistenti i rapporti con le persone citate dal pentito. L'ex assessore ha ricordato come in seguito all'emergenza sanitaria esplosa nella primavera del 2002, quando la caduta di alcuni massi da Monte Pellegrino impedito di fatto le tumulazioni presso il cimitero dei Rotoli, il Comune ottenne ''la requisizione temporanea'' del cimitero di Sant'Orsola, l'unico gestito da un'Opera Pia.
''Da quel momento - ha ricordato Miceli - si resero disponibili oltre 40 mila posti, anche se da parte dei responsabili del cimitero la preclusione assoluta rasentava la minaccia''. Grazie ad una disposizione del prefetto, racconta Miceli, ''i cantieri del Comune entrarono a Sant'Orsola, ma per 4 volte subirono furti, letti come veri e propri atti intimidatori''. ''Il prefetto non mi nominò responsabile - ha concluso Miceli - l'atto di requisizione affidava la gestione direttamente al sindaco''.
L'udienza prosegue martedì prossimo.
Fonte: La Sicilia del 18 Gennaio 2005