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La prima volta di Cuffaro alla sbarra

Prima udienza in tribunale per il governatore Salvatore Cuffaro, imputato per favoreggiamento a Cosa Nostra

14 giugno 2006

''Sono qui per portare il mio contributo e fare chiarezza in questa vicenda''. Forte del consenso che i siciliani gli hanno nuovamente confermato, il presidente della Regione Salvatore Cuffaro si è presentato ieri in aula a Palermo, per partecipare e rispondere al processo che lo vede imputato di favoreggiamento a Cosa Nostra e di violazione di segreto d'ufficio, l'ormai famoso ''processo alle talpe alla Dda di Palermo''. Un'inchiesta che, potremmo dire, viene da lontano. Cuffaro è accusato di aver mantenuto un continuo rapporto con il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro attraverso Domenico Miceli, ex assessore comunale di Palermo, dimessosi tre anni fa per il coinvolgimento nell'inchiesta. Una ''relazione pericolosa'' confermata da numerose intercettazioni. Guttadauro, ex medico, avrebbe gestito e costruito insieme a Michele Aiello, proprietario di due importanti cliniche palermitane, un vero e proprio sistema di controllo della sanità pubblica e privata. Dai tariffari, ai concorsi, agli appalti, tutto questo non senza l'aiuto del potere politico.
Un debutto quello di Cuffaro davanti a giudici e magistrati, che ha partecipato ieri alla sua prima udienza del dibattimento, iniziato un anno e quattro mesi fa. Fino a prima delle elezioni, infatti, aveva preferito tenersi alla larga dai tribunali, facendosi rappresentare dai suoi avvocati.
''Non nascondo di avere un po' d'ansia, perché entrare in un'aula di giustizia da imputato fa sempre un certo effetto, ma risponderò a tutte le domande che mi saranno poste, o almeno a quelle cui saprò rispondere'', ha detto il governatore siciliano, incrociando i giornalisti prima di entrare in aula.
Ad accompagnare Cuffaro, i suoi difensori Nino Caleca, Claudio Gallina Montana e Nino Mormino.

Totò Cuffaro ha risposto per quasi quattro ore alle domande dei pm Michele Prestipino, Nino Di Matteo e Maurizio De Lucia. Il governatore ha parlato dei suoi rapporti con Domenico Miceli, ex assessore comunale dell'Udc sotto processo per concorso in associazione mafiosa, e quelli con il medico Salvatore Aragona, anche lui accusato di collusioni con i boss. Ma anche dei suoi rapporti con l'ex maresciallo dei carabinieri, Antonio Borzacchelli, ex deputato regionale dell'Udc ed imputato per concussione.
Ha risposto Cuffaro a tutte le domande, e a molte di queste a risposto con altrettanti ''non ricordo'', ad altre ha dato risposte evasive, in particolare su domande riguardanti alcune intercettazioni inserite nel processo.
Il governatore, sereno e a suo agio in un'aula affollatissima di teleoperatori, fotografi e giornalisti, ha detto più volte che le proprie risposte facevano riferimento a quanto era scritto sulle carte processuali. In una sola occasione il presidente del Tribunale, Vittorio Alcamo, lo ha richiamato per sottolineare che avrebbe dovuto dire quello che ricordava dei fatti che gli venivano chiesti dall'accusa.
In aula erano presenti anche gli imputati Michele Aiello, l'imprenditore bagherese soprannominato il ''Re Mida della Sanità privata'', e il maresciallo dei carabinieri Giorgio Riolo, entrambi agli arresti domiciliari.

L'apparente serenità di Cuffaro è stata turbata solo quando il governatore ha più volte lamentato il tipo di domanda posta, rivolgendosi direttamente ai magistrati: ''Lei non può chiedermi questo...'', oppure ''La domanda me l'avrebbe dovuta porre in modo diverso''. Tutta una serie di puntualizzazioni che hanno portato il pm Maurizio De Lucia  a richiedere l'intervento del presidente Alcamo. Quest'ultimo ha infatti ricordato a Cuffaro: ''Lei può non rispondere alle domande, ma non criticare le domande oppure chiedere di modificarle...''.
Poi, il pm Maurizio De Lucia, quando il governatore per l'ennesima volta si è rivolto a lui con 'dottor De Lucia' e precedentemente ai pm Michele Prestipino e Antonino Di Matteo con i loro cognomi, gli ha detto: ''Gradirei che i pm, visto che l'ufficio è impersonale, non vengano chiamati con i loro cognomi''. E Cuffaro, di rimando: ''Mi dispiace, le chiedo scusa, ma sa è la prima volta che faccio l'imputato...''.
Subito dopo, quando il pm De Lucia si è rivolto al governatore chiamandolo 'senatore', è stato Cuffaro, a dire: ''Ora anche lei mi sta chiamando con il mio titolo...''. Il 'siparietto' tra i due si è chiuso con un richiamo del presidente Vittorio Alcamo ''Fino a oggi il processo si è sempre svolto in modo sereno, spero che possa continuare così anche adesso''.

Durante il dibattimento Cuffaro ha respinto fermamente ogni accusa: ''Non ho mai rivelato notizie riservate su indagini, anche perché non avrei potevo riferire cose che non sapevo'', ha affermato. Il governatore infatti, secondo la Procura, sarebbe stato tra le fonti di Michele Aiello, che avrebbe costituito una rete riservata di informatori per carpire notizie su inchieste antimafia. Cuffaro però ha negato di aver mai fatto confidenze proibite, né ad Aiello né ai marescialli Giuseppe Ciuro della Dia e Giorgio Riolo del Ros, pure finiti sotto processo per questa vicenda.
A questo punto Cuffaro ha parlato delle 'bonifiche dalle cimici' che sono state eseguite fra il '97 e il '98 da parte del maresciallo Giorgio Riolo, nel suo ufficio all'Assessorato regionale all'Agricoltura e poi in seguito, nel 2001, nella propria abitazione e alla presidenza della Regione. ''Era stata un'idea di Antonio Borzacchelli - ha affermato Cuffaro - era convinto che tutto quello che ci dicevamo politicamente lo sapevano gli avversari politici e quindi era convinto che qualcuno ci ascoltava''.
Il pm De Lucia ha quindi chiesto cosa facesse Borzacchelli nel '98, e il governatore ha risposto: ''Era un maresciallo dei carabinieri che si occupava di pubblica amministrazione ma aveva già nella sua mente l'idea di fare politica. Ma da lui non ho mai saputo delle indagini che svolgeva''. Cuffaro ha inoltre detto di avere conosciuto il maresciallo Giuseppe Ciuro: ''Ho rischiato di incontrarlo l'ultima volta qualche giorno prima del suo arresto perché ero stato invitato a una cena, alla quale non sono stato, in cui sapevo che erano presenti anche il pm Antonio Ingroia, il manager della sanità Manenti ed Aiello''.
A Cuffaro, sono state inoltre, rivolte molte domande proprio sul rapporto che intercorreva fra lui e Aiello, e in particolare su uno degli episodi chiave per l'accusa, l'incontro tra Cuffaro e Aiello il 31 ottobre 2003 in una merceria di Bagheria, negozio di una parente di Aiello. ''Parlammo - ha raccontato Cuffaro - del tariffario regionale della sanità. C'erano problemi e si rischiava di non potere più assicurare le prestazioni specialistiche garantite dalle strutture di Aiello''.

L'udienza infine è stata interrotta alle 13, a causa degli impegni in Senato di Cuffaro, dove si è recato per una votazione sulla politica bioetica e l'utilizzo delle cellule staminali. L'esame del governatore da parte dei pm proseguirà la prossima settimana, il 20 giugno.
Il presidente della Regione lasciando l'aula ha detto ai giornalisti che il suo processo è basato su una frase che sarebbe contenuta nelle intercettazioni ambientali effettuate a casa del boss Giuseppe Guttadauro nel momento in cui vennero scoperte le microspie. ''Agli atti del processo si fa riferimento a un tale Totò - ha detto Cuffaro - ma nelle intercettazioni non vi è questa parte della registrazione''. Il governatore ha poi aggiunto: ''Ho contribuito con il pm a ricercare la verità e credo di averlo fatto fino in fondo''. A chi gli ha chiesto di dire il suo parere sulle dichiarazioni del pentito Francesco Campanella, che saranno oggetto nella prossima udienza dell'esame del pm, Cuffaro ha risposto: ''Su Campanella vedremo come andrà a finire, perché ha detto cose su di me, su Cardinale, su Lumia e su D'Alema. Credo, comunque, che per nessuna di queste persone abbia detto cose vere''.

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14 giugno 2006
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