La protesta di Bossi. ''I lombardi non hanno mai tirato fuori i fucili ma per farlo c'è sempre la prima volta...''
Il Senatur, Umberto Bossi, rilancia la battaglia sulle imposte. E lo fa usando toni minacciosi e frasi sopra le righe, nel corso della manifestazione tenutasi nel Passo San Marco, in provincia di Bergamo, che ha avviato la raccolta di firme per la protesta fiscale: ''A loro interessano solo i nostri soldi - attacca, riferendosi al governo - i lombardi non hanno mai tirato fuori i fucili ma per farlo c'è sempre la prima volta''.
Parole da leghista che, ovviamente, hanno suscitato una bufera nel mondo politico.
''Andremo in fondo - ha detto il numero uno leghista - non ci fermeremo a metà, costi quel che costi. La rivolta e la protesta fiscale sono parte della lotta di liberazione in atto perché il Nord ha le scatole piene di uno Stato delinquenziale''. E ancora: ''Davanti alla rapina delinquenziale dell'estate che toglie la libertà, sappiamo come reagire ed arrivare al bersaglio. La protesta fiscale non è la fine del mondo ma una parte della lotta per la libertà''. E infine: ''Se la Lombardia chiude i rubinetti l'Italia muore in cinque giorni perché vivono con i soldi dei lombardi. I lombardi non hanno mai tirato fuori i fucili ma per farlo c'è sempre la prima volta''...
SILENZI ED ELOGI DELLA RIVOLTA FISCALE DI BOSSI
di Agostino Spataro
Umberto Bossi è tornato a riproporre la minaccia dello ''sciopero delle tasse''. Di fronte a questa odiosa minaccia che mette in discussione il principio morale e costituzionale della solidarietà nazionale, ci si aspettava una reazione forte, indignata del ceto politico siciliano, in primo luogo degli esponenti del centro-destra che con la Lega nord è alleato sia in parlamento che in diverse regioni e grandi città.
Invece, nulla. In silenzio è rimasto anche il loquace autonomista Raffaele Lombardo che con Bossi ha fatto, addirittura, liste in comune alle ultime politiche. Anche dal centro sinistra siciliano non sono venute reazioni adeguate alla gravità della minaccia.
Tutti muti come se la faccenda riguardasse la regione del Peloponneso e non direttamente la Sicilia.
Si dirà, ma siamo ad agosto e bisogna godersi le meritate (?) vacanze. E che vuol dire? Di fronte ad una dichiarazione di guerra i generali del paese minacciato non possono invocare un rinvio dell'attacco per poter completare il programma di... cure termali.
Evidentemente, le vacanze non c'entrano. Quando si vuole le prese di posizioni arrivano anche dalle Seychelles o dalle Maldive. L'altro giorno il presidente della regione è insorto, senza averne motivo, contro il presunto declassamento degli aeroporti siciliani previsto nella legge delega sul riordino del sistema aeroportuale italiano. Un allarme infondato che è stato perfino smentito da autorevoli esponenti della CdL. Di fronte alle minacce di Bossi, invece, silenzio, Forse si pensa alla solita spacconata estiva del capo leghista per ottener qualcosa da Prodi nell'incontro di metà settembre. Vedremo. Tuttavia, non bisognerebbe sottovalutare la portata eversiva di questa proposta che, se attuata così come annunciata, potrebbe segnare la fine dell'unità sostanziale della nazione e la crisi irreversibile del sistema politico vigente.
Ma se i big della politica siciliana tacciono c'è un siciliano illustre e politicamente blasonato che si è schierato, senza riserve, dalla parte di Bossi e delle sue camice verdi.
Mi riferisco all'on. Antonio Martino, messinese, ex ministro della Difesa di Berlusconi, il quale su ''La Sicilia'' di qualche giorno fa si è lasciato andare ad un sorprendente (per un economista) elogio dell'insurrezione contro le tasse, a suo dire, inique e illiberali, spingendosi ad affermare che ''un governo disonesto non può né predicare né pretendere onestà''. Secondo l'ex ministro, il ''governo disonesto'' sarebbe quello presieduto dall'on. Prodi contro il quale ''la protesta fiscale è doverosa''. Roba da far accapponare la pelle! Vedremo se qualcuno dei vacanzieri del centro-sinistra si prenderà la briga di rispondere per le rime ad accuse così gravi ed infamanti.
Il nostro professore d'economia, infatti, non solo legittima la campagna eversiva di Bossi e soci, ma addirittura le conferisce una dignità morale e politica. Senza dir nulla - per altro - dell'uso spregiudicato (addirittura ad personam) che il suo governo ha fatto della leva fiscale, fino all'incoraggiamento - di fatto - dato all'evasione fiscale, vero cancro dell'economia e principale fonte d'ingiustizia e d'iniquità sociale.
Certo, le cose così come sono non possono restare. Già il governo, per bocca del vice-ministro Visco, ha preannunciato una riduzione delle aliquote, nuovi incentivi per le imprese e una più penetrante azione di lotta all'evasione.
Ma questa è materia di confronto (e se possibile anche di convergenza) in parlamento e non di sommosse di piazza. Altro che le proteste no-global!.
Le tasse sono un tema delicato che non può essere agitato irresponsabilmente, strumentalizzando il malcontento, motivato e non, dei contribuenti e/o mettendo una regione contro l'altra, il nord ricco contro il sud che, malgrado tutto, resta povero ed emarginato dal ciclo economico.
Un solo esempio. Se dovesse passare la protesta invocata da Bossi e da Martino vorrebbe dire che lo Stato non potrebbe più finanziare gli ospedali e la sanità pubblica e privata siciliane.
E così dicasi per tanti altri importanti servizi sociali. Ora, è indubbio che bisogna risanare e ri-orientare la spesa pubblica italiana e quella siciliana in particolare, ma è altrettanto indubbio che anche una spesa risanata non potrebbe essere finanziata con il gettito delle imposte raccolte in Sicilia.
E alla gente cosa diranno gli alleati di Bossi che oggi tacciano di fronte alle sue minacciose manovre?
Forse è il caso che i governanti isolani si facciano quattro conti per rendersi meglio edotti a quali conseguenze andrebbe incontro il sistema siciliano dei servizi pubblici e non solo se dovessero attuarsi lo sciopero fiscale minacciato dalla Lega Nord e la riforma federalista reclamata dal cattolicissimo Formigoni, presidente berlusconiano della regione Lombardia.
Insomma, anche da questa vicenda si rileva che in Sicilia c'è una classe politica e di governo che non riesce, o non vuole, frenare la spesa, anche quella parte scandalosamente clientelare e che nulla si sta facendo per fronteggiare gli effetti disastrosi di una riforma fiscale ''federalista'' che alla fine ci sarà. Un comportamento quantomeno improvvido che compromette il futuro, anche prossimo, dei siciliani.
Si continua a vivere alla giornata, ognuno prendendo quello che può. E dopo?
Quando verrà la riforma federalista non ci saranno scappatoie. L'unica alternativa sarà tagliare i servizi o aumentare a dismisura tasse e balzelli locali, addizionali e quant'altro che già taglieggiano i grami bilanci delle famiglie e delle imprese.
Perciò, un no al disegno eversivo di Bossi dovrebbe essere accompagnato (meglio se preceduto) da uno sforzo straordinario di risanamento della spesa della regione e da un nuovo modo di governare e di amministrare le risorse pubbliche.