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La recessione del 2012

Le previsioni e le ipotesi dell'Ocse sulla crescita italiani in termini di Pil e occupazione

30 novembre 2011

Il Pil dell'Italia segnerà un calo dello 0,5% nel 2012, contro il +1,6% previsto in precedenza. L'Ocse, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, rivede così al ribasso anche la stima 2011 a +0,7%, contro il precedente +1,1%. Per il 2013 l'Ocse prevede una crescita a +0,5%.
Sul fronte dei conti pubblici, l'organizzazione con sede a Parigi ha stimato un deficit al 3,6% del Pil nel 2011, migliore del 3,9% previsto a maggio e all'1,6% nel 2012, migliore dell'iniziale 2,6%. Per il 2013 prevede un deficit praticamente in pareggio, allo 0,1% del Pil. Per quanto riguarda il debito, l'Ocse prevede 127,7% quest'anno, 128,1% nel 2012, 126,6% nel 2013.
In salita la disoccupazione all'8,1% nel 2011, all'8,3% nel 2012 e all'8,6% nel 2013, mentre la crescita dei salari "sarà moderata". "Moderata" anche l'inflazione al 2,7% nel 2011, per poi scendere all'1,7% nel 2012 e all'1,1% nel 2013.

Alla luce delle nuove previsioni su Pil e conti pubblici, ben al di sotto di quanto previsto nel bilancio 2012 "saranno necessarie ulteriori misure nel 2012" per riportare sui giusti binari il consolidamento. "La crescita potrebbe in qualche modo essere più alta se un'azione decisiva da parte del nuovo governo abbassasse velocemente lo spread sui titoli di stato e ripristinasse la fiducia". Tuttavia la programmata stretta di bilancio "è molto severa e richiederà una forte determinazione da parte del nuovo governo e potrebbe avere effetti di contrazione più forti di quelli previsti".
L'Ocse mette nero su bianco la sua ricetta per fare uscire l'Italia dalla crisi. Tra questi, pareggio di bilancio nel 2013, taglio debito e avviare subito le riforme strutturali per rafforzare la crescita. Il governo Monti, si legge nel rapporto dell'Ocse, "ha poco spazio di manovra nell'azione di bilancio". Deve rafforzare il consolidamento e se necessario "introdurre ulteriori strette di bilancio per rimettere in ordine i conti". La strada da seguire è quella di un "restringimento della spesa, piuttosto che un aumento delle tasse". "Nuove amnistie fiscali sarebbero controproducenti".
Il nuovo governo dovrebbe inoltre adottare "il prima possibile" le misure per concretizzare gli impegni della lettera dell'Italia all'Ue del mese scorso. Per quanto riguarda il mercato del lavoro occorre "aumentare la flessibilità e ridurre la frammentazione del mercato". "Imperativa" la moderazione salariale, mentre sul pubblico impiego bisognerebbe tagliare le differenziazioni regionali. Inoltre l'Ocse invita il gopverno ad andare avanti con la liberalizzazione delle professioni e i servizi all'impresa per spingare la concorrenza. "La privatizzazione dei servizi pubblici locali - si legge nel rapporto - e la creazione di regolatore indipendente migliorerebbero l'efficienza". Avanti anche le privatizzazioni e le misure per favorire l'ingresso di investitori stranieri anche nel settore finanziario.

La disoccupazione in Italia è in aumento e la Sicilia continua ad essere il fanalino di coda - La crisi economica continua a farsi sentire sul mercato del lavoro a livello regionale nell'Ue-27, dove il tasso di disoccupazione nella fascia di età tra 15 e 74 anni è aumentato al 9,6% nel 2010, il livello più alto nell'ultima decade: è quanto emerge dal nuovo rapporto sul mercato del lavoro regionale in Europa pubblicato da Eurostat.
In Italia, l'ultima in classifica è la Regione siciliana, con una disoccupazione del 14,7%, mentre la Provincia autonoma di Bolzano - al 2,7% - ha il tasso più basso nella Ue-27, a pari merito con la provincia olandese di Zeeland.
La Maglia Nera della disoccupazione regionale va alla Francia e alla Spagna, rispettivamente con le isole La Riunione (28,9%) e le Canarie (28,7%), mentre tra le provincie che resistono meglio alla crisi - oltre a Bolzano e Zeeland - ci sono la Svizzera centrale (3%), Agder e Rogalan in Norvegia (2,6%), il Tirolo in Austria (2,8%), la Scozia nordorientale (3,5%), la provincia del Vlaanderen occidentale in Belgio (3,8%) e l'Alta Baviera (3,6%) in Germania.

Ma il precariato non conosce crisi - Dei circa 6 milioni e 100 mila giovani dai 15 ai 34 anni occupati nel nostro Paese, quasi 3 su 10 sono precari; si tratta del 43% dei precari totali. Più della metà sono donne, e con l'aumentare del titolo di studio cresce anche la precarizzazione. E mentre il numero di giovani occupati è diminuito del 15,6% dal 2007 per effetto della crisi economica, i contratti precari sono addirittura aumentati. Queste tendenze sono particolarmente ampie nel Nord Italia, mentre al Centro-Sud, che detiene le quote più ampie di giovani precari, anche l'instabilità lavorativa ha fatto i conti con la crisi.
Datagiovani ha esaminato i dati della rilevazione sulle forze di lavoro dell'Istat nei primi due trimestri di quest'anno, stimando i giovani precari e confrontandoli con il 2007 per valutare come la crisi occupazionale abbia influito sui rapporti di lavoro più instabili. Un esercito di 1 milione e 640 mila giovani. Questi sono i numeri del precariato giovanile in Italia. Si tratta di lavoratori dipendenti a tempo determinato o part-time che non hanno potuto scegliere una diversa forma contrattuale, nonchè i collaboratori e le partite Iva che di fatto lavorano alla stessa stregua di lavoratori dipendenti. Su un totale di poco più di 3 milioni e 800 mila precari, gli Under 35 sono il 43%.
Fotografia di un giovane precario: dipendente a termine, donna, laureata. Il 70% dei precari Under 35 è rappresentato da giovani con contratto a termine imposto dall'azienda, componente che però è in leggera flessione, rispetto ad una crescita del 45% dei part-time involontari, ovvero giovani che avrebbero voluto lavorare full-time: in questo caso si tratta più di un precariato "economico" piuttosto che di vera e propria instabilità lavorativa. Le donne sono oltre la metà dei precari giovani (e più di una ragazza su tre che lavora è precaria). Inoltre, con l'aumentare del titolo di studio aumenta anche la probabilità di precarizzazione, che arriva al 29% dei giovani con laurea, sebbene la crescita nell'ultimo periodo abbia coinvolto sostanzialmente solo i diplomati (+5,3%). Quasi 3 giovani che lavorano su 10 sono precari. I giovani precari sono infatti il 27% degli occupati giovani totali, contro incidenze del 13% o meno nelle altre classi d'età. Il peso dei precari sull'occupazione giovanile è dunque più del doppio che nel resto dei lavoratori. Inoltre, rispetto al 2007, la componente precaria dell'occupazione giovanile è aumentata di oltre 4 punti percentuali, molto di più che per gli altri lavoratori. Sono di più al Sud, ma crescono solo al Nord. Nel Mezzogiorno si conta, oltre al valore assoluto più elevato di giovani precari (quasi 487 mila) anche l'incidenza maggiore di precari sugli occupati (29%, quattro punti percentuali in piu' rispetto al Nord). Ma mentre nelle regioni settentrionali negli ultimi quattro anni i precari sono aumentati, e consistentemente (in particolare nel Nordest, +11%), al Sud la flessione di giovani che lavorano si è sentita anche tra quelli più esposti alla crisi (-5,7%).

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, Adnkronos/Ign, Labitalia]

 

 

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30 novembre 2011
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