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La revoca del 41 bis per fare cessare le stragi

Sette mesi dopo via D'Amelio il capo del Dap suggeriva al Guardasigilli di revocare il carcere duro per...

16 novembre 2010

La Procura di Caltanissetta, che ha riaperto le indagini sulla strage di Via D'Amelio in cui venne assassinato il giudice Paolo Borsellino, ha disposto il sequestro del documento con cui, il 6 marzo 1993, l'allora capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria Nicolò Amato suggeriva all'allora ministro della Giustizia, Giovanni Conso, la revoca del 41 bis ai capimafia al carcere duro.
La nota è stata acquisita tempo fa dai magistrati nisseni. La stessa nota dell'ex capo del Dap è stata anche acquisita dalla Dda di Palermo che indaga sulla cosiddetta "trattativa" tra lo Stato e Cosa nostra.
Il 6 novembre dello stesso anno l'ex Guardasigilli Conso dispose la revoca del 41 bis per 140 mafiosi al carcere duro. Una decisione ripetuta nei giorni scorsi davanti alla Commissione nazionale antimafia, che ha scatenato numerose polemiche (Leggi l'articolo di Giovanni Bianconi). I magistrati di Palermo ascolteranno già nei prossimi giorni l'ex ministro Conso, ma anche Nicolò Amato.

Anche l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino è stato sentito dall'Antimafia nei giorni scorsi. Mancino, ai commissari, ha detto tra l'altro di non essere mai stato informato, né da apparati politici o istituzionali, né dall'allora colonnello del Ros Mario Mori della trattativa. Conso, invece, si è assunto la paternità esclusiva del provvedimento di revoca del 41 bis nei confronti di 140 boss, deciso il 6 novembre del 1993, a suo dire, per fermare le stragi mafiose. Nicolò Amato, invece, entra nell'indagine perché, già a marzo del 1993, in un documento suggerì al Guardasigilli la revoca del carcere duro. L'appunto, il "numero 115077 del 6 marzo 1993", è adesso pubblicato sul blog www.ipezzimancanti.it, curato dal giornalista Salvo Palazzolo.
La nota del Dap non era solo un'iniziativa di Amato. E' lui stesso a scriverlo, citando una riunione del comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza convocato in quei giorni. "In quella sede, il 12 febbraio scorso - scriveva Amato - sono state espresse, particolarmente da parte del capo della polizia, riserve sulla eccessiva durezza di siffatto regime penitenziario. Ed anche recentemente - prosegue Amato - da parte del ministero dell'Interno sono venute pressanti insistenze per la revoca dei decreti applicati agli istituti di Poggioreale e di Secondigliano".
Perché il capo della polizia Vincenzo Parisi e il Viminale allora retto da Nicola Mancino esprimevano quelle "riserve" sul 41 bis? E' quello che si chiedono i magistrati di Palermo.
Dimessosi dal Dap a giugno del 1993, Amato diventò il legale di Vito Ciancimino (uno dei protagonisti secondo la Procura della prima fase della trattativa - ndr).

Amato contro Martelli - "Non sapevo, non so e non mi interessa sapere di trattative". Piuttosto, "fui io ad avanzare la proposta di cercare forme di lotta alla mafia più serie, dure ed efficaci di quelle rappresentate dal 41 bis di allora". L'ex magistrato e capo del Dap, il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, Nicolò Amato, in un'intervista all'Adnkronos, si dice "indignato dei sospetti" e risponde alle rivelazioni secondo le quali fu lui a 'suggerire' nel marzo del 1993, al ministro della Giustizia dell'epoca, Giovanni Conso, la revoca del regime carcerario duro per 140 mafiosi detenuti nel carcere palermitano dell'Ucciardone. Una delle richieste avanzate da Cosa Nostra allo Stato, nella presunta trattativa che si sarebbe consumata tra il 1992 e il 1993 tra stragi e 'papelli'. La decisione di non prorogare quei provvedimenti, effettivamente ci fu, nel novembre dello stesso anno: "Una scelta che ho fatto io, per evitare altre stragi", ha detto Conso la scorsa settimana davanti alla Commissione Antimafia.
"Il 41 bis l'ho introdotto io, d'accordo con Claudio Martelli, nell'estate del 1992", rivendica invece Amato, ricordando il provvedimento con il quale, dopo le stragi di Capaci e via d'Amelio, "di notte riaprimmo l'Asinara e Pianosa" per trasferirci i detenuti per mafia. L'appunto (75 pagine, datato 6 marzo 1993, ndr) con il quale Amato avrebbe suggerito a Conso di attenuare il regime carcerario per i mafiosi dell'Ucciardone, "bisogna leggerlo tutto" afferma l'ex capo del Dap: "Identificare questo appunto come una proposta per eliminare il 41 bis vuol dire distorcerlo completamente".

Nel ricordare il clima di quegli anni, nei quali lo Stato usciva vincitore dalla battaglia contro il terrorismo politico (Amato, dalla Procura di Roma seguì alcune delle inchieste e dei processi più importanti, tra cui il caso Moro) e si trovava ad affrontare quello mafioso, l'ex magistrato fa una premessa: "Per ragioni culturali sono sempre stato contrario a rendere permanente l'aggravamento delle condizioni di detenzione al di fuori di specifiche esigenze di giustizia e di emergenza". E infatti, spiega, "ho assunto il mio incarico nel gennaio del 1983 e una delle prime iniziative che presi fu l'abolizione dell'Articolo 90 dell'allora Legge Penitenziaria, che era il padre diretto del 41 bis, che all'epoca si applicava prevalentemente ai terroristi". Il risultato, sostiene Amato, fu che "nelle carceri, fino al 1983, c'erano dai 15 ai 27 omicidi, più gli agenti di polizia penitenziaria che venivano ammazzati fuori; c'era un numero infinito di suicidi, c'erano evasioni, e le rivolte erano all'ordine del giorno". "Dopo aver soppresso l'articolo 90 - ricorda Amato - gli omicidi in carcere finirono, i suicidi si ridussero, non ci furono più evasioni e rivolte con la frequenza di prima".
Nell'appunto del 1993, sostiene Amato, c'era la proposta di eliminare alcune delle restrizioni a suo giudizio meno efficaci. Come quella sul numero di ore d'aria, o sulla consistenza dei pacchi per i mafiosi detenuti. La censura della corrispondenza, spiega, non veniva abolita, ma se ne rimandava l'autorizzazione al magistrato, "come prevede la Costituzione". Quanto ai colloqui, era inutile, secondo Amato, limitarne il numero, come prevedeva il 41bis, ma piuttosto, andavano videoregistrati. "Nell'appunto indirizzato a Conso lo proponevo. Fui io il primo in Italia a farlo, e infatti ora il 41 bis lo prevede. Questo significa forse aiutare la mafia? Anche perché - conclude Amato - la trattativa, se di doveva fare, i mafiosi la facevano con personalità di rango superiore, non certo con un funzionario del ministero".

"Non è vero che io e Nicolò Amato elaborammo insieme il 41 bis". L'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli contesta all'Adnkronos quanto dichiarato da Amato a proposito della presunta trattativa fra lo Stato e la mafia. "Non entro nel merito delle singole dichiarazioni di Amato perché ciò richiederebbe una discussione approfondita sulle strategie più efficaci e sulle responsabilità: non avanzo nessun sospetto perché non è nel mio stile - premette Martelli - Ma una cosa la voglio contestare: di aver elaborato il decreto Falcone insieme con Nicolò Amato". Ricorda proprio a tal proposito l'ex guardasigilli: "Lui era contrario al 41 bis, tant'è che non firmò il decreto di trasferimento dei boss nelle carceri speciali di Pianosa e dell'Asinara. A farlo dovette essere il ministro, cioè io", tiene a sottolineare.

Sulla questione il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione Antimafia dice: "Alla luce dell’audizione dell’ex ministro Conso anche la Commissione antimafia deve prendere in esame la nota dell’allora capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Nicolò Amato, che suggeriva al ministro della Giustizia la revoca del 41 bis nei confronti dei capimafia condannati al carcere duro. Tale documento e la notizia dello svolgimento di un Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica del 12 febbraio del ‘93 - in cui si discusse del 41 bis, sottolineandone l’eccessiva durezza - confermano i dubbi sul coinvolgimento di pezzi deviati delle istituzioni nella trattativa Stato-Cosa nostra, che vanno verificati. La Commissione antimafia esamini tutti i documenti possibili per capire chi spinse i vertici delle istituzioni a prendere decisioni che, di fatto, combaciano col tenore delle richieste avanzate dalla mafia e se queste pressioni vennero proprio da chi stava gestendo la trattativa".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa, www.giuseppelumia.it]

- "Amato avvocato di mio padre su ordine di uomini dello Stato" di Salvo Palazzolo

 

 

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16 novembre 2010
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