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La scoperta di... Catullo

Sul superpoliziotto La Barbera, nome in codice "Catullo", e i depistaggi nelle indagini sulle stragi del '92

15 giugno 2010

Ci sarebbero tre funzionari di polizia iscritti nel registro degli indagati per il depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Avrebbero gestito a loro piacimento il pentito Vincenzo Scarantino. Si tratta di Vincenzo Ricciardi, oggi questore di Novara; Salvatore La Barbera, oggi alla Criminalpol; Mario Bo, dirigente della polizia in Friuli. L’accusa è di concorso in calunnia. A guidarli l’ex questore di Palermo, Arnaldo La Barbera, su cui i pm di Calanissetta hanno scoperto qualcosa di molto importante. "Arnold", come veniva chiamato il superpoliziotto che arrestò Contorno ed era responsabile della sicurezza personale di Giovanni Falcone, era al libro paga del Sisde, il servizio segreto civile. La notizia è stata pubblicata nei giorni scorsi da "Il Fatto quotidiano".

I magistrati di Caltanissetta che hanno riaperto l’inchiesta sulla strage di via D’Amelio hanno avuto accesso agli archivi del Aisi (ex Sisde) e hanno trovato il fascicolo di Arnaldo La Barbera, nome in codice "Catullo", che prima di sbarcare in Sicilia, fra il 1986 e il 1987 veniva regolarmente stipendiato dai servizi con un "gettone" di un milione di lire al mese. Il nuovo elemento che emerge dalle indagini assume importanza in quanto La Barbera, oltre ad essere costantemente minacciato dalla mafia, è stato posto a capo delle indagini del gruppo investigativo Falcone-Borsellino. Secondo le indagini, con metodi "forti", i tre poliziotti oggi indagati hanno confezionato una ricostruzione della strage completamente falsa consegnandolo ai magistrati nisseni. Ma la procura di Caltanissetta si muove con cautela anche perché non si possono addossare colpe a chi non può difendersi, come per "Arnold", morto nel 2002.
E intanto continuano a tessere per legare gli episodi stragisti dall’89 al ‘92. Il fallito attentato all’Addaura, l’omicidio di Nino Agostino ed Emanuele Piazza fino ad arrivare alle stragi del ‘92. Erano coordinati sempre da La Barbera gli uomini che fecero la perquisizione in caso Agostino subito dopo la sua morte, facendo sparire - secondo l’accusa - diversi appunti del poliziotto prestato ai servizi per la caccia dei latitanti. E proprio il padre di Agostino, Vincenzo, fu chiamato dall’ex questore nel '91 prima di partecipare a una puntata di "Samarcanda". "Quella sera – ha detto Vincenzo Agostino ai microfoni di Radio Cento passiLa Barbera mi trattenne un'ora alla Squadra mobile, minacciando di arrestarmi. Voleva sapere quello che io dovevo dire in televisione, voleva sapere se avevo appunti che avrebbero potuto danneggiarlo. La Barbera oggi non c’è più, ma ci sono altre persone che sanno la verità. Chi sa, parli".


Vincenzo Agostino e la moglie

Per il momento non c'è alcun collegamento - preciso e documentato - fra i buchi neri delle indagini sulle stragi e la scoperta di "Catullo", lo scenario che però si apre con l'entrata in scena di La Barbera è di quelli molto inquietanti.
A svelare l'esistenza del fascicolo segreto su Arnaldo la Barbera sono stati due giornalisti, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, che ne "L'Agenda Nera" (un saggio che da pochi giorni si può trovare in libreria - Chiarelettere, pag. 464, euro 15) ricostruiscono come sono state taroccate le indagini su via D'Amelio. Un capitolo è dedicato ai "depistaggi di Stato". Ed è lì che si svela l'identità della "fonte Catullo". Chi ha indagato sugli assassini di Paolo Borsellino - e ha incastrato il falso pentito Vincenzo Scarantino, quello smentito diciassette anni dopo da Gaspare Spatuzza - risultava nel 1986 e nel 1987, quindi nei due anni precedenti al suo arrivo a Palermo, un agente sotto copertura. Se la circostanza è assai strana di per sé (perché un poliziotto, anzi un superpoliziotto, avrebbe dovuto ricevere degli "extra" dal servizio segreto? e quali notizie di polizia giudiziaria avrebbe dovuto rivelare all'intelligence?), ancora più complicato e cupo è il contesto in cui questa informazione scivola. E' quello della strage Borsellino. Indagine che è parzialmente da rifare, con un pezzo del processo già definito in Cassazione che va verso la revisione.

La "strana" e inquietante vicenda sembra trovare pieno riscontro nelle parole di Gioacchino Genchi, l'oramai celebre super consulente informatico, dette durante l'intervista rilasciata a Klaus Davi per il suo programma di approfondimento politico KlausCondicio. "Tutti a Palermo sapevano che Parisi, allora capo della Polizia, pagava una suite all'hotel Politeama a Salvatore La Barbera con un appannaggio di circa un milione di lire al mese [...] Lo sapevano tutti, anche gli attuali vertici della Polizia, che grazie a lui hanno fatto carriera. Ma credo che attribuire la sua organicità al Sisde sia un depistaggio. Nell'ultima fase delle indagini su via D'Amelio sono avvenute cose gravi: La Barbera ha cambiato direzione rispetto alla pista che era stata imboccata dai magistrati di Caltanissetta. Arrivò uno stop ministeriale che provocò anche il mio trasferimento. Da allora le indagini di La Barbera cambiarono direzione. Ma la cosa ancora più grave fu l'utilizzo del pentito Scarantino come test affidabile. Nessuno poteva veramente credere a Scarantino. I soldi in nero sono gravi ma si dovrebbe indagare sull'occultamento delle prove sulla strage di Via D'Amelio e il ruolo di La Barbera in questa vicenda infinitamente più grave". [Informazioni tratte da Ansa, LiveSicilia.it, Repubblica.it]

Stragi, servizi e depistaggi: così Genchi aveva anticipato i sospetti su La Barbera
di Benny Calasanzio (MicroMega, 10 giugno 2010)

Come nelle migliori trame tessute da esperti giallisti, sulle indagini per la strage di Via d'Amelio piomba l'ennesimo colpo di scena, che a dir la verità si annusava da qualche tempo a questa parte e che da quasi un anno, invece, giaceva accennato sulle pagine di un libro.
A restituire un ulteriore tassello di verità su quello che accadde dopo la strage del 19 luglio, sui depistaggi e sui processi "farsa" sono stati ancora una volta Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, ormai coppia fissa in delicate inchieste come L'Agenda Rossa di Paolo Borsellino e Profondo Nero, e L'Agenda Nera.
Questa volta, il nome che viene fuori dalla carte che ora sono in mano alla Procura di Caltanissetta fa sobbalzare sulla sedia. Arnaldo La Barbera, ex capo della Squadra Mobile di Palermo e poi questore della città. Lo stesso La Barbera che era stato responsabile della sicurezza personale di Giovanni Falcone e successivamente, con un decreto ad hoc che, come vedremo, aveva già procurato dei sospetti a chi gli era vicino, nominato al vertice della squadra investigativa "Falcone-Borsellino" per seguire le indagini sulle stragi.
Ebbene, negli uffici dell'Aisi, dove erano custoditi gli elenchi e le foto degli agenti segreti che tra gli anni Ottanta e Novanta hanno agito in Sicilia sotto copertura, alcuni dei quali intrattenendo oscene trattative e abboccamenti con uomini di cosa nostra, c'era anche il super poliziotto con il nome di battaglia "Catullo".
Si ipotizza che La Barbera e il suo entourage potesse aver avuto un ruolo nel confezionare il falso pentimento di Vincenzo Scarantino che, autoaccusandosi del furto della 126 che poi sarà riempita del semtex che ucciderà il procuratore Borsellino, deviò le indagini verso il nulla (tre suoi stretti collaboratori sono già indagati per concorso in calunnia). Il processo su Via D'Amelio fu infatti chiuso in fretta e furia sulla base delle dichiarazioni di pseudo mafiosi che al massimo sarebbero stati in grado di rubare qualche caramella ad un bambino particolarmente sprovveduto. Scarantino, Candura, Francesco Andriotta, nomignoli delle borgate palermitane, ladri di polli che all'interno di cosa nostra non avevano alcun significato, ma ottimi da dare in pasto ad una giustizia che aveva fretta di chiudere i conti con il passato senza toccare i fili dell'alta tensione, che passano soprattutto per i servizi che ormai, alla luce dei fatti, definire deviati è un pleonasmo. Ben sei processi e due pronunce della Suprema Corte basati solo ed esclusivamente su balle colossali.

Ma se la conferma che La Barbera fosse al soldo dei servizi è nuova e verrà raccontata dettagliatamente nel saggio dei due giornalisti, ampi stralci che lasciavano presagire ad alcuni strani movimenti avvenuti nella Questura di Palermo in quei giorni sono già scritti e pubblicati da mesi. In quel libro di quasi mille pagine, Il Caso Genchi. Storia di un uomo in balia dello Stato, che ha lo strano effetto di riportare o anticipare cose che hanno da accadere. Che compone puzzle a cui poi, dopo anni, qualcuno aggiunge l'ultimo tassello.
Lo stesso Genchi che con La Barbera lavorò fianco a fianco fino alla clamorosa rottura. Gioacchino Genchi, già vice questore a Palermo, attualmente sospeso dal servizio, la sua versione l'aveva già scritta, senza sapere, chiaramente, quello che sarebbe poi venuto fuori. Gli era costato caro raccontare aspetti poco chiari di una delle persone professionalmente e umanamente più importanti della sua vita. Solo che Genchi fa il consulente, non il veggente, dunque molte cose erano già note e bastava aprire gli occhi. E leggendo alcuni passaggi del volume, non si può rimanere indifferenti alle troppe affinità con lo "scoop" sui servizi segreti. Solo che lo scoop è di oggi. Il libro è del dicembre 2009. Quando le indagini del gruppo Falcone Borsellino presero la via di Scarantino, Genchi fu l'unico che ebbe il coraggio di andarsene e sbattere la porta, mettendo a repentaglio la carriera e non solo.

Dal libro di Edoardo Montolli "Il Caso Genchi. Storia di un uomo in balia dello Stato":
Nell’altra Procura, a Caltanissetta, si corre: l’inchiesta su via D’Amelio sta per subire una brusca accelerata. E per il commissario capo si corre troppo. E una sera, nell’ufficio del gruppo Falcone-Borsellino, si urla. Dentro, ci sono due persone: Gioacchino Genchi e Arnaldo La Barbera.
Genchi: "Dopo le accuse di Candura e la confessione di Scarantino, decisero di arrestare Pietro Scotto, l’uomo che avevo individuato come possibile telefonista per via D’Amelio. Mi parve una cosa assurda. Stava a due passi dal nostro ufficio, era intercettato, avrebbe potuto forse portarci ben più avanti. Perché faceva avanti e indietro da via D’Amelio a sotto il Monte Pellegrino, su cui avevo focalizzato l’analisi dei tabulati. Ci fu una discussione durissima, di fuoco. Continuavo a spiegargli che si doveva aspettare, che non potevamo agire. Glielo ripetevo alla nausea: non arrestarlo, non arrestarlo…"
I toni si alzano. Come e più che nel 1989, quando il raid da Contorno continuava a ritardare. Genchi dice che non va, non funziona proprio così.
Genchi: "Litigammo tutta sera e per buona parte della notte. Ero infuriato: il mancato riscontro sul viaggio di Falcone, l’abbaglio su Maira, e ora l’arresto di Scotto per le confessioni di due personaggi improbabili come Candura e Scarantino che rischiavano di far naufragare l’inchiesta. Pietro Scotto no. Lui no. Strilla Genchi, strilla convinto che ogni cosa sarà persa se lo arresteranno. E quel che poi accade è ciò che non sarebbe mai dovuto accadere. Un nodo alla gola che si porterà dietro per sedici anni: Fu allora che La Barbera scoppiò a piangere. Pianse per tre ore. Mi disse che lui sarebbe diventato questore e che per me era prevista una promozione per meriti straordinari. Non volevo e non potevo credere a quello che mi stava dicendo. Ma lo ripeté ancora. E ancora. E furono le ultime parole che decisi di ascoltare. Me ne andai sbattendo la porta. L’indomani mattina abbandonai per sempre il gruppo Falcone-Borsellino. E le indagini sulle stragi".


È la notte tra il 4 e il 5 maggio 1993. Genchi si chiama fuori. Il 14 un’autobomba esplode a Roma, in via Fauro. L’attentato pare diretto al giornalista Maurizio Costanzo, che ci stava passando, ma che al momento dello scoppio era ancora fuori bersaglio. Sulla stessa via, a una manciata di metri, c’è parcheggiata la Y10 di Lorenzo Narracci, vice di Contrada al Sisde, che abita lì. C’è chi si chiede se il vero obiettivo fosse lui. La strategia della tensione si sposta poi a nord. Il 27 tocca a Firenze, via dei Georgofili, agli Uffizi: cinque morti e trentasette feriti. Il giorno dopo, Pietro Scotto viene arrestato. L’11 luglio, il ministro dell’Interno Nicola Mancino promuove La Barbera dirigente superiore e col grado di questore lo assegna alla direzione centrale della polizia criminale di Roma. L’anno successivo diventerà il nuovo questore di Palermo.

La storia, purtroppo, era già scritta. Mancava un finale degno della trama e ora pare che ci siamo molto vicini.

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15 giugno 2010
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