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La scuola del Mezzogiorno d'Italia e il suo proverbiale divario con quella del Nord Italia

Tra iscrizioni, abbandoni, voglia di studiare e la paura della disoccupazione

12 gennaio 2006

E' oramai proverbiale il divario che esiste tra alcune realtà del Norditalia e alcune del Mezzogiorno. Per quelle che appartengono a quest'ultima, appellativi quali ''pochi progressi'', ''molti ritardi''''sviluppo ancora tutto da creare'' sono quelli che anno dopo anno figurano negli studi, nei sondaggi e nelle analisi fatte dalla maggior parte degli istituti di ricerca statistica.
Alla scuola del Mezzogiorno, purtroppo, sono proprio questi gli appellativi da dare: aumenta il tasso di scolarità alle superiori (gli iscritti passano dal 63,5 all'89,7 per cento negli ultimi dieci anni), ma non diminuisce il numero degli studenti che abbandonano lo studio prima di arrivare alla maturità. Sempre consistente la differenza con il centro-nord.
A fare il punto sulla scuola del sud d'Italia, sul divario territoriale esistente, sugli sbocchi occupazionali dei giovani meridionali (siano essi diplomati o laureati) e sul crescente fenomeno della fuga di ''capitale umano'', in alcuni casi battezzata ''fuga di cervelli'', è uno studio dello Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno).
Tre ricercatori dello Svimez (Luca Bianchi, Sandro Gattei e Sergio Zoppi), dopo aver raccolto e aggiornato numerosi dati sul mondo della scuola, tra gli altri anche quelli prodotti dall'Istat e dal Ministero dell'Istruzione, hanno realizzato un'ampia analisi, intitolata ''La scuola nel Mezzogiorno tra progressi e ritardi''.

Sul tema della scolarizzazione nel Mezzogiorno sembra che qualche passo avanti, molto importante, sia stato fatto. Almeno per quel che riguarda la scuola dell'obbligo. Secondo l'analisi, sia al Nord che al Sud, nella scuola primaria, la partecipazione è totale e tutti coloro che conseguono la licenza media si iscrivono poi alla scuola secondaria superiore. Un netto miglioramento rispetto agli inizi degli anni '90, quando il tasso di iscritti si limitava all'83% degli studenti meridionali e all'88% di quelli settentrionali. E di conseguenza un miglioramento anche del tasso di scolarità nella scuola secondaria superiore: è salito, specialmente nel Mezzogiorno, dove si è passati dal 63,5% del 1991 all'89,7% nel 2003 (dal 71,7% al 92,5% nel resto del Paese).
Miglioramento che però deve fare i conti con il fatto che buona parte di questi ragazzi abbandona la scuola prima della maturità.
Un'indagine del Ministero dell'Istruzione, (e ripresa dai ricercatori Svimez) rivela infatti che nel 2002 il 4,6% degli iscritti nel Mezzogiorno continentale e il 7,1% nelle Isole non sono stati valutati agli scrutini finali perché si sono ritirati dalla scuola. Lo stesso problema, seppur di minor portata, è stato riscontrato al Nord (4,4%) e al Centro (3,4%). Eppure, se molti al Sud abbandonano, altri manifestano molta voglia di continuare a studiare: cresce perciò il numero degli iscritti ai corsi di laurea breve (soprattutto dei gruppi medico e politico-sociale) anche se il divario rispetto alle regioni settentrionali, in termini di tassi di iscrizione (30,5% contro 41,2%), risulta ancora ampio.

Le carenze della scuola italiana fanno riflettere ancora di più se questa viene messa a confronto con la Scuole di altri Paesi europei, e non solo quelli economicamente più avanzati, ma anche quelli caratterizzati da un grado di sviluppo decisamente minore. Per esempio, alcuni paesi dell'Europa centro-orientale: vantano livelli di istruzione della popolazione assai più elevati di quelli italiani (che si tratti del nord o del sud). Nel 2002 la popolazione in possesso almeno di un diploma di scuola secondaria superiore è l'87,9% nella Repubblica Ceca, l'86 % nella Repubblica Slovacca, l'81,6% in Polonia e il 71,4% in Ungheria. Mentre in Italia la quota si ferma ad un modesto 46,3%, (il 42,0% nel Mezzogiorno e il 51,4% nel Centro-Nord). Se poi si considerano le persone in possesso di laurea, ci troviamo al sud con l'11,1%: meno di un terzo della popolazione laureata del Giappone (36,3%), degli Stati Uniti (38,1%) e della Svezia (32,5%).
 
Attraverso la ricerca Svimez si comprende che l'elemento fondamentale di tutta la questione diventa il lavoro che non c'è e che non arriva. Dall'analisi dei dati Ocse e Istat sul rapporto tra livello di istruzione e condizione lavorativa, risulta che il rendimento dell'investimento formativo è in Italia più basso che negli altri Paesi, a causa del ritardato ingresso dei giovani sul mercato del lavoro. Con un picco negativo nel Mezzogiorno, dove la transizione scuola-lavoro è più lunga, e più bassa è la probabilità di trovare un impiego adeguato al titolo di studio raggiunto. Ciò spiega perché sempre più studenti scelgano di studiare ''fuori sede'' o di migrare appena finita la scuola o l'università.
Dall'indagine Svimez risulta infatti che su circa 50.000 laureati meridionali, 20.000 a tre anni dalla laurea sono disoccupati e dei 30.000 che lavorano, un terzo lavora al Nord. Mentre il 20% di quelli che rimangono a lavorare al Sud, giudica la laurea eccessiva rispetto al lavoro che svolge. Dal 1998 al 2002 sono circa 75 mila i ragazzi, tra i 20 e i 29 anni, ben istruiti che ogni anno hanno lasciato il Mezzogiorno. [da un articolo di Tullia Fabiani per Repubblica]

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12 gennaio 2006
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