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La ''seconda guerra del Golfo'', uno degli errori più grandi e imperdonabili che la Storia futura ricorderà

13 settembre 2006

Dal 20 marzo 2003, l'inizio della ''secondo guerra del Golfo'', l'Iraq vive perennemente in contatto con l'orrore. Da più di tre anni la violenza continua a imperversare a Bagdad e in tutte le regioni irachene.
Solo nelle ultime 24 ore sono stati rinvenuti 64 cadaveri di persone non identificate e vittime di esecuzioni in varie zone della capitale irachena. Quasi tutte avevano le mani legate ed erano state uccise con un colpo alla nuca. In molti casi, sui corpi c'erano evidenti segni di tortura.
''Alcuni - ha spiegato il generale Hamed Khalaf, portavoce del ministero dell'Interno - sono stati uccisi per la loro confessione religiosa, altri sono vittime di crimini abietti''.

Secondo le stime dell'Onu, in Iraq i morti a causa dei conflitti tra fazioni e bande rivali, ossia per tutto quello che è rimasto nel territorio iracheno dalla fine delle ''grandi operazioni'' americane, sono circa 100 al giorno. Nel Paese è in corso una sorta di guerra civile sotterranea che coinvolge soprattutto sciiti e sunniti e per le strade si aggirano veri e propri ''squadroni della morte''.
In mattinata, Bagdad è stata teatro di altri episodi sanguinosi. Poco dopo l'alba, tre salve di mortaio hanno centrato il commissariato di al-Rashaad, nel quartiere di al-Jadida: un agente è stato ucciso e sei persone sono rimaste ferite. Poco più tardi, una bomba all'interno di un'auto in sosta è stata fatta esplodere vicino ai nuovi uffici della motorizzazione, nei pressi dello stadio Nazionale. L'attentato ha causato almeno 14 morti, tra i quali un poliziotto, e 67 feriti. In seguito alla deflagrazione, numerose automobili si sono incendiate e l'area è ricoperta di rottami.
Sono quattro, invece, i feriti provocati dall'esplosione di due colpi di mortaio vicino alla base militare di Muthana, nel centro della capitale. Un ultimo attacco con un'autobomba, infine, è stato portato a termine contro una pattuglia della polizia nei pressi di un impianto per la distribuzione dell'energia elettrica nell'est della città: almeno 8 persone hanno perso la vita e 19 sono rimaste ferite.

Nessunissima, traccia, dunque, di quella democracy e di quella peace che gli amricani avrebbero dovuto importare da quell'ormai lontano 20 marzo 2003, quando il Paese più forte del mondo decise che defenestrare il sanguinario dittatore Saddam Hussein, avrebbe risolto, in buona parte, tutti i gravi problemi causati da Al Qaeda.
Peccatò però, che tra l'ex Raìs iracheno e i terroristi di Al Qaeda non esistesse alcun rapporto operativo. Non solo. Saddam Hussein non ha mai dato rifugio o chiuso un occhio sulle attività di Abu Musab al-Zarqawi, il leader di Al Qaeda in Iraq noto come il terrorista sanguinario che ha personalmente decapitato alcuni degli ostaggi occidentali rapiti, morto lo scorso 7 giugno in un attacco aereo americano.

Queste verità non sono state dette dal solito columnist liberal di qualche giornale, ma da un nuovo rapporto della Commissione intelligence del Senato americano, che raccoglie due anni d'analisi sulle modalità con cui l'amministrazione Bush decise la guerra all'Iraq, smontando, questa volta in via definitiva, il castello accusatorio usato dalla Casa Bianca per giustificare l'intervento.
Il dossier di 400 pagine presentato nei giorni scorsi a Washington è la seconda parte dello studio minuzioso sulla situazione antecedente la guerra. La prima parte, pubblicata nel giugno del 2004, mostrava gli errori di valutazione dell'intelligence americana circa la presenza di armi di distruzione di massa in Iraq.
''Saddam Hussein - si legge in una delle conclusioni del rapporto - non aveva alcuna fiducia in Al Qaeda e considerava gli estremisti islamici come minacce al suo stesso regime, rifiutando tutte le richieste di aiuto materiale e operativo pervenutegli da Al Qaeda''. George W. Bush ha più volte dichiarato che Zarqawi era presente in Iraq prima dell'inizio della guerra, indicandolo come prova del legame tra Hussein e Al Qaeda. Ma in un passaggio del dossier si legge che lo stesso Hussein, dopo la sua cattura nel 2003, aveva dichiarato che ''se avesse voluto cooperare con i nemici degli Stati Uniti, si sarebbe alleato con la Corea del Nord o con la Cina piuttosto che con Osama Bin Laden''.

''Si tratta di una prova schiacciante dei tentativi ingannevoli, fuorvianti e mistificatori di manipolare le informazioni da parte dell'amministrazione Bush-Cheney'', ha commentato il senatore democratico Carl Levin, membro della Commissione. E ha ricordato come ''ancora il 21 agosto scorso il presidente Bush ha sostenuto l'esistenza di un legame tra Saddam e Zarqawi''.
''Il rapporto non contiene nulla di nuovo'', si è affrettato invece a ribattere il portavoce della Casa Bianca, Tony Snow. ''Nel 2002 e 2003 i membri di entrambi i partiti presero visione degli elementi in possesso dell'intelligence e giunsero alle stesse conclusioni su cosa stava accadendo - ha aggiunto -. Conclusioni che permisero di ottenere una vasta maggioranza al Senato e alla Camera per agire contro Saddam Hussein''.

Le conclusioni della commissione del Senato di Washington, comunque, sono inevitabilmente destinate a rinfocolare le polemiche sulla reale necessità di muovere guerra alla passata dittatura irachena, in un momento in cui l'opinione pubblica americana è sempre più insofferente nei confronti del perdurante impegno militare. Le elezioni parlamentari di novembre si avvicinano: probabile, secondo i sondaggi, la sconfitta repubblicana.

- «Un errore storico la guerra in Iraq» di G. Riotta (Corriere.it)

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13 settembre 2006
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