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La Sicilia: per alcuni il ''migliore dei mondi possibili'', per altri invece... Una articolo di Agostino Spataro

29 luglio 2006

Regione Sicilia: la fame di poltrone e la sete degli agrigentini *
di Agostino Spataro

Mentre all'ARS si consumava la grande abbuffata d'incarichi istituzionali (presidenze dell'Assemblea e delle commissioni) in un lembo della civilissima Europa, corrispondente all'area centro-meridionale della Sicilia (Caltanissetta, Licata, Agrigento, Canicatti, ecc), si consumava il dramma, anzi la beffa, dell'acqua che c'è ma non arriva nelle abitazioni.
In compenso arrivano, salatissime, bollette i cui aumenti non trovano giustificazione alcuna con la qualità dei servizi erogati.
Infatti, nonostante i proclami propagandistici governativi, ancor oggi e nel pieno della stagione estiva, vi sono in Sicilia quartieri e intere città alle prese con l'ennesima, gravissima crisi idrica, con turni d'erogazione che vanno dai 10 ai 15 giorni.
Ad Agrigento, città a forte vocazione turistica, l'appuntamento con la crisi è ricorrente e produce  tanta esasperazione, soprattutto nelle località balneari: l'acqua non arriva né dai rubinetti né con le autobotti comunali.
Città assettata e fin troppo mansueta che, per altro, si vanta d'esprimere il fior fiore della classe politica e di governo siciliana!
E così molti danno l'assalto all'unica fontanella d'acqua buona, alimentata dall'antica sorgente di  Bonamorone, dove può succedere, com'è successo nei giorni scorsi, che per riempire qualche bottiglia di due litri si può incappare in una rissa violenta fra civilissime persone, evidentemente innervosite dalla lunga attesa.

Ma cosa c'entra - voi direte - la scazzottata di Bonamorone con le spartizioni, indecenti e costose, avvenute nei palazzi del potere della Regione?
Credo molto. Quantomeno esiste una forte correlazione tra quella penosa rissa e la spudorata abbuffata di Sala d'Ercole, se non altro per il fatto che l'episodio d'ordinaria esasperazione rimarca una tendenza gravissima alla separazione fra bisogni reali dei siciliani e interessi della loro casta  dirigente.
Dati alla mano, si può agevolmente dimostrare come, nell'ultimo quinquennio di governo della Regione, siano stati sempre più esclusi dall'agenda politica e parlamentare i veri problemi della gente per far posto ad un coacervo d'interessi forti, elitari, leciti ed illeciti, che si sono spartiti la torta del bilancio regionale e quella più sostanziosa dei finanziamenti europei.
Per capire a chi serve effettivamente questa Regione basta verificare la destinazione finale delle ingenti risorse elargite ''a pioggia'' o per settori mirati. Perché non è vero che tutto va male; per  pochi privilegiati o baciati dalla fortuna, la Sicilia è il migliore dei mondi possibili.
La vita politica ed amministrativa si è svolta dentro uno scenario plumbeo, confuso, al di fuori delle grandi competizioni democratiche ed economiche e di mercato, dove governanti e la gran parte dei partiti e deputati si sono preoccupati di acquisire di ruoli e posizioni di potere politico e patrimoniale.
C'era chi sperava che con la nuova legislatura qualcosa cambiasse per il meglio. Certo è ancora presto per esprimere un giudizio pieno, ma se il buon giorno si vede dal mattino... dobbiamo rilevare che la legislatura è iniziata ricalcando le orme della vecchia. Con l'aggravante, soprattutto per quanto riguarda gli assetti dell'Ars, che tra deroghe e ''galanterie'' del neopresidente si stanno creando le premesse per una nuova stagione di consociativismo di basso profilo che pregiudicherà ogni prospettiva di cambiamento e di risanamento della Regione.

Il rischio è quello di un'accentuazione del carattere un po' corporativo, amicale, delle relazioni politiche fra maggioranza ed opposizione che assesterebbero un colpo mortale al già flebile rapporto di fiducia fra politica e società e fra partiti e cittadini.
D'altra parte, quando al cittadino mancano l'acqua per bere ed un lavoro onesto per vivere, e tante altre cose, che fiducia potrà nutrire verso la politica, i governi e le stesse istituzioni?
Non è casuale che, sempre più negli ultimi tempi, singoli cittadini e associazioni per tentare d'impedire la consumazione di un abuso da parte dell'Ars e/o del governo non si rivolgono più ai partiti d'opposizione o di maggioranza, ma ricorrono alla Corte dei Conti o alla magistratura ordinaria.
In Sicilia comincia a diffondersi l'idea di una classe politica come di un corpo chiuso in se stesso e sordo verso le istanze più pregnanti della società, incapace di autorigenerarsi e quindi di garantire una dialettica democratica e alternativa all'interno delle istituzioni regionali e locali.
E la storia insegna che quando si spegne la speranza del cambiamento la politica può dirsi arrivata al capolinea, alla fine della corsa.
Il declino generale della Sicilia è sotto gli occhi di tutti e oggi, riconosciuto dalle analisi e dai dati più recenti, anche da quelli provenienti dall'interno dell'amministrazione, che smentiscono clamorosamente i vacui e interessati ottimismi dei governanti e di quanti comodamente vi si sono accodati. Da questa realtà finalmente disvelata bisognerebbe partire per impostare un serio discorso o un programma di governo o d'opposizione.

* pubblicato in ''La Repubblica/Pa'' del 28 luglio 2006

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29 luglio 2006
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