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La storia di Enrichetta D'Aleo che per aver denunciato un boss e venne diffamata e perseguitata

16 novembre 2006

Era il 1989 quando Enrichetta D'Aleo denunciò che il boss Giuseppe Ferrera, detto ''Cavadduzzu'', condannato a 22 anni nel primo maxiprocesso di Palermo, circolava armato nell'ospedale Ascoli-Tomaselli di Catania, dove lei faceva l'assistente sociale.
Dal quel giorno, nel quale fece un atto che chiunque appartenga ad una ''società civile'' dovrebbe fare, cominciò il suo calvario: continue minacce e diffamazioni.
Un funzionario della Criminalpol in un rapporto scrisse persino che la donna era affetta da mania di persecuzione. Infine l'aggressione fisica e la decisione di lasciare il lavoro.
Nel frattempo, però, la magistratura accertò che la sua denuncia era vera e che il boss si era anche fatto sistemare una porta blindata nella sua stanza d'ospedale.

Oggi Enrichetta D'Aleo, che dal 2001 riceve una pensione, chiede di essere risarcita, e non solo per i danni materiali. Qualche giorno fa la donna ha partecipato ad una conferenza stampa indetta dal segretario siciliano della Cgil, Italo Tripi, per risollevare il suo caso. Il sindacato chiederà al ministro dell'Interno, Giuliano Amato, ''un intervento - ha spiegato Tripi - affinché la vicenda di Enrichetta D'Aleo giunga al più presto a una conclusione positiva. La Cgil considera emblematico il caso della signora D'Aleo e lo ripropone all'attenzione dell'opinione pubblica per sollecitare agli apparati dello Stato maggiore coerenza e un approccio non burocratico ma attento di fronte ai cittadini che fanno il proprio dovere''.

L'ex assistente sociale chiede, e al riguardo pende ancora presso il tribunale di Catania una causa civile, di avere riconosciuto il danno morale, esistenziale e materiale subito in 18 anni ''per le dichiarazioni false di alcuni esponenti dello Stato'', ha detto durante la conferenza stampa, che hanno allungato a dismisura i tempi dei riconoscimenti che lo stesso Stato le ha poi tributato.
Nel 1998, infatti, alla signora D'Aleo è arrivato il riconoscimento dello status di vittima innocente delle mafia e della criminalità organizzata, seguito, nel 2001, dalla cosiddetta pensione di privilegio.
Dieci anni prima la donna aveva subito una pesante aggressione fisica nei corridoi dell'ospedale, che le ha provocato danni permanenti. Negli anni successivi è stata costretta a lasciare il lavoro, ha continuato a subire minacce per sé e all'indirizzo del figlio e ha dovuto lottare dentro e fuori le aule dei tribunali per il riconoscimento dei propri diritti.
Enrichetta D'Aleo ora dice che lascerà l'Italia se la sua vicenda non avrà una rapida soluzione, che potrebbe raggiungersi, suggerisce, con una transazione. Oltre al riconoscimento del danno materiale, l'ex assistente sociale chiede una sorta di risarcimento morale: che vengano ''ritirati i verbali falsi che sono stati prodotti da alcune figure dello Stato (in alcuni si dà per archiviato il processo a ''Cavadduzzu'' che invece si è regolarmente svolto) e che mi hanno oltre che danneggiata profondamente offesa quale cittadina - ha sottolineato - impegnata a servire quello stesso Stato''.

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16 novembre 2006
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