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La ''timpulata'' a Berlusconi

Raffaele Lombardo: ''Il cattivo risultato del Pdl in Sicilia? Troppa arroganza, troppo delirio di autosufficienza''

09 giugno 2009

Due punti in meno delle Politiche, quando invece quota 40% sembrava a portata di mano, e persino come obiettivo da superare. Sì, il Popolo delle Libertà rimane il primo partito anche in queste consultazioni per le europee, ma la botta c'è stata, o come ha ammesso lo stesso Berlusconi: "E' stata una bella botta".  Ovviamente nessuno si aspettava una partecipazione alta come l'anno passato, ma il plebiscito sì, il Cavaliere almeno quello se lo aspettava cercava il plebiscito e invece non è arrivato.
Qual'è stata la causa? Berlusconi ne ha individuate quattro: l'astensionismo, gli scontri interni al partito in Sicilia, il caso Noemi e persino Kaká, l'annunciato trasferimento del giocatore del Milan che avrebbe fatto infuriare migliaia di elettori di fede rossonera.
Noi affronteremo la "causa siciliana" riportando alcune dichiarazioni del presidente della Regione, Raffaele Lombardo, che con il suo partito, l'Mpa (insieme al partito di Storace, al partito dei pensionati e al partito di Pionati), non è riuscito a 'volare' a Strasburgo ma ha ricevuto un bel po' di consensi. 

Ebbene, secondo Lombardo dal voto siciliano sono emersi due dati significativi: l'astensionismo e il voto all'Mpa. "L'astensione è segno della scomparsa del Mezzogiorno dall'azione del governo nazionale. Chi non si astiene vota per noi. Questo ci impone di darci una caratterizzazione meridionale", ha detto il governatore della Sicilia. L'alleanza in Sicilia ha preso il 15,64% con 297 mila voti (solo l'1,34% in Sardegna, l'altra regione che componeva la circoscrizione Isole), nelle due circoscrizioni Nord e al Centro non arriva all'uno per cento e al Sud si è fermata al 3,23%. Nella sua roccaforte in provincia di Catania, l'alleanza di Lombardo ha ottenuto il 25,83%, con punte del 27,61% nel capoluogo. Alle politiche 2008 il risultato siciliano dell'Mpa era stato il 6%.
"Il dato del Mpa è comunque positivo - secondo Lombardo -. In Sicilia il consenso è balzato dal 6% delle ultime politiche al quasi 16% delle Europee, che è circa la metà del risultato del Pdl, il nostro maggiore alleato". E proprio il Pdl, dice Lombardo, "solo una settimana fa si prefiggeva di ottenere la maggioranza assoluta, prefigurando una sorta di resa dei conti per il governo regionale". Lombardo aggiunge che un incontro con Berlusconi "sarà inevitabile e quello della Giunta regionale sarà l'ultimo argomento di cui parleremo. Prima di tutto parleremo di ciò che serve alla Sicilia a partire dai fondi europei. Ci vuole una svolta della politica verso il Sud, abbandonato a se stesso". "Al premier diremo - aggiunge Lombardo - che ci vuole una svolta per il Sud, che non è andato a votare in segno di protesta".
Per farla breve, secondo Raffaele Lombardo il cattivo risultato del Pdl in Sicilia è stato principalmento dovuto alla "troppa arroganza, troppo delirio di autosufficienza. E il Cavaliere è stato consigliato male". [Informazioni tratte da Corriere.it, LiveSicilia.it]

BERLUSCONI E LO SCHIAFFO SICILIANO
di Marcello Sorgi (La Stampa, 09 giugno 2009)

Quello schiaffo dai siciliani, il Cavaliere proprio non se l'aspettava. E dire che da tempo lo avevano avvertito che nell'isola le cose non andavano più bene. Gianfranco Miccichè, l'autore, nel 2001, del famoso cappotto 61 a zero contro il centrosinistra, e uno dei pochi a godere ancora del privilegio di un pigiama e del diritto di pernottare in via del Plebiscito, gliel'aveva ripetuto faccia a faccia: «Si ricordi, Presidente. I miei conterranei sono svelti a cambiare idea. Anche Leoluca Orlando fu per qualche tempo padrone della Sicilia, salvo ad essere disarcionato tutt'insieme».
Adesso Orlando si gode quel 17 per cento, che lo ha riportato di nuovo sugli altari a Palermo e ha dato un contributo rispettabile al successo dipietrista in Continente. Invece il Pdl, che da sempre aveva allineato percentuali di dieci punti superiori alla media nazionale del centrodestra, stavolta si lecca le ferite. Alla fine, il risultato è di un punto scarso sopra il magro 35 per cento racimolato da Berlusconi nel resto d'Italia. La falla aperta in quel che veniva chiamato "il granaio azzurro", e che una volta compensava largamente le sorprese leghiste al Nord e il testa a testa nel Centro Italia, ha contribuito fortemente ad abbassare la percentuale.

Nel silenzio così familiare ai siciliani, circolano cifre e scambi di accuse tra i rissosi capicorrente del Pdl, che alla vigilia del voto hanno quasi costretto il presidente della Regione Lombardo ad aprire la crisi del suo governo locale. Sott'accusa è il neocoordinatore regionale Giuseppe Castiglione, presidente della Provincia di Catania, e la sua corrente che ha fatto il record di preferenze, anche a discapito del capolista Berlusconi. Mentre infatti il Cavaliere, secondo le intese, a Palermo come a Trapani, a Messina come a Siracusa e Ragusa, doveva essere votato dalla somma di tutte le componenti del partito, in modo da contribuire all'ammasso di quei milioni di voti che avrebbero dovuto contrassegnare l'atteso successo personale del leader, a Catania e ad Enna, dominio di Castiglione, ciò non è avvenuto. E il Cavaliere, che a Palermo, per esempio, s'era ritrovato con quasi il doppio di preferenze (oltre 50mila, contro 27mila) del meglio piazzato, a Catania ha dovuto vedersela con un certo Giovanni Lavia, che per gran parte della conta delle schede gli è rimasto davanti, e ha concluso quasi in pari.

Uno sgarbo insopportabile, a detta dei compilatori di tabelle, che veloci sono state fatte arrivare a Piazza del Plebiscito, agli occhi del premier. Il quale, prudentemente, o forse irritato dall'inestricabile lite dei suoi proconsoli isolani, questa volta in Sicilia in Campagna elettorale non s'era fatto vedere. Qualche refolo di questo clima irrespirabile s'era avvertito nel corso del viaggio del Presidente della Repubblica Napolitano. Giunto a Palermo per una visita di due giorni, poco prima delle elezioni, il Capo dello Stato s'era ritrovato a cena a Villa Igiea con il governatore Lombardo, e perfino con qualche posto vuoto a tavola, come quello del presidente dell'Assemblea regionale Francesco Cascio, che aveva declinato l'invito pur di non doversi sedere con l'odiato presidente della Regione. Allo stesso modo si era lamentato pubblicamente, per non essere stato invitato il presidente del Senato Renato Schifani (che pure, in lite con Lombardo, non sarebbe mai andato). Il ministro Angelino Alfano aveva optato per una presenza istituzionale alla commemorazione di Falcone, il 23 maggio, evitando ogni incontro conviviale. Inoltre, come vuole la tradizione querula delle offese siciliane, lo strascico delle polemiche per i mancati inviti o le mancate presenze era andato avanti per giorni e giorni, a colpi di conferenze stampa. Finchè Lombardo, considerando tutto ciò un oltraggio alla sua persona, aveva deciso per la crisi e la rapida ricostituzione di un governo con fuori l'Udc e gli assessori ribelli vicini al coordinatore Castiglione e ai seguaci di Schifani e di Alfano.
Spiegare una così intricata ragnatela di interessi, caratteri, sensibilità, mal di pancia, oltre che di radicate antipatie locali, a Berlusconi, sorpreso dalla crisi regionale prima del voto, s'era rivelato impossibile. E ancor di più lo è diventato nel clima plumbeo del dopo-elezioni. Anche perché la débâcle siciliana, come più in generale quella meridionale, è legata alle liti dei capicorrente, ma non solo. Che lo scontro tra Schifani, Alfano e Castiglione, da una parte, e Miccichè e Lombardo dall'altra, non abbia portato voti è singolare. Le macchine correntizie erano state messe a regime. La sproporzione di truppe era evidente: nella prima corrente militavano i sindaci di Palermo, Ragusa, Trapani e Agrigento, i presidenti delle provincie di Catania e Messina, il presidente dell'Asl 6, la più grande d'Italia, un congegno catturavoti di sicuro affidamento, finora, e invece a sorpresa entrato in tilt. Nella seconda, uscita battuta, accanto al governatore e a tre assessori, il solo sindaco di Siracusa e la ministra dell'Ambiente Prestigiacomo.

Ma il flop in piena gara di preferenze non si capisce. Ci dev'essere dell'altro. E infatti il mancato aumento dei voti al centrodestra ha una spiegazione anche in termini nazionali: la decisione, per la prima volta, di bloccare i fondi FAS che dovevano servire a mettere in moto il meccanismo clientelare che da sempre alimenta la raccolta dei voti al Sud e in Sicilia. Il governo ha deciso di soprassedere, sulla base di una motivazione che il ministro delle Regioni Raffaele Fitto, in persona, s'è incaricato di spiegare a Berlusconi. Se io do i soldi alla Puglia, che pure è la mia terra, ha spiegato più o meno con queste parole Fitto al Cavaliere, a beneficiarne sarà l'amministrazione di sinistra e il governatore Niki Vendola, che tra l'altro si presenta alle europee come capo di un nuovo partito. Dunque, almeno fino alle elezioni, non glieli do. Berlusconi ha approvato, E lo stesso ragionamento è scattato per la Sicilia e contro Lombardo. Così, per la prima volta, il fiume di denaro che da Roma, a Bari, al palazzo arabo dei Normanni di Palermo, rinfrescava la memoria agli elettori, è rimasto secco. E gli elettori, il giorno delle elezioni, sono rimasti a casa.

 

 

 

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09 giugno 2009
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