La trattativa e il libro nero
Negli anni '90 esisteva una lista di uomini politici da eliminare. I piani della mafia cambiarono dopo la trattativa con lo Stato?
"Ci siamo sempre più convinti, perché ci sono risultanze che lo dicono, che la trattativa vi fu, e che andò avanti un passo alla volta". Sono queste le parole usate da Antonio Ingroia, sostituto procuratore della Repubblica di Palermo, per parlare della presunta trattativa tra Stato e Mafia risalente al 1992. Trattativa che, ha spiegato Ingroia a margine del Forum nazionale contro la Mafia in corso a Firenze, sarebbe andata avanti "raggiungendo dei piccoli accordi, concessioni reciproche, da una parte e dall’altra". Anche per questo, secondo il magistrato, continuare a indagare sugli eventuali mandanti esterni delle stragi del '92 e del '93 "non solo ha senso, io credo che sia nostro dovere: è un obiettivo". "La cosiddetta seconda repubblica nacque all’indomani delle stragi e della trattativa. Fino a quando noi non avremo la verità piena sulle stragi, sui loro mandanti, sulla trattativa e sul suo esito, non avremo fatto chiarezza sull’origine della nostra repubblica: e credo che, da cittadini di una democrazia, se questa vuole essere matura e compiuta - ha concluso Ingroia - dobbiamo conquistare la verità".
La Procura di Palermo indaga per capire se i politici della "lista nera di Cosa nostra" furono risparmiati dall'uccisione grazie a "un parziale esito" della trattativa tra Stato e Mafia. E' questa un'altra affermazione di Ingroia. "I politici vennero risparmiati - ha detto - ed è oggetto della nostra indagine verificare se questo cambio di obiettivo strategico, perché poi si uccise Borsellino, si fecero le stragi nel '93, fu determinato anche da un parziale esito della prima trattativa". Ingroia ha spiegato che "era già noto, e ora stiamo ricostruendo con pazienza un mosaico indiziario dal quale emerge che certamente, l’hanno dichiarato molti collaboratori di giustizia, ci sono molte fonti convergenti, che c'era una lista di uomini politici che Cosa Nostra voleva eliminare, o perché ritenuti in qualche modo avversari, o perché ritenuti in qualche modo ex amici, ex alleati, che non erano stati all’altezza degli impegni assunti con Cosa Nostra". A quel punto, ha detto il magistrato citando le dichiarazioni di Giovanni Brusca al processo Mori, "Brusca era stato incaricato da Riina di preparare l’attentato all’allora ministro Mannino", ma "poi Riina gli disse che non doveva farsi più, perché poi si fece la strage di via D’Amelio".
"Al di là dell'oggetto delle indagini della Procura di Palermo, la trattativa non è un evento unico e accidentale, ma una costante", ha affermato ancora Ingroia. "Ai ceti violenti è sempre servita l'impunità data dalla classe dirigente, a cui serviva la presenza sul territorio dei ceti violenti che controllavano uomini e mezzi finanziari", ha spiegato, aggiungendo che "la legislazione antimafia del 1992, dopo le stragi, fu frutto della reazione alle stragi, ma anche della reazione all'omicidio Lima, perché l'intero ceto politico ebbe paura di Cosa Nostra, e aveva bisogno in qualche modo di reagire". Probabilmente, ha osservato il magistrato, la politica reagì "da un lato cercando di trattare", e dall'altro "cercando di ricondurre entro il livello di guardia" la violenza della Mafia. "Non abbiamo mai avuto - ha lamentato Ingroia - una politica statale di annientamento della mafia, ma sempre una politica di contenimento. Noi avremmo bisogno di un salto di qualità: abbiamo avuto una politica fondata su uno stile di convivenza, dove i mafiosi non devono esagerare, se esagerano gli si va addosso, ma nel momento in cui vengono ridimensionati vengono lasciati lì perchè in qualche modo servono".
Ingroia ha parlato poi della sentenza di condanna all’ergastolo per Francesco Tagliavia (LEGGI) che rappresenta "una importante conferma dibattimentale" dell’attendibilità del pentito Gaspare Spatuzza, secondo Antonio Ingroia. Interpellato dai cronisti sulla possibilità che questo dato favorisca la riapertura di alcuni processi relativi al periodo '92-'93, Ingroia ha risposto sottolineando che "ogni Procura fa le proprie scelte, le proprie valutazioni", e che la sentenza di Tagliavia "è una sentenza che aiuta le indagini di tutte le Procure, non solo di Firenze, ma anche di Palermo e Caltanissetta, che stanno lavorando su quella delicata fase della nostra storia".
Non è mancato un riferimento alle intercettazioni. "Se dovesse passare il disegno di legge sulle intercettazioni così com’é, rischiamo di mettere una pietra tombale per sempre su quella verità. Un dato è certo senza intercettazioni non si sarebbero scoperte neanche le cose che sono state scoperte fino a oggi sulle stragi del '93, e tutto quello che è accaduto negli anni successivi. Noi saremmo orfani di quella verità non compiuta ma importante, conquistata ad oggi, e magari grazie alle intercettazioni si potranno conquistare altri pezzi di verità". Ingroia ha inoltre criticato l’ipotesi di prescrizione breve, che "in generale avrebbe conseguenze sulla credibilità della Giustizia. Sarebbe un altro colpo alla credibilità e all’autorevolezza della Giustizia in Italia: e ogni volta che si colpiscono l’efficienza e la credibilità della Giustizia, si finisce per rafforzare il potere delle 'giustizie alternative', come la pseudogiustizia mafiosa".
Una verità che spetta ai familiari delle vittime ... - "Non vi sono più dubbi la trattativa tra Stato e Mafia non è più solo una nostra idea peregrina. Alcuni politici di questo Paese nel 1992 dopo la morte del Giudice Falcone, minacciati dalla mafia, hanno cercato con ogni probabilità di salvarsi il collo e hanno così sacrificato la vita dei nostri figli. Vogliamo sapere se è vero". E' quanto dice Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'associazione familiari vittime della strage di via dei Georgofili. "Infatti la mafia dopo la morte del giudice Borsellino che con ogni probabilità scoprì i maneggi dei politici minacciati, temiamo abbia alzato il tiro e noi in via dei Georgofili abbiamo perso i figli e ne abbiamo di altri ancora oggi in difficoltà oggettive anche a causa di leggi non applicate in modo giusto e ancora una volta vittime di un sistema che intende applicare tagli economici a casaccio anche per quelle persone alle quali non ha garantito nulla - dice - A questo punto invochiamo a gran voce la verità tutta, le indagini per strage che ci riguardano dovranno riprendere a pieno ritmo e chiarire una buona volta, attraverso un processo penale, se lo Stato per salvare degli Onorevoli e Senatori inadempienti verso la mafia, ha lasciato ammazzare bambini e ragazzi".
E conclude: "Sono diciotto anni che cerchiamo verità e le pacche sulle spalle con i santini non ci bastano più. Vogliamo e pretendiamo verità, o davvero dovremmo mettere in discussione il grado di civiltà del Paese nel quale siamo costretti a vivere".
La lista nera di Cosa nostra - Una trattativa tra Stato e mafia, al tempo delle stragi, c'è stata. E sembra che l'abbia voluta lo Stato, per salvare la vita di alcuni uomini politici finiti in una lista nera compilata da Cosa nostra.
Su quel patto segreto i procuratori di Palermo stanno seguendo una pista che porta dritta a una conclusione: dopo l'uccisione dell'eurodeputato siciliano Salvo Lima e dopo quella del giudice Giovanni Falcone, qualcun altro era finito nel mirino dei Corleonesi e così ha ordinato - a uomini di fiducia dei reparti investigativi - di agganciare i boss per fermare i sicari e salvarsi la pelle.
La lista nera che hanno ricostruito i magistrati siciliani è il risultato di una lunghissima attività istruttoria iniziata nella primavera del 2009 e che è stata completata con l'acquisizione, un mese e mezzo fa, di un documento del ministero dell'Interno su "strategie destabilizzanti" e "eventi omicidiari" che nel 1992 avrebbero insanguinato il Paese. Il documento è diventato pubblico il 10 ottobre scorso, depositato dai pm al processo contro il generale Mario Mori, accusato di avere favorito la latitanza di Bernardo Provenzano.
Nell'elenco dei bersagli della mafia, scoperto dagli investigatori, l'allora ministro per gli Interventi Straordinari per il Mezzogiorno, Calogero Mannino, Carlo Vizzini, ministro delle Poste e Telecomunicazioni. Il ministro della Giustizia Claudio Martelli, che da poco più di un anno aveva chiamato accanto a sé Giovanni Falcone come direttore generale degli Affari penali al ministero di via Arenula. E Salvo Andò, catanese, socialista craxiano, ministro della Difesa. C'era anche Sebastiano Purpura, un politico siciliano che diciannove anni fa era assessore regionale al Bilancio e soprattutto era un fedelissimo di Salvo Lima... (Leggi l'inchiesta de La Repubblica firmata da Attilio Bolzoni, Francesco Viviano e Alessandra Ziniti)
[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it, Corriere.it, Repubblica.it]