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Lampedusa ricorda il terribile naufragio

3 Ottobre 2013: 366 morti. Un anno dopo tra lacrime, abbracci e preoccupazioni

03 ottobre 2014

"God is love", "Henrick rip", "You are always in my heart": sono le scritte che i sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre dell'anno scorso hanno realizzato sui cubi frangiflutti del molo di Lampedusa, lo stesso dove l'anno scorso furono adagiati i cadaveri di 366 loro compagni di viaggio.
L'iniziativa, la prima di una serie organizzata per la giornata dal Comitato 3 ottobre, è stata condivisa con i ragazzi del liceo di Lampedusa, che hanno aiutato i migranti a dipingere i cubi sul molo.
Lacrime e abbracci tra i sopravvissuti, molti dei quali, alla vista di quel molo, sono scoppiati in un pianto dirotto.

Lampedusa celebra il suo giorno più triste e lo fa con uno spirito inquieto: al dolore per una tragedia che ha umanamente devastato l'isola e tutti quelli che quel giorno sono corsi in mare per salvare vite, si somma la rabbia di quella parte di abitanti riunita con l'associazione degli albergatori che vedono la riapertura del Centro di accoglienza, prevista per i prossimi giorni dopo lavori di ristrutturazione costati 3,7 milioni, come l'inizio della fine. Per sabato è stata annunciata una manifestazione, "per salvare i nostri figli" da una politica "che ci sta portando all' esasperazione e al fallimento". Ce l'hanno col sindaco Giusi Nicolini e con il governo, quelli che protestano: "Lampedusa si accollerà di nuovo tutta la problematica relativa agli sbarchi e ancora una volta noi lampedusani saremo gli unici a subire gli effetti devastanti del fenomeno migratorio". Lei, il sindaco, fa spallucce. "Pensi davvero che non vogliano il Centro? E dove dovremmo mettere i migranti, sul molo? O forse le loro proteste hanno a che fare con gli sgravi fiscali e la richiesta di non pagare le tasse?"

Ma inquieta è anche l'altra metà dell'isola, perché certe immagini non si possono scacciare mai e quando arrivano gli anniversari il dolore riemerge in tutta la sua cattiveria. "Alla morte non ti abitui mai, chi dice questo mente - ammette lucidamente il dottor Pietro Bartolo - Ogni volta è una sofferenza immane, non c'è nulla da fare e null'altro da dire. Io davanti a quei corpi straziati ho pianto decine di volte".
A salvarti dalla disperazione ci pensano però storie come quella di Kebrat, una ragazza eritrea che era su quel barcone e ora sta in Svezia. "Quando l'hanno ripescata sembrava morta e così è finita su una barca assieme agli altri cadaveri - racconta Bartolo - Quando siamo arrivati in porto, non so ancora per quale motivo, le ho sentito il polso e ho percepito un battito debolissimo. Ho gridato come un pazzo, 'è viva, è viva', e così l'abbiamo portata via di lì. Aveva i polmoni pieni d'acqua e gasolio, ma ce l'abbiamo fatta. E' stato un miracolo".

Kebrat non è tornata a Lampedusa, dove invece sono arrivati Luam, Fanus, Rezeni e tanti altri che erano su quel barcone maledetto. Nei loro occhi c'è ancora la paura e solo gli abbracci con i lampedusani che li hanno salvati e che li attendono in aeroporto riescono a strappar loro un sorriso. Fanus è stata l'ultima dei 155 sopravvissuti a lasciare l'isola, tre mesi dopo. Ora vive in Svezia. "Studio e faccio un corso di formazione professionale. Ricordo tutto di quella notte ma vorrei tanto dimenticare". Anche Rezeni è in Svezia e sogna di diventare meccanico. "Voglio farmi una vita, voglio vivere".
A Lampedusa ci sono anche i familiari di chi non ce l'ha fatta. "Ogni volta che ci chiedete di quella notte la ferita torna a sanguinare - dicono una ragazza che ha perso la cugina e un giovane che nel mare di Lampedusa ha lasciato il fratello - Ma per la prima volta, nell'incontro con papa Francesco, qualcuno ha capito la nostra tristezza".

Un dolore che è stampato sui loro volti mentre, lo sguardo fisso nel vuoto, ascoltano la cerimonia interreligiosa nel Santuario della Madonna di Porto Salvo. Che non è un posto qualunque per Lampedusa: qui, per secoli, sono stati lasciati generi di conforto per tutti i marinai di passaggio. E una fiammella è rimasta sempre accesa, alimentata da tutti coloro che vi giungevano, cristiani, musulmani o ebrei che fossero. "I tanti morti annegati sono stati cancellati dal crudele gioco del più forte" ha tuonato l'arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro. Un gioco che non è ancora finito: mentre a Lampedusa sbarcavano i sopravvissuti, davanti alla Libia altri disperati morivano. Nell'ennesimo naufragio figlio dell'indifferenza.

E proprio nel giorno in cui Lampedusa ricorda la sua strage, nella notte sono stati portati sull'isola sei profughi che erano stati soccorsi nel pomeriggio dall'operazione Mare nostrum nel Canale di Sicilia. Si tratta di quattro uomini e due donne, con fratture multiple e altri problemi di salute. All'alba di oggi i profughi, dopo essere stati assistiti dal direttore sanitario Pietro Bartolo, sono stati trasferiti in elisoccorso in un ospedale di Palermo.
Le fratture riportate da alcuni dei sei profughi accompagnati la notte scorsa da una motovedetta a Lampedusa per essere ricoverati alla Guardia medica sono "segni evidenti di tortura", come dichiara il dottor Bartolo, il direttore sanitario dell'isola che la notte scorsa ha soccorso i migranti arrivati. "Le fratture che hanno subito sono tipiche delle torture subite in Libia - dice ancora il medico - questa povera gente prima di partire è stata malmenata, barbaramente massacrata. Ma le loro condizioni non sono gravi"...

- TRAGEDIA SENZA PRECEDENTI (Guidasicilia.it, 03/10/13)

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03 ottobre 2014
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