Laureati sempre più disoccupati e precari
Aumenta la disoccupazione per chi ottiene un titolo universitario. Faticano anche medici e ingegneri
Partendo dalla recente considerazione fatta dal viceministro del Lavoro, Michel Martone, che laurearsi dopo i 28 anni è una cosa da sfigati, ci chiediamo: se ci si laurea prima dei 28 anni e si rimane per un lungo periodo di tempo disoccupati o, bene che vada (ovviamente si fa per dire) precari a tempo indeterminato, come si verrà classificati?
Be', bisognerebbe che qualcuno rispondesse a tale quesito visto che aumenta la disoccupazione tra i giovani laureati e anche quando il lavoro si trova, rispetto al passato è meno stabile.
E' il quadro che emerge dal XIV rapporto Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati presentato ieri a Roma nella sede della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (Crui), che ha coinvolto circa 400mila laureati. Si tratta di quasi 186mila laureati del 2010 (più di 113mila di primo livello; 54.300 biennali specialistici; quasi 16mila a ciclo unico, ovvero i laureati in medicina, architettura, veterinaria, giurisprudenza) intervistati nel 2011, a un anno dal conseguimento del titolo; 53mila laureati del 2008, specialistici e a ciclo unico, intervistati dopo tre anni; 22mila laureati pre-riforma del 2006, intervistati dopo cinque anni.
Dal rapporto emerge che una percentuale notevole e in crescita di giovani, tra cui vi sono anche profili che in tempi migliori non avrebbero avuto difficoltà a trovare un lavoro, è a rischio di disoccupazione prolungata o di inattività, con effetti che potrebbero divenire irreversibili. Tali rischi includono la difficoltà protratta di trovare lavoro e la persistenza di differenziali salariali.
Secondo la documentazione più recente (Istat), a gennaio 2012, il tasso di disoccupazione giovanile nel nostro Paese ha raggiunto livelli superiori al 31%. Contemporaneamente emergono aree a rischio di marginalità per i giovani non inseriti in un percorso scolastico/universitario/formativo e neppure impegnati in un'attività lavorativa. Nel 2010, in Italia il fenomeno riguarda oltre due milioni di giovani (più del 22% della popolazione di età 15-29 anni).
Su questo terreno la posizione dell'Italia, al vertice della graduatoria europea, è distante dai principali paesi quali Germania (10,7), Regno Unito e Francia (entrambi 14,6), risultando così particolarmente allarmante.
Non solo, il rapporto evidenzia inoltre che in Italia è penalizzata l'occupazione più qualificata. I dati sui mutamenti della struttura dell'occupazione italiana relativi al 2004-2010, unitamente a quelli sulla dinamica degli investimenti in capitale fisso (beni strumentali durevoli come impianti, macchine, costruzioni, ecc.) relativi allo stesso periodo e proiettati al 2012 e 2013, offrono una convincente chiave di lettura delle cause dell'andamento sfavorevole dell'occupazione più qualificata e motivi di timore per il futuro. In particolare, evidenzia Almalaurea, l'evoluzione della quota di occupati nelle professioni più qualificate evidenzia criticità, di natura sia strutturale sia congiunturale, queste ultime particolarmente preoccupanti.
Tra il 2004 e il 2008, quindi negli anni precedenti alla crisi, tranne che in una breve fase di crescita moderata, l'Italia ha fatto segnare una riduzione della quota di occupati nelle professioni ad alta specializzazione, in controtendenza rispetto al complesso dei paesi dell'Unione Europea. Un'asimmetria di comportamento che si è accentuata nel corso della crisi: mentre al contrarsi dell'occupazione, negli altri paesi è cresciuta la quota di occupati ad alta qualificazione, nel nostro paese è avvenuto il contrario.
"Sarebbe un errore imperdonabile - ha sottolineato il direttore di Almalaurea Andrea Cammelli - sottovalutare o tardare ad affrontare in modo deciso le questioni della condizione giovanile e della valorizzazione del capitale umano; non facendosi carico di quanti, anche al termine di lunghi, faticosi e costosi processi formativi, affrontano crescenti difficoltà ad affacciarsi sul mercato del lavoro, a conquistare la propria autonomia, a progettare il proprio futuro. Tanto più in Italia, dove costituiscono una risorsa scarsa anche nel confronto con i paesi più avanzati, i giovani sono per di più in difficoltà a diventare protagonisti del necessario ricambio generazionale per il crescente invecchiamento della popolazione e per l'inamovibilità di tante gerontocrazie". [Adnkronos/Ign]