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Le cose che sa Ciancimino...

54 politici chiedono al Guardasigilli se Ciancimino jr è indagato, e lui risponde: "Dai politici quasi una minaccia"

20 maggio 2010

È durato quasi cinque ore l'interrogatorio di Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo Vito, sentito dai pm di Caltanissetta Sergio Lari e Domenico Gozzo nei locali della Direzione investigativa antimafia di Palermo. Al centro della sua audizione l'identità del "signor Franco", l'agente dei servizi segreti che avrebbe preso parte alla trattativa tra Stato e mafia nel periodo delle stragi del '92 che ancora non ha un nome.
Martedì ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo Ciancimino aveva consegnato un vecchio cellulare che avrebbe in rubrica tre numeri - due fissi e un cellulare - ai quali avrebbe contattato lo 007. Una delle utenze sarebbe intestata a un ufficio dell'ambasciata americana a Roma (LEGGI). L'interrogatorio è stato secretato.

Intanto con un'interpellanza urgente, indirizzata al ministro della Giustizia Angelino Alfano, 54 deputati hanno chiesto di sapere se Massimo Ciancimino "sia stato o meno iscritto nel registro degli indagati per associazione mafiosa". Il documento è stato firmato da 48 parlamentari del Popolo delle Libertà, uno del Partito democratico e 5 dell'Udc. "A giudizio degli interpellanti - si legge - dalle rivelazioni del signor Massimo Ciancimino emerge un suo diretto coinvolgimento nell'associazione mafiosa Cosa Nostra, all'interno della quale avrebbe svolto il ruolo di tramite tra suo padre Vito e i vertici della consorteria criminosa e che tale sua condotta integra un'ipotesi di responsabilità in ordine al delitto di cui all'articolo 416 bis del codice penale o quanto meno di concorso esterno nel medesimo reato".
Il dubbio che il figlio dell'ex sindaco non sia indagato, nonostante, a dire dei deputati, ce ne siano gli estremi, nasce - spiegano - dal fatto che "nel corso del dibattimento davanti al tribunale di Palermo che giudica il generale dei carabinieri Mario Mori, Ciancimino è sentito come testimone assistito e non come imputato di reato collegato o connesso", qualifica che avrebbe dovuto assumere qualora fosse stato iscritto per associazione mafiosa o concorso in associazione mafiosa. Primo firmatario dell'interpellanza è il deputato del Pdl Amedeo Laboccetta. Il testimone assistito, a differenza dell'imputato di reato connesso, tra l'altro ha l'obbligo di rispondere alle domande dei magistrati.
Ricordiamo che Massimo Ciancimino, condannato per riciclaggio del denaro del padre, sta rendendo dichiarazioni sui rapporti tra pezzi dello Stato e Cosa nostra e sulla trattativa che, attraverso esponenti dei servizi segreti e dell'Arma dei carabinieri, parti delle istituzioni avrebbero stretto con la mafia dopo le stragi del 1992.

"Invece di preoccuparsi dei deputati inquisiti e condannati, anche per mafia, i politici scrivono al ministro della Giustizia per sapere se sono indagato. E proprio in un momento in cui sto cercando di fare chiarezza su coinvolgimenti istituzionali in fatti gravi. Sembra quasi una minaccia". Così Massimo Ciancimino ha commentato l'interpellanza presentata al guardasigilli dai 54 deputati. "Non so se questa interpellanza debba costituire un ‘avvertimento’ da parte di quel mondo della politica che ancora oggi additando i 'magistrati talebani' o il 'partito delle toghe rosse' voglia ostacolare l’accertamento reale di quegli anni tristi. Io ho piena fiducia nella magistratura e nella genuinità delle mie scelte e se questo comporterà l’ennesima inchiesta per mafia, da buon cittadino qualunque, a differenza loro, ne risponderò con la massima trasparenza nelle sedi adeguate”.

Sempre su Massimo Ciancimino, o meglio, sulla sua attendibilità di "collaboratore", ha parlato anche il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. Il magistrato rispondendo durante una diretta in chat con il quotidiano online 'Livesicilia' ha esposto quale idea si è fatto di Massimo Ciancimino. "Da magistrato non faccio atti di fede nei confronti di nessuno. Il giudizio di credibilità su Massimo Ciancimino, finora positivo, nasce da una attività minuziosa di verifica e riscontro delle dichiarazioni".
Rispondendo alla domanda se 'è pensabile in un Paese attendere vent'anni e una figura come Ciancimino per riaprire una vicenda che ha segnato la nostra storia', Ingroia ha risposto: "In effetti è una cosa che intristisce un po'. Ma in quella stagione ci sono state complicità imbarazzanti. C'è una verità ingombrante che forse l'Italia non ha ancora il coraggio di guardare in faccia". E sui servizi segreti, ha detto: "talvolta credo sia l'informazione, nel costruire pezzi suggestivi, a eccedere troppo negli scenari, in queste ricostruzioni. Bisognerebbe essere più concreti" (LEGGI).

Sul "tesoro" di Ciancimino invece... - La Cassazione ha confermato la legittimità del sequestro di una parte del cosiddetto 'tesoro di Ciancimino'. In particolare, la prima sezione penale, confermando l'ordinanza del tribunale del Riesame dell'Aquila del giugno 2009, ha evidenziato "l'emergere di ingentissimi investimenti ad opera della Sirco Spa, società collegata a Gianni Lapis che il tribunale di Palermo aveva accertato aver gestito somme appartenenti a Vito Ciancimino nella società Alba d'Oro". Inoltre, annota ancora la Suprema Corte nel confermare il sequestro, "è emerso che tali investimenti non erano stati riportati nella contabilità della società Alba d'Oro e che vi furono invece annotati solo quando tale omissione sarebbe divenuta evidente con la nomina degli amministratori giudiziari della Sirco".
La somma in questione, rilevano ancora i supremi giudici, fa riferimento a 1 milione e 610 mila euro conferiti all'Alba d'Oro. Una somma, concludono gli ermellini, "non giustificabile in relazione ai redditi degli indagati" tanto più che "gli stessi non avevano risorse per portare a termine le attività economiche intraprese". In pratica la società in questione, concorda la Cassazione con il Riesame, "costituiva un tramite per fare confluire il denaro di Lapis nel cosiddetto 'tesoro di Ciancimino'". La Cassazione ha quindi confermato il sequestro cautelare del complesso immobiliare 'La Contea', realizzato in Abruzzo, con capitali provenienti dal 'tesoro' di Vito Ciancimino.
Anche la Regione Abruzzo aveva erogato un contributo di 300 mila euro per la realizzazione del complesso 'La Contea'. Senza successo, in Cassazione, i prestanome abruzzesi, riciclatori del denaro di don Vito, hanno chiesto il dissequestro degli immobili. Il loro ricorso è stato dichiarato inammissibile. In questa vicenda sono coindagati Achille e Augusto Ricci, insieme a Nino Zangari. Tutti e tre sono titolari di quote della società "Alba d'Oro", con sede a Tagliacozzo. Il sequestro è stato deciso, il 29 maggio 2009, dal gip del Tribunale di Avezzano. L'atto era stato convalidato dal Tribunale del Riesame di L'Aquila lo scorso 29 giugno e adesso anche dalla Cassazione con la sentenza 18780.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa, La Siciliaweb.it, GdS.it]

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20 maggio 2010
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