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Le intercettazioni Mancino-Napolitano...

Entro 2 settimane le intercettazioni tra il capo dello Stato e l’ex ministro dell’Interno dovrebbero essere distrutte, ma...

23 gennaio 2013

È stato depositato al gip Riccardo Ricciardi il documento con il quale i pm di Palermo hanno chiesto di distruggere, come ordinato dalla Consulta, le intercettazioni delle conversazioni tra l'ex ministro dell'interno Nicola Mancino e il capo dello stato Giorgio Napolitano. Il giudice dovrà adesso nominare un perito per la procedura di distruzione che avverrà senza il contraddittorio delle parti. Il perito dovrà estrapolare le conversazioni dal server nel quale sono contenute, poi verranno ascoltate dal giudice e infine eliminate. La procedura si dovrebbe concludere entro un paio di settimane.
Dunque, il Procuratore di Palermo, Francesco Messineo, ha mantenuto la promessa. "Distruggeremo i file al più presto", aveva detto dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha imposto la distruzione delle intercettazioni del Presidente della Repubblica. In meno di una settimana l'istanza con la quale la Procura chiede l'eliminazione di quelle telefonate, che si trovano sul server dove vengono incamerate tutte le intercettazioni, è arrivata al gip Ricciardi e il tutto, secondo le previsioni del giudice, dovrebbe richiedere poco tempo.

"Il giudice di Palermo che ha ora in mano il caso delle intercettazioni Napolitano-Mancino da distruggere, secondo le indicazioni della Corte Costituzionale, potrebbe sollevare dubbio di costituzionalità sull'art. 271 del codice di procedura penale, ma da un punto di vista tecnico potrebbe anche invocare il principio del contraddittorio qualora rilevasse pregiudizio per un soggetto terzo". E' quanto afferma il professor Alessandro Pace, costituzionalista che ha fatto parte del collegio di difesa della Procura di Palermo nel conflitto d'attribuzione con il Quirinale di fronte alla Consulta. Ma secondo Pace questa potrebbe essere addirittura una strada "residuale". "La Corte - dice Pace - ha ammesso chiaramente in sentenza che la valutazione delle conversazioni del Presidente intercettate non spetta ai pm, ma è in capo al giudice, il quale potrebbe quindi non voler fare il mero esecutore, ma volere effettuare una valutazione. Ora, nella sentenza la Corte Costituzionale afferma chiaramente che, 'l'Autorità giudiziaria dovrà tenere conto della eventuale esigenza di evitare il sacrificio di interessi riferibili a principi costituzionali supremi' e ne enumera diversi e tra queste la libertà personale. Supponiamo che il gip ritenesse che in una delle intercettazioni emerge un qualche pregiudizio per la difesa di una terza persona: questo si tradurrebbe in una violazione della libertà personale e in questo caso il giudice, attraverso quella facoltà di interpretazione della norma che la stessa sentenza gli riconosce, potrebbe decidere di aprire il contraddittorio".
E in questo caso, uscito dalla finestra, rientrerebbe dalla porta proprio quello scenario che la decisione della Consulta ha puntato ad evitare, ossia un'udienza camerale con le parti, che espone al rischio che i contenuti delle intercettazioni possano divenire pubblici. Anche perché, conclude Pace, "l'articolo 271 del codice di procedura penale non fa esplicito riferimento all'utilizzo di un'udienza camerale, ma neppure la vieta".

L'analisi di Pace è sostenuta anche da un altro costituzionalista, difensore della Procura nel conflitto, Giovanni Serges, per il quale è stata scritta una pagina "non esaltante" nella storia della giustizia costituzionale.
La sentenza della Consulta sul conflitto di attribuzione tra poteri sollevato dal Quirinale nei confronti della Procura di Palermo, sostiene Serges, "vorrebbe essere una grande lezione di diritto costituzionale, ma si rivela, nel suo complesso, frutto di un argomentare forzato e largamente contraddittorio".
Non usa mezzi termini il costituzionalista, commentando le motivazioni della sentenza che, a suo parere, "non avrebbe neanche dovuto pronunciarsi nel merito perché il ricorso presentava più di un profilo di evidente inammissibilità". "A seguito della decisione della Consulta - spiega Serges - il Gip si troverà nell'imbarazzo di dover applicare una norma prevista, all'art. 271 cpp, per tutt'altra fattispecie. L'art. 271, infatti, prevede che non possano essere utilizzate le intercettazioni di comunicazioni tra avvocati e clienti, ministri di culto e fedeli che si confessano, medici e pazienti, etc., in quanto in tali ipotesi la legge riconosce espressamente il segreto professionale previsto dall'art. 200 cpp. Non è invece il caso del Presidente della Repubblica, rispetto al quale l'evocazione dell'art. 271 cpp, formulata dall'Avvocatura dello Stato e accolta dalla Consulta, non era pertinente. Non c'entrava nulla con la questione sollevata dal ricorso del Quirinale", sostiene Serges.

Commenti molto distanti, sulle motivazioni della sentenza della Consulta, avevano espresso, nei giorni scorsi, il capo dei pm palermitani, Francesco Messineo, che aveva giudicato il provvedimento "innovativo" ed equilibrato e l'ex aggiunto della Dda, già coordinatore dell'inchiesta sulla trattativa, Antonio Ingroia. Per quest'ultimo, infatti, la sentenza della Corte "apre ad un ampliamento delle prerogative del Capo dello Stato, mettendo così a rischio l'equilibrio dei poteri dello Stato".

[Informazioni tratte da ANSA, Adnkronos/Ign, Corriere del Mezzogiorno, LiveSicilia.it]

- Ecco perché Napolitano ha ragione (Guidasicilia.it, 16/01/13)

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23 gennaio 2013
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