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Le Invasioni Barbariche

Il regista Denys Arcand, dopo 15 anni compone il cinico, divertente sequel di ''Il Declino dell'Impero Americano''

15 dicembre 2003

 


Noi vi consigliamo di vedere…
LE INVASIONI BARBARICHE
di Denys Arcand


A 15 anni di distanza da "Il Declino dell' Impero Americano", il regista canadese Denys Arcand riunisce buona parte del cast e ne realizza il seguito ideale. Candidato 'forte' per l'Oscar al miglior film straniero, all'ultimo Festival di Cannes è stato premiato per la Migliore Attrice e la Migliore sceneggiatura.
Tra humour e lacrime il film racconta gli ultimi giorni di Rémy, un anziano e vivace, nonostante sia malato e in fase terminale, ex professore di storia, che cerca di dare un senso ai suoi ultimi giorni. Con l'aiuto del figlio carrierista Sebastien, con il quale non è mai riuscito a dialogare: "Lui è un capitalista puritano, io sono un socialista erotomane", nonostante le divergenze riusciranno a trovare un momento di conciliazione, che servirà all'uomo malato ad affrontare più serenamente la fine. E sarà proprio Sebastien ad organizzare i suoi ultimi giorni, riunendo intorno al suo letto tutti i suoi vecchi amori, amici, colleghi. In una sorta di invasioni affettive per contrastare, almeno per un attimo, quella, molto più barbara e letale, del cancro.


Distribuzione
Bim
Durata 99'
Regia Denys Arcand
Con Rémy Girard, Stéphane Rousseau, Marie-Josee Croze
Genere Commedia

La critica
"Punto a sorpresa per i canadesi. Viene da Montréal la prima commedia cinica sul dopo 11 settembre, 'Les invasions barbares', irriverente quanto basta a strappare alla sala stampa lacrime, risate e fin troppi applausi. Un gradimento simile comunque va registrato. Anche perché Denys Arcand riesce a riprendere, capovolgendone l'assunto, un suo successo dell'86, 'Il declino dell'impero americano'. (...) Abile ma disinvolto fino alla furbizia e sorretto da un'amoralità di comodo, 'Les invasions barbares' giustifica il titolo con stoccate allo strapotere Usa e al genocidio degli Indiani. E' la parte ideologica, la più facile. Ogni mezzo è lecito, un'immagine vale l'altra, pure l'aereo che si schianta contro le Twin Towers può servire a illustrare la tesi di fondo. I 'nuovi barbari' non sono arabi o emigranti, siamo noi occidentali, chi non è o non vuol essere americano è antiamericano. Il tono semifarsesco maschera insomma un de profundis per valori e stili di vita sepolti col Novecento".
(Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 22 maggio 2003)

"Che sollievo sentire la Sala Lumière contrappuntare di continue risate la proiezione di un film finalmente non quaresimale; e che sconcerto constatare che 'Le invasioni barbare' contrabbanda la sua dose massiccia di buonumore facendo la cronaca di un'agonia. Regista originalissimo, il franco-canadese Denys Arcand è prima di tutto uno straordinario drammaturgo; e il copione di questa sua fatica, che riprende personaggi e interpreti del precedente 'Il declino americano' (1987), si vorrebbe goderselo in lettura come capita quando si è vista una bella commedia a teatro".
(Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 22 maggio 2003)

"Via di mezzo fra 'Amici miei II' di Monicelli e 'Il grande freddo' di Kasdan, 'Les invasions barbares' ha del primo il disincantato sguardo sulla gioventù; del secondo, l'ambientazione americana - lato canadese e francofono della frontiere - e l'occasione d'incontro per i personaggi: un'agonia, se non proprio un funerale. (...) Arcand mette perfino troppo spunti nel film (Primo Levi, Pio XII, Cioran), ma almeno non gli mancano le idee. Il suo valore s'era visto anche con 'Stardom', film di chiusura del Festival di Cannes 2000. Commovente e inatteso l'omaggio a 'Cielo sulla palude', il bel film con Ines Orsini nei panni di Maria Goretti diretto da Augusto Genina (1949) che il protagonista ha visto a scuola dai preti. E col cui ricordo chiude gli occhi per sempre".
(Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 22 maggio 2003)

"Potreste pensare a un 'Grande freddo' con morto ancora vivo, o ad un film comunque tetro. Nulla di tutto ciò. 'Le invasioni barbariche' è prima di tutto una commedia crudelmente divertente. Inoltre, vivaddio, è un film 'politicamente scorretto' in modo esuberante e selvaggio. Vi basti vedere il ruolo - tutt'altro che sgradito - che hanno le droghe, leggere e pesanti, nell'alleviare le sofferenze psichiche e fisiche di Remy. Girard è un attore gigantesco, ma tutti i suoi vecchi partner sono bravissimi. E fra i giovani Marie-Josée Croze è talmente in gamba da aver meritato, a Cannes 2003, il premio come migliore attrice."
(Alberto Crespi, 'L'Unità', 5 dicembre 2003)

"Arcand si è scritto anche il testo, l'ha congegnato in modo da darvi spazio con meditata intelligenza anche all'umorismo. Nel disegno del carattere di Remy e di tutti quegli amici che sono tornati al suo fianco, negli episodi, sia pure spesso anche malinconici, che si affacciano ad ogni momento dell'azione, nei graffi con cui si disegna la corruzione dei tanti ambienti che i personaggi attraversano, lasciando che sia soprattutto il protagonista a tirare a più riprese tra l'aggressivo ed il caustico le somme di quei 'declini' tutti intorno che, nelle invasioni barbariche, ormai alle porte, non possono non far sentire i primi campanelli d'allarme. Senza mai pedanteria, comunque, e con guizzi polemici che si intuiscono soltanto tra le pieghe di quel dramma privato enunciato sempre con levità straordinaria. Anche nei momenti di angoscia."
(Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 5 dicembre 2003)

Note
Sequel di "Il declino dell’impero americano" girato dallo stesso Arcand nel 1987. Premio per la miglior attrice (Marie- Josee Croze) e per la miglior sceneggiatura (Denis Arcand) al 56mo Festival di Cannes  (2003).

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15 dicembre 2003
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