Le linee guida della Cei per i casi di abuso sessuale
"Un vescovo non può diventare pubblico ministero. Nessun obbligo di denunciare abusi"
"Non possiamo chiedere al vescovo di diventare un pubblico ufficiale: formalizzare la richiesta al vescovo di denunciare i casi di abuso vuol dire andare contro l'ordinamento, del resto su questo problema la cooperazione con la magistratura è un fatto ordinario".
Parola del segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, che ieri mattina, presentando in Vaticano le linee guida per i casi di abuso sessuale da parte del clero messe a punto dalla conferenza episcopale, ha spiegato l’orientamento della chiesa sul tema in questione. E dato il là a una polemica che si preannuncia aspra.
"E’ chiaro a tutti noi vescovi - ha aggiunto Crociata - che bisogna collaborare con le autorità civili, ciò non vuol dire che noi si possa operare in modo difforme da quanto prevede la legislazione". Secondo il pensiero della Cei, invece, il vescovo, laddove si riconosca la fondatezza delle accuse, "può incoraggiare le vittime a rivolgersi alla magistratura".
Nelle linee guida presentate, inoltre, non è prevista l'istituzione di un vescovo responsabile a livello nazionale per il dossier abusi, figura presente in moltissimi altri paesi. "In Italia non c'è bisogno di un'autorità terza per seguire questi casi, il vescovo è responsabile di tutto nella propria diocesi anche in questo campo" ha detto monsignor Crociata, che ha poi messo in luce il particolare rapporto che esiste in Italia fra i singoli vescovi e la Congregazione per la dottrina della fede, sottolineando che i vescovi spesso si rivolgono direttamente al Vaticano agli organismi competenti per la questione pedofilia.
Scendendo nel particolare, invece, all'interno del documento presentato ieri mattina dal segretario Cei si legge che, secondo quanto previsto dall'attuale legislazione italiana e dagli accordi concordatari, "i vescovi sono esonerati dall'obbligo di deporre o di esibire documenti in merito a quanto conosciuto o detenuto per ragioni del proprio ministero". Questo perché "nell’ordinamento italiano - è scritto - il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l'obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti" di abuso sessuale da parte del clero.
Quindi le postille: "Eventuali informazioni o atti concernenti un procedimento giudiziario canonico possono essere richiesti dall’autorità giudiziaria dello Stato, ma non possono costituire oggetto di un ordine di esibizione o di sequestro". Oltre a questo, inoltre, è specificato che "rimane ferma l'inviolabilità dell'archivio segreto del vescovo" e che "devono ritenersi sottratti a ordine di esibizione o sequestro anche registri e archivi salva la comunicazione volontaria di singole informazioni". Non solo. Nel documento è anche precisato che "nessuna responsabilità, diretta o indiretta, per gli eventuali abusi sussiste in capo alla Santa Sede o alla Conferenza episcopale italiana" e che "risulterà importante la cooperazione del vescovo con le autorità civili, nell’ambito delle rispettive competenze e nel rispetto della normativa concordataria e civile".
Il Segretario generale della Cei, inoltre, ha spiegato che in Italia i casi di pedofilia da parte di chierici fino ad ora registrati sono 135 nel periodo che va dal 2000 al 2011. Per quanto riguarda i procedimenti oggetto dell'intervento della congregazione per la dottrina della fede, "ci sono state - ha detto monsignor Crociata - 53 condanne, 4 assolti e altri casi in istruttoria". Sono invece "77 le denunce alla magistratura: di queste due le condanne in primo grado, 17 in secondo, 21 sono i patteggiamenti, 5 gli assolti e 12 i casi archiviati". [Fonte: Il Fatto Quotidiano]