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Le mani di Cosa nostra su Sant'Agata. Secondo la procura etnea il clan Santapaola controllava la festa

02 febbraio 2008

Torturata e uccisa dai romani attorno al 250 d.C., la Vergine e Martire Agata ritorna oggi ad essere violata. Questa volta però non è stato un imperatore pagano ma i ''fervidi cristiani'' di Cosa nostra.
Infatti, la Procura della Repubblica di Catania sostiene che la mafia aveva messo le mani anche sulla festa di Sant'Agata, Patrona di Catania, e ieri ha fatto notificare l'avviso di conclusione indagini a otto presunti appartenenti alle famiglie Santapaola e Mangion. Il reato ipotizzato è associazione mafiosa finalizzata ad ottenere ingiusti vantaggi.
Gli indagati sono Nino Santapaola, 47 anni, nipote del boss Benedetto; il figlio minore di quest'ultimo, Francesco, 35 anni; Salvatore Copia, 38; quattro esponenti della famiglia Mangion, Enzo, 49 anni, Alfio, 35, Vincenzo, 31, e Agatino, 25.

Fra gli indagati vi è anche l'ex presidente del Circolo Sant'Agata alla Collegiata, il 54enne Pietro Diolosà. Secondo l'accusa il 'controllo' della festa avveniva proprio attraverso il Circolo Sant'Agata che gestisce le uscite e le fermate del fercolo con il busto reliquiario della santa patrona catanese e delle Candelore, i ceri portati a spalla e 'annacati' (dondolati), durante la processione.
Un controllo di “tempi e ritmi” della processione religiosa durato sette anni, dal 1999 al 2005, controllando poi di fatto il business dei fuochi d'artificio e della vendita della cera, e influendo persino sulle fortune di venditori di torrone e palloncini proprio attraverso il controllo della gestione dell'associazione Circolo Cittadino Sant'Agata.
La Procura ritiene che la gestione della festa per la famiglia Santapaola fosse più importante sul fronte dell'affermazione del potere che per il profitto generato dalle 'fermate' davanti a certe bancarelle piuttosto che ad altre. Infatti, secondo Carmelo Petralia, sostituto della direzione nazionale antimafia, ed Antonino Fanara, della procura distrettuale, le famiglie Santapaola e Mangion, sarebbero riuscite a "penetrare nella manifestazione di maggior valore simbolico per la comunità catanese, con conseguente accrescimento del prestigio criminale dell'organizzazione mafiosa ed affermazione della stessa come uno dei centri di potere della città".
Prova ne sono alcuni particolari che via via emergono dalle indagini. Come quello secondo cui un boss pentito veniva punito togliendo il suo stemma dalla candelora del Circolo, mentre quello che usciva dal carcere veniva "osannato" facendo fare al fercolo con il busto reliquiario di Sant'Agata una fermata non prevista vicino alla sua abitazione, dove venivano addirittura esplosi fuochi d'artificio per festeggiare il ritorno in libertà.

Vox populi queste, che a Catania si sono sempre sapute e che ora sono materiale di indagine riguardati una festa che negli ultimi anni è stata caratterizzata sempre più da polemiche e feroci divisioni. Come l'anno scorso, quando, a due giorni dalla morte dell'ispettore Filippo Raciti, la processione si tenne regolarmente, pur senza fuochi d'artificio e luminarie. O come, due anni prima, quando durante la corsa finale del fercolo morì un devoto travolto dalla folla.

[Informazioni tratte da La Sicilia.it, Repubblica.it]

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02 febbraio 2008
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