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Le rose del deserto

Monicelli ritorna al cinema con un'intensa e ironica riflessione sulla follia della guerra

01 dicembre 2006


 






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LE ROSE DEL DESERTO
di Mario Monicelli

Una sezione sanitaria dell'esercito italiano si accampa nell'estate del 1940 a Sorman, una sperduta oasi nel deserto della Libia. La guerra lì appare come qualcosa di astratto e distante, di cui arriva solo un'eco saltuaria e menzognera attraverso la retorica dei bollettini di guerra. Nel campo c'è un'aria rilassata: il maggiore comandante passa il tempo a scrivere appassionate lettere d'amore alla sua giovane moglie mentre un frate italiano coinvolge i militari nel soccorso della popolazione locale bisognosa di aiuto. La spedizione sembra così trasformarsi in una missione umanitaria. La situazione della guerra nell'Africa settentrionale, però, all'improvviso, cambia bruscamente e il campo di Sorman viene invaso, prima dai soldati in fuga, poi dai feriti che cercano scampo dagli inglesi. Ufficiali e soldati della sezione si trovano per la prima volta bruscamente a contatto con la realtà della guerra.
Tratto dal romanzo ''Il deserto della Libia'' di Mario Tobino, un grande cast per raccontare la ''sporca guerra'', uno sguardo nel passato per un tema sempre attuale.


Anno 2006
Distribuzione Mikado
Durata 102'
Regia Mario Monicelli
Sceneggiatura Alessandro Bencivenni, Domenico Saverni, Mario Monicelli
Con Alessandro Haber, Michele Placido, Giorgio Pasotti, Fulvio Falzarano, Moran Atias
Tratto dal libro ''Il deserto della Libia'' di Mario Tobino
Genere Commedia

La critica
''Mario Monicelli ha diretto un gran film su una guerra in cui non si combatte ma si muore. (...) Tutto il gran film (...) è benissimo interpretato, pervaso da un sentimento molto bello di rimpianto non certo per la guerra, ma per come erano gli italiani prima della modernità; è attraversato da un'ironia anche affettuosa''.
Lietta Tornabuoni, 'La Stampa'

''Più che un film sulla guerra o contro la medesima, è un film sulle miserie umane, che le situazioni di una guerra esasperano. (...) Se la ricostruzione d'ambiente è dignitosa (come ci si può aspettare da un regista che certe realtà le ha viste), imperfetto è il reperimento dei veicoli d'epoca. Ma imperdonabile è solo che nel 1940 si parli di Addio Kira di Goffredo Alessandrini, uscito nel 1942, e che il lessico («democrazia», «libertà», ecc.) non sia di allora, ma di oggi, per evocare non la difesa del Mare nostrum, ma l'invasione dell'Irak. Peccato: certe allusive goffaggini sono degne di Salvatores, non di Monicelli''.
'il Giornale'

''Rispetto ai classici della sua carriera Monicelli ha accelerato (ma non da qui e da oggi) la tendenza, così assecondando un'infondata impressione di "rozzezza", ad essere brusco, disinteressato a perdersi dietro al superfluo e interessato ad andare al sodo. Ma ha anche ceduto (proprio qui) a qualche concessione sentimentale prima impensabile. Il film è anche la dimostrazione che la "commedia all'italiana", finita da un pezzo in quanto legata a un'epoca e all'età anagrafica di chi l´ha fatta, sopravvive ben al di là del genere: perché è uno spirito, uno sguardo, uno stile del vedere la vita. E, qui, rientrano sotto questo cappello certe forzature attualizzanti, come le uscite dell´inetto maggiore Haber sul "portare la democrazia" ai colonizzati. Se anche il film uscisse anonimo certi passaggi sono così inequivocabilmente "firmati" che chiunque riconoscerebbe la mano "antieroica" del maestro''.
'la Repubblica'
 
''A colpire, però, è soprattutto il modo scelto da Monicelli per raccontare un'epopea al contrario che poteva scivolare nella retorica o nella nostalgia. Tagliando ogni possibile fronzolo narrativo, concentrandosi solo su ciò che sembra davvero necessario e ineliminabile, il film evita qualsiasi oleografia e tentazione predicatoria. (...) Monicelli (n.d.r.) ritrova la forza e la lucidità del vero moralista. E ci chiede di confrontarci con un'idea di popolo che il cinema italiano aveva completamente dimenticato, senza nasconderne l'ignoranza e la vanità, la creduloneria e la piccineria, ma anche raccontarcene l'allegria e la saggezza e persino il quotidiano eroismo''.
Paolo Mereghetti, 'Il Corriere della Sera'

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01 dicembre 2006
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