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Le verità di Giovanni Brusca

La politica, la mafia, le bombe: lo scontro-incontro tra Stato ed anti Stato tra prima e seconda Repubblica

04 maggio 2011

Le dichiarazioni di Giovanni Brusca, rese ieri durante l'udienza per il processo al boss di Brancacccio Francesco Tagliavia, accusato di essere uno degli organizzatori delle stragi mafiose del 1993 a Firenze, Roma e Milano (LEGGI), si colorano di giallo. La causa? Gli "stati di avanzamento" con le quali sono state diffuse.
Nicola Mancino fu, secondo Brusca, il committente del famoso 'papello', le richieste dei boss in cambio della fine degli attentati, ma anche Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sono stati contattatti per le stesse ragioni. E Dell’Utri si mise a disposizione, tramite lo stalliere di Berlusconi, Vittorio Mangano.

Agli inizi del 1994 l'allora boss mafioso Giovanni Brusca, capo mandamento di San Giuseppe Jato, mandò un emissario di Cosa nostra, Vittorio Mangano, a Milano "per contattare Dell'Utri e Berlusconi". Dopo un colloquio con Leoluca Bagarella, che aveva preso il posto di Totò Riina al vertice della cupola mafiosa, Brusca mandò "personalmente" Mangano, che era stato per un periodo lo stalliere di Arcore, con un messaggio preciso: "Se non avessero accettato le nostre richieste, come ad esempio la concessione della revisione del maxi processo e la fine del 41 bis, noi avremmo continuato con gli attentati, a buttare le bombe".
Ad una domanda di un avvocato delle parti civili, sui motivi per i quali erano stati individuati Dell'Utri e Berlusconi per l'invio del messaggio da parte di Cosa nostra, Brusca ha risposto: "Perché Berlusconi si apprestava a diventare il presidente del Consiglio". E il senatore Dell'Utri, secondo il racconto di Brusca così avrebbe risposto a Mangano: "Mi metto a disposizione e vi ringrazio". Poi Brusca ha aggiunto che la trattativa si arenò poco dopo: "Tutto si è bloccato con l'arresto di Mangano".
Durante la sua deposizione Brusca ha chiarito anche che dopo l'uccisione di Salvo Lima, e quindi la fine dei contatti con i vecchi referenti di Cosa nostra, la cupola "fino al capodanno del 1993 guidata da Riina" cercò "nuovi canali" per entrare in contatto con "politici locali con riferimenti nazionali a Roma". Brusca ha detto tra l'altro: "La speranza era di far tornare lo Stato a trattare con noi, come aveva fatto fino al 1992 grazie all'aiuto dell'onorevole Salvo Lima. Lima era sempre disponibile, con lui potevamo contare su favori e accomodamenti. Lima si metteva a nostra disposizione e ci aiutava come poteva".
Comunque, il parlamentare democristiano siciliano non era l'unico referente perché, ha detto ancora Brusca, "avevamo contatti con altri politici locali con riferimenti nazionali" e a proposito di questi ultimi il pentito ha fatto il nome di Giulio Andreotti.

Le pesanti parole di Brusca hanno scatenato la reazione di Walter Veltroni: le dichiarazioni di Brusca andranno verificate, dice l'esponente del Pd, ma "intanto la commissione Antimafia, che ricostruisce i fatti tra il '93 e il '94, dovrà audire Berlusconi. E' urgente e necessario capire se Berlusconi è stato contattato attraverso persone, da chi è stato contattato, con quali richieste e in quali circostanze". Questa la richiesta che Veltroni ha rivolto al presidente della commissione Antimafia Giuseppe Pisanu. Come altre personalità politiche di quel periodo, ha detto ancora Veltroni, sono "già state sentite nelle altre settimane anche il senatore Andreotti, compatibilmente con le sue condizioni di salute, potrebbe dare elementi di conoscenza".

Ma, se per Nicola Mancino i fatti raccontati da Brusca, riferite a quest'ulitmo da Totò Riina, sono una vera e propria vendetta nei suoi confronti ordita dal 'capo dei capi', perché "da ministro dell'Interno ho sempre sollecitato il suo arresto, e l'ho ottenuto", per Berlusconi le affermazioni del pentito sono una vera e propria follia. "Siamo alla follia, ci accusano di cose quando noi politicamente non esistevamo, io non ero nemmeno sceso in politica", avrebbe detto il premier secondo quanto riferito da persone presenti nel vertice di maggioranza a Palazzo Chigi.
"Il presidente Berlusconi non è mai stato contattato né mai ha ricevuto richiesta alcuna riguardo alle situazioni indicate da Brusca" ha affermato in una nota Niccolò Ghedini, deputato del Pdl e legale di Berlusconi. "Le leggi antimafia, i provvedimenti sul 41 bis e il quotidiano contrasto al fenomeno mafioso, con la cattura dei latitanti più pericolosi e il sequestro e la confisca di beni per svariati miliardi di euro sono la miglior risposta alle illazioni di alcuni esponenti dell'opposizione che farebbero bene a ricordarsi della recente vicenda di Massimo Ciancimino, beatificato da certa stampa e oggetto di entusiastici commenti di vari esponenti del centrosinistra, la cui caratura si è finalmente appalesata, con la recente ordinanza di custodia cautelare, in tutta la sua evidenza". Ghedini ha quindi sottolineato: "Comunque lo stesso Brusca ha categoricamente escluso qualsiasi coinvolgimento del Presidente Berlusconi e perciò non è dato comprendere quali verifiche dovrebbero essere fatte".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa]

- Le arance di Mangano di Peter Gomez (Il Fatto Quotidiano)

 

 

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04 maggio 2011
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