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Li chiamavano "White Man"

Arrestato il "Capitano" del peschereccio affondato a Lampedusa, provocando 300 morti

08 ottobre 2013

Bensalem Khaled, tunisino di Sfax, è l’uomo che era al comando del peschereccio affondato davanti alla costa di Lampedusa, provocando oltre 300 morti. Il 'Capitano' è stato fermato e accusato formalmente di omicidio plurimo, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e naufragio. Polizia e carabinieri lo hanno prelevato all'interno del Centro di accoglienza dell'isola, dove era attentamente sorvegliato, e trasferito nel carcere di Agrigento.
Non è stato invece ancora identificato 'l'assistente' del Capitano, che probabilmente si trova ancora all'interno del centro di accoglienza. I due venivano chiamati dai 500 disperati che si trovavano sul barcone della morte come "White Man" (uomini bianchi).

Il provvedimento di fermo è stato firmato dal procuratore di Agrigento, Renato Di Natale, dall'aggiunto, Ignazio Fonzo e dal pm Minardi.

A incastrare lo scafista la testimonianza di una decina di sopravvissuti che non hanno avuti dubbi nel riconoscere Bensalem Khaled come "il Capitano" che faceva parte di una organizzazione libica che gestisce il traffico di uomini dalle cost libiche a quelle italiane.
Interrogati dagli investigatori della squadra mobile e dai Pm, i testimoni hanno fornito una serie di particolari e dettagli, sull'organizzazione e sul viaggio verso Lampedusa, che hanno provocato lo stato di fermo dello scafista. B.A., eritreo, ed altri suoi connazionali sopravvissuti alla strage hanno riferito agli investigatori che Bensalem Khaled era tra gli organizzatori del viaggio e che si era occupato, sin dalle prime battute, di trasferire i 500 eritei che erano "prigionieri" in un capannone nelle campagne libiche, fino alla spiaggia vicino Misurata.
"A gruppi di 20-30 ci hanno prima messi su delle piccole barche trasferendoci poi sul peschereccio più grande che si trovava al largo". Il viaggio è stato faticoso, i 500 "passeggeri" erano costretti a stare in piedi perché erano stipati nella stiva, sul ponte e sul piano superiore del peschereccio come delle sardine. Tutti i testimoni hanno riferito che Bensalem Khaled era sempre al timone aiutato dall'altro "White Man"; i due erano gli unici che dormivano in una cabina con due cuccette. Sempre i testimoni hanno riferito che sarebbe stato lo stesso "capitano" a dare fuoco a una coperta per tentare di segnalare la presenza del peschereccio e che le fiamme hanno investito il barcone che ha preso fuoco facendolo affondare con il suo carico di vite.

E sotto il mare, a circa 50 metri di profondità, i sommozzatori continuano a constatare la fine di quelle centinaia di vite, fuggite dalla disperazione per trovare la morte.
"L'immagine che non riesco a togliere dalla mente sono quei corpi ammassati a grappolo nel relitto, quasi tutti con gli occhi sbarrati e le braccia protese verso l'alto, come a volere chiedere aiuto". E’ questo il racconto del maresciallo Salvo Vagliasindi, uno dei sub delle Fiamme gialle che insieme con i colleghi stanno recuperando le vittime del naufragio.

Il maresciallo Vagliasindi, del Nucleo sommozzatori di Messina, è già sceso diverse volte sott'acqua. A distanza di 24 ore riesce a raccontare l'orrore che ha visto: "Quando siamo arrivati in profondità abbiamo visto più di quello che immaginavamo - spiega -. Per tutta la notte avevo provato a immaginare ma lo scenario che abbiamo visto è stato peggiore del previsto. Decine di corpi, molti abbracciati, molti altri con le braccia ancora proteste. Una scena agghiacciante. Sembravano finti. Con gli occhi aperti, sembrava che ci guardassero".
Ieri il maresciallo Vagliasindi non voleva scendere in profondità. "Volevo rinunciare - racconta - perché l'impatto con la morte è sempre devastante. Poi sono sceso con la serenità che ci serve per potere tirare fuori quei corpi devastati". Già, molti dei corpi tirati su sono in condizioni pietose. Gonfi, con la pelle quasi sciolta, tra il gasolio e la salsedine.

Insieme al maresciallo della Gdf, il collega Riccardo Nobile, del Nucleo sommozzatori di Palermo. "Siamo scesi fino al relitto - racconta Nobile - e abbiamo guardato attraverso gli oblò. Lì c'erano ancora decine di corpi. Tanti cadaveri. Ma per poterli tirare fuori bisogna entrare nell'oblò e da lì imbracare i cadaveri e poi tirarli su con la cima". Tutto deve durare pochissimo tempo, perché i sommozzatori hanno un'autonomia di una decina di minuti, al massimo un quarto d’ora.
I due sommozzatori non riescono a togliersi dalla mente la scena di una  bambina morta trovata nel relitto. "Era vestita a festa - dicono - forse la mamma l'aveva preparata in vista dell'arrivo al porto. Nessuno di loro avrebbe mai potuto immaginare quello che poi è accaduto. È stato devastante vedere quell'immagine che non potremo mai dimenticare".

Intanto, nel mare siciliano continuano gli sbarchi e le operazioni di soccorso di migranti. Proprio questa mattina un mercantile danese, il 'Seagofelixstow', ha imbarcato a bordo 141 presunti siriani, compresi 28 bambini e 39 donne, che erano su un barcone in avaria. Sono diretti verso le coste Siciliane, probabilmente al porto di Pozzallo, nel Ragusano.
Sono invece in corso nel porto di Catania le operazioni di sbarco di un'analoga operazione avvenuta ieri sera: 250 migranti sono stati presi in carico dal mercantile panamensi 'Begonia G'. Entrambi i soccorsi sono stati eseguiti su disposizione e coordinamento della Centrale operativa del comando generale delle capitanerie di porto di Roma. La nave è arrivata nel porto etneo dopo le 5 di questa mattina.

[Informazioni tratte da ANSA, Adnkronos/Ign, Lasiciliaweb.it, Repubblica/Palermo]

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08 ottobre 2013
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