LIBERI DI...
In molti paesi del mondo la libertà d'informazione continua ad essere calpestata. Anche l'Italia ha un'informazione parziale
Esprimersi liberamente, riuscire a fare arrivare alle popolazioni le informazioni e le notizie per le quali spesso dipendono le situazione esistenziali delle stesse, è qualcosa che ancora oggi si riesce a realizzare con grandissima fatica ed estremo pericolo.
L'informazione continua ad essere materia osteggiata, censurata e in tantissimi modi decapitata. Il potere la teme ed è per questo che ancora oggi, come sempre, alcuni governi tentano - e purtroppo molti ci riescono - a cucire le bocche dei giornalisti, prosciugare il loro inchiostro, chiudere i loro giornali, blindare la Rete.
Soltanto il 38% dei Paesi del mondo può contare sulla totale libertà di stampa. E' sostanzialmente questo il risultato dell'ultimo studio condotto dall'organizzazione non governativa Freedom House, all'interno del rapporto 2006 sulla libertà dei mezzi di informazione a livello globale, che descrive una situazione che appare, senza esagerazioni, allarmante.
In base ai dati contenuti nell'inchiesta, il 34% dei Paesi del mondo deve fare i conti con un sistema di informazione legato in totalmente alle logiche del potere, mentre il 54% può contare su una stampa soltanto parzialmente libera. Tra questi ultimi rientra anche l'Italia, unico Paese d'Europa, insieme alla Turchia, che non può contare su un sistema di informazione completamente libero.
"I declini più consistenti nel livello di libertà di stampa si sono registrati nel 2006 in Asia (Timor Est, Nepal, Tailandia e Filippine), Africa (Uganda, Botswana ed Etiopia) e nell'Ex Unione Sovietica (Russia e Uzbekistan)", si legge nel rapporto di Freedom House.
Tra i paladini della libertà di stampa si sono confermati anche nel 2006 i Paesi del Nord Europa. Al primo posto troviamo la Finlandia a pari merito con l'Islanda, mentre Danimarca, Norvegia e Svezia si sono assicurate la terza posizione. Seguono Belgio, Lussemburgo, Olanda, Svizzera, Lichtenstein e Nuova Zelanda.
La civile e libera Italia nel 2006 ha addirittura perso posizioni andando a classificarsi dal 77esimo del 2005 al 79esimo posto della classifica mondiale, a pari merito con il Botswana, che nell'anno passato si trovava al 71esimo posto di questa speciale classifica.
Meglio dell'Italia nel 2006 è andata anche alla Mongolia che si è classificata 77esima, alla Namibia (69esima) e alla Guyana (57esima). Tra i Paesi d'Europa, il più vicino all'Italia si è dimostrato essere la Spagna il cui sistema di libertà di stampa si è conquistato il 41esimo posto in classifica.
Gli Stati Uniti hanno invece guadagnato diverse posizioni. Lo scorso anno, infatti, il livello di libertà della stampa d'oltreoceano si era guadagnato il 24esimo posto in classifica mentre nel 2006 è arrivato a toccare quota 17.
Poche novità invece nella parte bassa della classifica di Freedom House. La Corea del Nord si è confermata anche quest'anno come il Paese con il livello più basso di libertà di stampa. Ma le cose non vanno meglio al Turkmenistan (penultimo al 191esimo posto) a pari merito con Cuba e Burma.
E cosa dire della Cina? Il gigante asiatico nel 2006 ha ottenuto il 177esimo piazzamento in classifica (stesso livello del 2005), a pari merito con Somalia e Tunisia.
"I dati scaturiti dal rapporto di quest'anno sono molto preoccupanti", ha dichiarato Jennifer Windsor, direttore generale di Freedom House. "Quello che più ci spaventa è il deterioramento della libertà di stampa in Paesi che hanno registrato importanti passi avanti in termini di miglioramento dei sistemi democratici".
Purtroppo a questi preoccupanti dati bisogna aggiungere anche quelli allarmanti del rapporto annuale di Reporters sans frontieres, dal quale il 2006 ne esce come un vero e proprio anno maledetto per i giornalisti e l'informazione: 63 giornalisti uccisi nel mondo, oltre 800 fermati dalla polizia, almeno 1300 aggrediti o minacciati e oltre 1000 media censurati. Il 2005 è stato l'anno più sanguinoso dell'ultimo decennio, e solo nei primi mesi del 2006 altri 20 operatori dei media hanno perso la vita.
Nel rapporto di Reporters sans frontieres, presentato ieri a Parigi, viene spiegato che raccontare quello che accade non è uguale a tutte le latitudini, e che in alcune zone si continua a pagare con la vita. Come accade in Iraq, che resta il paese più pericoloso per i professionisti dei media: dall'inizio del conflitto, tre anni fa, sono morti 87 giornalisti e loro assistenti, e i sequestri continuano a essere una minaccia concreta. Ogni settimana, denuncia Rsf, operatori dei media locali e stranieri vengono rapiti.
La libertà di stampa è a rischio in molti paesi del Medio Oriente. Secondo Rsf, rischia di sprofondare nell'autocensura il Libano, dopo gli attentati mirati in cui hanno perso la vita due firme di punta del quotidiano An-Nahar, Samir Kassir e Gebrane Tuéni, e dopo che è rimasta gravemente mutilata la presentatrice del canale Lbc, May Chidiac. Nell'ultimo anno molti hanno rinunciato ad attaccare frontalmente le autorità siriane, ritenute i mandanti di questi attentati, altri hanno preferito andare via dal Paese.
Tra i nemici della libertà di stampa c'è l'Iran. Il giornalista Akbar Ganji, per fare un solo esempio, è tornato in libertà solo a marzo, dopo sei anni di prigionia e diversi scioperi della fame contro il regime di carcere speciale a cui era stato condannato per i suoi articoli, ma nelle prigioni iraniane restano ancora altri quattro reporter. Ma il paese dell'ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad, nel mirino della comunità internazionale per il suo programma nucleare, ha paura soprattutto dei blogger: i dissidenti che usano Internet per fare controinformazione sono sistematicamente censurati, due di loro sono in prigione.
È "preoccupante" per Rsf anche la situazione dell'Algeria, per le continue condanne o multe che colpiscono i giornalisti, e le tensioni della Striscia di Gaza, che negli ultimi mesi ha registrato diversi sequestri-lampo.
Facendo il punto sullo stato della libertà di stampa nel mondo, l'associazione ha segnalato le conseguenze della polemica sollevata dalla pubblicazione delle caricature di Maometto su un giornale danese a settembre. Se le proteste si sono spente, restano ancora in carcere in diversi paesi a maggioranza musulmana alcuni giornalisti accusati di "blasfemia" e di "aver offeso l'Islam" per aver ripubblicato le vignette.
Anche il continente americano resta una delle aree più pericolose per i media, con cinque giornalisti uccisi dal primo gennaio. Il Messico è il Paese più violento, nonostante la creazione a febbraio scorso di una commissione d'inchiesta atta a contrastare le intimidazioni rivolte alla stampa.
Ma anche in Colombia, Ecuador e Venezuela i reporter sono nel mirino. L'associazione tiene poi sotto osservazione la relazione tra Hugo Chavez e i media, perché - denuncia - diverse leggi volute dal presidente potrebbero limitare la libertà di espressione. Cuba invece continua a meritare il soprannome di seconda prigione del mondo per i reporter con 23 detenuti.
Nell'ultimo anno si sono riaccesi vecchi conflitti in Africa. Ad Abijan, in Costa d'Avorio, i "Giovani patrioti" hanno assalito la sede della tv nazionale per diffondere il loro messaggio; in Gambia il presidente Yahya Jammeh punisce con l'arresto i giornalisti troppo "indipendenti". Il presidente ugandese, Museveni, durante l'ultima campagna elettorale, ha preso il controllo dell'informazione. In Etiopia restano in prigione 15 giornalisti e esponenti del principale partito dell'opposizione, arrestati durante gli scontri di novembre scorso. L'associazione poi ricorda la grave repressione in atto in Birmania, i pericoli di attentati e imboscate contro i reporter in Pakistan e la repressione dei giornalisti dissenti da parte di Pechino e i novanta reporter arrestati in Nepal nell'ultimo anno.
Nella liberale Europa, secondo Reporters sans frontieres a essere in pericolo è soprattutto la protezione del segreto delle fonti, come dimostra il caso del Portogallo, dove le autorità hanno requisito i computer di un quotidiano nazionale. Un capitolo a parte merita la censura dell'informazione on line e l'arresto dei cyberdissidenti, anche con l'aiuto di società occidentali, come è avvenuto in Cina sulla base delle informazioni fornite da Yahoo!.
Ma se il 2005 è stato l'anno più violento, nel 2006 sono anche cresciuti i nemici della libertà di stampa: presidenti, ministri, re, guide supreme e capi di milizie, che usano della loro posizione per perseguitare i giornalisti ritenuti scomodi. In occasione della giornata mondiale della libertà di stampa Rsf ha aggiornato la lista di questi "predatori". I volti nuovi sono quello del presidente iraniano Ahmadinejad e i suoi ministri e dirigenti del ministero della Cultura; il primo ministro etiope Zenawi per aver represso e accusato di alto tradimento e genocidio i rappresentanti dell'opposizione e una quindicina di giornalisti; i gruppi armati delle Tigri Tamil in Sri Lanka, Don Berna, al secolo Diego Fernando Murillo Bejarano, leader dei paramilitari colombiani e il portavoce delle Farc, Raul Reyes.
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- Reporters sans frontieres
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