Lo sciopero della fame dei detenuti del carcere ''Malaspina'' di Caltanissetta
Anche i carcerati di Caltanissetta indignati dai premi di libertà al boss Giovanni Brusca
Sicuramente colpevoli, fino a prova contraria, i detenuti del carcere "Malaspina" di Caltanissetta da ieri hanno scelto la via dello sciopero della fame, perché essere stati condannati non vuol dire non avere la possibilità di protestare.
L'iniziativa dei carcerati di Caltanissetta si inserisce in un quadro di proteste più ampio, scattate in molti penitenziari italiani.
Come in Puglia, nel carcere di San Severo a Potenza, dove i detenuti chiedono agli imprenditori di lavorare. Come nella Capitale, a Regina Coeli dove dalle 21 alle 22 i prigionieri batteranno le grate, e al Malaspina di Caltanissetta, dove i detenuti rifiutano il cibo, per sollecitare l'amnistia per coloro che si trovano in cella per reati considerati non gravi, per accendere i riflettori sulle condizioni dei detenuti costretti a vivere in celle sovraffollate, per denunciare la poca perseveranza con la quale la maggior parte del mondo politico tratta questioni come l'amnistia, l'indulto e la legge destinata a rendere meno facile l'uso della custodia cautelare preventiva.
Tutte misure che potrebbero portare a una forte riduzione dal sovraffollamento dei penitenziari, mentre pluriomicidi come Giovanni Brusca ricevono premi di libertà "affinché l'individuo possa reinserirsi nella società".
"La decisione di protestare, tutti insieme e pacificamente - è scritto in una nota diffusa da Alfredo Maffi, responsabile dell'Associazione culturale Onlus 'Papillon' di Caltanissetta - è un necessario atto di civiltà per richiamare alle sue responsabilità un mondo politico che sembra fatichi ad accorgersi che nella stragrande maggioranza delle oltre 200 carceri italiane il diritto è stato in un certo senso sospeso a tempo indeterminato, poiché tutto si può dire tranne che dentro le carceri vengono davvero perseguite la rieducazione e la risocializzazione delle donne e degli uomini reclusi".
Sicuramente colpevoli, fino a prova contraria, i detenuti delle carceri. Ma essere stati condannati non vuol dire non avere la possibilità di protestare.