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Lo Stato che processa lo Stato

Via al processo sulla trattativa Stato-mafia. Sul banco degli imputati boss, politici, carabinieri e pentiti

27 maggio 2013

E’ cominciato stamane, nell'aula bunker del carcere palermitano Pagliarelli, davanti alla Corte d'Assise presieduta da Alfredo Montalto (Giudice a latere è Stefani Brambille), il processo sulla trattativa tra lo Stato e la mafia.
Dieci gli imputati: i capimafia Totò Riina, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà, ex politici come Marcello Dell'Utri e Nicola Mancino, gli ex ufficiali del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, il pentito Giovanni Brusca e Massimo Ciancimino.
Tranne Ciancimino, che veste i panni del testimone e dell'imputato, ed è accusato di concorso in associazione mafiosa e calunnia all'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, e Mancino, che risponde di falsa testimonianza, per gli altri le accuse sono di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato.

Inizialmente il processo venne chiesto anche per il boss Bernardo Provenzano e per l'ex ministro Calogero Mannino. La posizione del padrino di Corleone, però, è stata stralciata e pende ancora davanti al gup perché, per i periti, il capomafia non è in grado di partecipare coscientemente al processo. Mannino, invece, ha scelto l'abbreviato.
L'accusa è rappresentata in aula dal procuratore Francesco Messineo, dall'aggiunto Vittorio Teresi e dai sostituti Roberto Tartaglia, Nino Di Matteo e Francesco Del Bene. Gli imputati presenti sono l'ex ministro Mancino, l'ex comandante del Ros Subranni e Massimo Ciancimino. Riina e gli altri tre mafiosi sono collegati in videoconferenza con l'aula bunker.

Mancino, che risponde solo di falsa testimonianza, ha ribadito che oggi il suo legale chiederà lo stralcio della sua posizione: "Io ho sempre combattuto la mafia, non posso stare nello stesso processo in cui c'è la mafia. Chiederemo uno stralcio", ha detto l'ex ministro prima dell'inizio dell'udienza. "Ho fiducia e speranza - ha aggiunto - che venga fatta giustizia e che io possa uscire al più presto dal processo".
Ma la Procura ha preannunciato che contesterà una nuova aggravante a Mancino. Il pm ha anticipato la nuova aggravante prendendo la parola in aula, ma non ha avuto il tempo di specificare di quale aggravante si tratti perché il presidente della Corte lo ha interrotto, spiegando che non era quello il momento per procedere alla contestazione.

Per il procuratore di Palermo Francesco Messineo, la posizione dell'ex ministro "era già stata espressa in sede di udienza preliminare e sulla quale credo che ci sia stata già una pronuncia sia pure provvisoria. Ritengo che la difesa del senatore Mancino saprà svolgere egregiamente il suo compito proponendo quei temi che ritiene adeguati nell'interesse dell'assistito". Quanto ad eventuali responsabilità di esponenti dello Stato, Messineo è stato netto: "Io rifuggo sempre da questo tipo di valutazioni generiche e moralistiche, qui stiamo celebrando un processo e non dobbiamo distribuire pagelle o encomi e neanche forme di rivalsa nei confronti del passato. Cerchiamo di chiarire i fatti, di accertarli e di trarne le conclusioni giuridiche".
"Quando la verità dovesse riguardare elementi di colpevolezza a carico dello Stato, lo Stato non può nascondere eventuali sue responsabilità sotto il tappeto", ha detto il pm Di Matteo.

L'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo è stracolma di giornalisti, cameraman, ma anche avvocati. Tutti i banchi sono occupati e molte persone sono rimaste in piedi per la mancanza di spazio. In aula c'è anche Paolo Ferrero, il leader di Rifondazione comunista, che al processo si è costituita parte civile. Si sono costituiti anche parte civile: il capo della Polizia Gianni de Gennaro, ma solo nei confronti di Massimo Ciancimino, la Presidenza del Consiglio, Il centro studi Pio La Torre, il popolo delle Agende rosse, il sindacato di Polizia, il Comune di Palermo, la Regione Siciliana e l'associazione vittime della mafia. Davanti alla Corte di assise stamani ha fatto istanza di costituirsi l'associazione Libera di don Luigi Ciotti. Hanno chiesto alla Corte di costituirsi parte civile anche la Regione Toscana, il Comune di Firenze, l'Associazione vittime dei Geoergofili e altre associazioni antimafia toscane.

"Per la prima volta lo Stato processa altri pezzi dello Stato. Sembrava una cosa impossibile, invece sta avvenendo. Ho fiducia nei magistrati e nel processo e il dato di partenza è che la trattativa non è più ritenuta fumosa o fantomatica. C'è stata", ha detto Salvatore Borsellino che ha ricevuto le condoglianze per la morte di Agnese da Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo.

La storia della trattativa - La "storia" della trattativa, come il giudice Piergiorgio Morosini la raccontò nel suo provvedimento di rinvio a giudizio, parte dalle aspettative deluse sul maxiprocesso, con la conferma degli ergastoli ai vertici dei clan. Da qui il tentativo di Cosa nostra di chiudere i conti con chi riteneva responsabile di quella debacle giudiziaria e la ricerca di nuovi referenti politici. La mafia avrebbe cercato di condizionare le istituzioni con le stragi e stringere alleanze con massoneria deviata, frange della destra eversiva, gruppi indipendentisti, per dare vita a un piano eversivo condotto a colpi di attentati rivendicati dalla Falange Armata.
Il primo atto del progetto sarebbe stato l'omicidio dell'eurodeputato Dc Salvo Lima. Poi arrivò l'allarme attentati a una serie di politici. E qui sarebbe entrato in gioco l'ex ministro Calogero Mannino che, per salvarsi la vita, attraverso il capo del Ros Antonio Subranni, avrebbe stimolato l'inizio di una trattativa.

La storia sarebbe proseguita con i contatti tra gli ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni e l'ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, il papello con le richieste del boss Totò Riina per fare cessare le stragi, l'ingresso nella trattativa del capomafia Bernardo Provenzano.
Il dialogo avrebbe dato i suoi frutti con la decisione dello Stato, nel 1993, di revocare oltre 334 41-bis. Ma l'ammorbidimento della linea sul regime carcerario non sarebbe bastato ai boss e la trattativa sarebbe proseguita con altri protagonisti, come Marcello Dell'Utri "portatore" della minaccia mafiosa a Silvio Berlusconi che di lì a poco sarebbe diventato premier.

Nella storia entra anche l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino: avrebbe detto il falso negando di avere saputo dall'allora Guardasigilli Claudio Martelli dei contatti tra il Ros e Ciancimino. "Mai fatta falsa testimonianza", ha sempre replicato l'ex politico Dc.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, Repubblica/Palermo.it]

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27 maggio 2013
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