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Lo Stato e gli attentati

Depistaggi e coperture: dall'omicidio di Piersanti Mattarella al fallito attentato all'Addaura

07 gennaio 2011

"Mi assumo il merito di avere iniziato uno stravolgimento della ricostruzione della dinamica iniziale attraverso il collaboratore Fontana, che ho sentito per primo all'inizio della collaborazione. Proprio da quel momento è iniziata una ricostruzione assolutamente diversa. Ci sono stati elementi che non hanno favorito uno sviluppo normale delle indagini. Ci sono stati processi a Caltanissetta nei confronti di artificieri e di altre persone che certamente non hanno contribuito all'accertamento della verità".
Queste le parole dette ieri dal Procuratore antimafia Piero Grasso, parlando del fallito attentato all'Addaura contro il giudice Giovanni Falcone nel giugno del 1989, a margine della commemorazione dell'omcidio di Piersanti Mattarella.
Con la deposizione di una corona di fiori è stato ricordato ieri mattina, sul luogo dell'agguato in via Libertà a Palermo, l'ex presidente della regione siciliana. Piero Grasso fu il primo ad accorrere sul luogo del delitto il 6 gennaio del 1980 perché pm di turno.

Parlando dell'omicidio dell'ex governatore democristiamo, che tentò di scardinare le perverse logiche che intercorrevano tra politica e criminalità, il Procuratore nazionale antimafia ha detto: "C'è stata un'attività di depistaggio da parte di Vito Ciancimino, che allora era il collante tra politica e mafia, nell'attibuire alle Brigate rosse l'omicido. Questo è indicativo del tentativo di portare totalmente da un'altra parte i vertici investigativi di quel momento". Alla domanda su cosa avrebbe impedito il raggiungimento della verità per il delitto di 31 anni fa, Grasso ha risposto: "La particolarità del movente e la complessità dei moventi dell'omicidio. E' una mia intuizione che però non posso dimostrare, trovando gli esecutori materiali e i mandanti interni ed esterni a Cosa nostra".
"Non dimentichiamo che ci sono state anche delle azioni di depistaggio durante le indagini e quello è il momento iniziale in cui si decide se un'indagine prenderà un volto o un altro - ha spiegato ancora Grasso - Noi cerchiamo sempre la verità a qualsiasi costo e con la tensione morale che ci ha sempre accompagnati. Non ci siamo mai fermati di collegare fatti passati, lo dimostrano le indagini di oggi su fatti lontani nel tempo". "Io personalmente che ho iniziato a lavorare su questo omicidio, perché ero di turno come giovane sostituto a Palermo, dopo le prime indagini ho avuto delle intuizioni che però non si sono mai potute dismostrare. Cioè che si trattò di un delitto politico-mafioso, che non è solo mafioso e non è solo politico", ha aggiunto. Per Grasso "le indagini lo hanno fatto intuire senza arrivare agli esecutori materiali. Nemmeno all'interno di Cosa nostra si riescono ad avere notizie su questi fatti eccezionali con una mafia che spesso è stata braccio armato di altri poteri. Quindi è questo il contesto in cui va inqudrato questo omicidio che ha affermato un cambiamento. Ci dobbiamo chiedere in 31 anni cosa è stato fatto per avviare quel cambiamento e questo sviluppo...". [Adnkronos/Ing]

Il mistero dell’artificiere e del colonnello Mori - Il procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso, l’ha detto chiaramente di fronte alla lapide di Piersanti Mattarella: sull’Addaura "uomini dello Stato frenarono la verità". In una parola: depistaggi. Come quelli che hanno portato – continua il capo della Dna – ad istruire a Caltanissetta processi "ad artificieri ed altre persone che certamente non hanno contribuito all’accertamento della verità". Il riferimento è al processo di cui è stato protagonista Francesco Tumino, l’artificiere che ha fatto brillare l’ordigno nella villa a mare del giudice Falcone. Il maresciallo dei carabinieri è stato condannato a un anno e mezzo per calunnia, per aver attestato falsamente la presenza del funzionario di polizia Ignazio D’Antone sul luogo del fallito attentato. Ma proprio sul maresciallo Tumino e sul ruolo di un alto ufficiale dei carabinieri, Mario Mori, getta un ombra Antonio Esposito, giudice della Corte di Cassazione che nel 2004 ha rinviato alla corte d’assise d’appello di Catania la sentenza che assolveva Nino Madonia, Enzo e Angelo Galatolo per il fallito attentato all’Addaura.
"L'artificiere Tumino – racconta il giudice Esposito a 'Il Mattino'che avrebbe dovuto disinnescare la bomba all’Addaura giunse con quasi quattro ore dalla richiesta di intervento. Operò sul posto – continua Esposito – e danneggiò fortemente il comando di attivazione della carica esplosiva. Fu sottoposto a procedimento penale per falso ideologico e false dichiarazioni al pm, patteggiò la pena e rimase in servizio nei carabinieri per ricomparire in via D’Amelio dopo l’attentato a Borsellino".
Ma sull’Addaura non sono finite le ombre. "E’ rimasto incomprensibile il motivo per cui il colonnello Mori dichiarò all’autorità giudiziaria: '…un consistente numero di chili di esplosivo messo lì senza alcuna possibilità di deflagrare era una minaccia molto relativa… io ho pensato a un tentativo intimidatorio più che ad un attentato mirato ad annientare Giovanni Falcone'. Viceversa le perizie diedero la certezza – conclude Esposito – che il congegno era pronto ad esplodere non appena avesse ricevuto l’impulso e che l’esplosione avrebbe avuto un esito mortale nel raggio di 60 metri".
Un processo forse "depistante" come lo definisce il procuratore Grasso ma che – a guardar bene – potrebbe svelare nuovi coni d'ombra offerti dallo Stato affinché i mafiosi potessero muoversi a loro agio. [(ac) LiveSicilia.it]

- Il Dna dell'Addaura (Guidasicilia.it, 04/01/11)

 

 

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07 gennaio 2011
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