Lo Stato sotto accusa
Nel ventennale della strage, l'invettiva dei magistrati: "Entro un anno piena luce o ci vergogneremo"
Alle 16,50, quando il procuratore aggiunto Vittorio Teresi ha appena finito di leggere la sua lettera a Paolo Borsellino giurandogli che "se i segreti di oggi tra un anno saranno ancora tali mi vergognerò da cittadino", una voce si leva dal servizio d'ordine delle Agende rosse. "Girate le spalle all'albero". E un'intera strada, all'unisono alza in aria l'agenda rossa e volta le spalle. È la parola d'ordine, la reazione già concordata qualora in via D'Amelio si fossero presentati esponenti delle istituzioni poco graditi come testimonia la scritta sulle magliette rosse. "No corone di stato per stragi di Stato".
Davanti al palco, nessuno sa chi è "l'autorità" che si è presentata per commemorare il giudice e gli agenti della scorta al minuto di silenzio delle 17,58. La voce corre di bocca in bocca: è il presidente della Camera Gianfranco Fini.
Fini è arrivato a Palermo in veste personale, già la mattina per prendere parte all'incontro promosso dall'Associazione nazionale magistrati a Palazzo di giustizia. Tra le magliette rosse spiccano anche gli abiti blu di Antonio Di Pietro, Leoluca Orlando con i colleghi di Napoli Luigi De Magistris e di Bari Michele Emiliano. "Non sono qui per avere consensi ", è l'unico commento di Fini mentre poggia un tricolore sotto l'albero d'ulivo piantato sul luogo della strage.
Una protesta silenziosa (anche se poi Salvatore Borsellino va incontro a Fini, gli stringe la mano e lo ringrazia per la sua presenza), che distoglie solo per un attimo l'attenzione da un incontro carico di tensione, un incontro che - come dice subito Salvatore Borsellino aprendo il pomeriggio - "non è una commemorazione di un giudice morto a vent'anni dalla strage ma una testimonianza di sostegno a dei magistrati vivi che stanno cercando di arrivare alla verità. Magistrati che oggi stanno vivendo gli stessi attacchi istituzionali che ha subito Paolo. A Palermo respiriamo di nuovo aria pericolosa - dice Salvatore Borsellino - ma noi non vogliamo più magistrati morti vogliamo magistrati vivi da sostenere fino in fondo nella loro azione".
Ed eccoli i "magistrati vivi" che sfilano, uno ad uno, sul palco di via D'Amelio per leggere una immaginaria lettera scritta all'amico Paolo Borsellino. E le loro parole, commosse, forti, crude, ferocemente critiche verso quelle istituzioni che oggi sentono contro, vengono interrotte da continui applausi. Il più duro di tutti è il procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato che sposa subito lo spirito della manifestazione contro lo "Stato-mafia". "Più trascorre il tempo - dice - più diventa imbarazzante partecipare alle cerimonie ufficiali, stringe il cuore vedere in prima fila personaggi la cui condotta è la negazione di quello per cui si è fatto uccidere Paolo, attorniati da una corte di piccoli maggiordomi che piegano la schiena per una promozione, per una poltrona. Se ne restino a casa almeno il 19 luglio e ci facessero la grazia di tacere perché dette da loro le parole 'Stato, giustizia, legalità' perdono senso". Al popolo delle Agende rosse promette che i magistrati siciliani andranno fino in fondo nella ricerca della verità senza fermarsi davanti "ad uno stuolo di sepolcri imbiancati che nelle chiese si battono il petto dopo aver partecipato a summit mafiosi". "Ma nonostante siano ancora forti e potenti, cominciano ad avere paura perché sanno che non ci fermeranno, che è solo questione di tempo, perché un giorno alle porte dei loro lussuosi palazzi suonerà il vero Stato".
La staffetta sul palco con Antonio Ingroia dopo il minuto di silenzio e la lettura del canto al "Giudice Paolo" dell'attrice Marilena Monti scatena la folla. E Ingroia lancia dal palco il suo nuovo guanto di sfida alla politica: una riforma della legge sui pentiti che consenta a chiunque sa qualcosa di quella stagione politica di riprendere a parlare. "Se la politica vuole dare un segnale forte deve consentire di aprire una nuova stagione, come quella che 20 anni fa diede luogo a un numero tumultuoso di mafiosi che raccontarono dei rapporti tra mafia e istituzioni. Quando viene costruita a tavolino una verità apparente, allora per smontarla non bastano solo dei bravi magistrati, ma ci vuole un Paese onesto. Ci saranno processi che accerteranno se la verità da noi acquisita è valida per essere scritta nelle sentenze". E ancora: "Per la verità e la giustizia siamo disposti ad affrontare insulti, attacchi, delegittimazioni perché così ci ha insegnato Paolo Borsellino, perché la verità non ha prezzo. Avremo la verità quando si abbatterà il muro della reticenza istituzionale degli uomini di quel tempo". Una verità che Antonio Ingroia sente molto vicina se alle migliaia di persone che lo inneggiano in via D'Amelio dice: "Siamo ad un passo dalla verità. Stiamo riuscendo a realizzare quello che abbiamo giurato sulla bara di Paolo Borsellino".
Cerca di raffreddare gli animi Nino Di Matteo, uno dei pm della trattativa e segretario dell'Anm. "Dobbiamo evitare di offrire il destro alle polemiche, dobbiamo resistere, reagire e continuare con compostezza con lo stesso spirito che ci ha insegnato Paolo Borsellino, cioè autonomia, indipendenza e coraggio nel trattare indagati e imputati allo stesso modo, siano essi gli ultimi diseredati o appartenenti alle istituzioni. Il vostro sostegno - ha detto il pm rivolgendosi alla folla - è più forte di qualsiasi tentativo di delegittimazione e isolamento, da chiunque esso provenga. In questo luogo di morte, ma anche di vita e di reazione, vi dico grazie". [Articolo di Alessandra Ziniti - Repubblica/Palermo.it]