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Lo strano caso della morte del bandito Giuliano

Riaperta l'inchiesta sulla morte di Salvatore Giuliano. Ingroia: "Testimonianze che vanno tra il mito e la realtà"

13 agosto 2010

Dopo 60 anni torna nuovamente alla ribalta della cronaca quello che può essere definito come il primo grande mistero nella storia della Repubblica: l’uccisione di Salvatore Giuliano, il "re" di Montelepre che negli anni convulsi del dopoguerra fu protagonista della stagione controversa e sanguinosa del banditismo in Sicilia.
La Procura di Palermo ha aperto un fascicolo di "atti relativi" sulla morte del bandito Salvatore Giuliano, ucciso in circostanze mai chiarite a Castelvetrano (Trapani) il 5 luglio del 1950. A dare l'input ai magistrati è stato un esposto presentato dallo storico Giuseppe Casarrubea, che già in passato si è più volte occupato del caso Giuliano.
I pm, coordinati dall'aggiunto Antonio Ingroia, hanno sentito come testimoni lo stesso Casarrubea, il ricercatore argentino Mario Josè Cereghino, il giornalista dell'Ansa Paolo Cucchiarelli e il dottor Alberto Bellocco, il medico-legale che ha comparato le foto del cadavere del bandito. I magistrati non potranno invece interrogare l’unico testimone che avrebbe potuto rivelare i retroscena dell’uccisione del bandito di Montelepre, l’avvocato Gregorio De Maria, proprietario della casa di Castelvetrano in via Mannone nel cui cortile venne trovato il cadavere di Giuliano. L'"avvocaticchio", come era soprannominato, è morto nel maggio scorso, a 98 anni, portando con sè nella tomba i segreti legati al primo grande mistero della Repubblica.

Non è la prima volta che Giuseppe Casarrubea, figlio di una vittima della banda Giuliano, sollecita la riapertura delle indagini su queste torbide vicende. Nel dicembre del 2004 lo storico aveva consegnato un dossier di 67 pagine alla Procura di Palermo sulla strage di Portella della Ginestra del primo maggio 1947. Secondo Casarrubea, centinaia di documenti desecretati e rintracciati dallo studioso negli archivi italiani e americani dell’Office of Strategic Services, proverebbero che il contesto politico e sociale siciliano, a partire dal 1944, sarebbe stato dominato da un patto scellerato tra neofascismo, servizi segreti, mafia, bande paramilitari, gruppi separatisti, fronde anti comuniste e lobby terriere. Nel dossier sono contenuti anche nomi e cognomi di militari ed ufficiali della Decima Mas di Junio Valerio Borghese, spalleggiati dai servizi segreti.

"Su Salvatore Giuliano ci sono testimonianze che vanno tra il mito e la verita". Così il Procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, il magistrato che coordina l'inchiesta sull'omicidio Giuliano. "Stiamo aspettando gli esiti degli accertamenti tecnici che ho diposto sul materiale a disposizione - ha spiegato Ingroia - Ma posso dire fin d'ora che ci stiamo andando con i piedi di piombo, non escludiamo niente. Ma prima di fare ipotesi aspettiamo. Ci muoviamo solo sulla base di fatti concreti e non su congetture".
La Procura di Palermo è chiamata a fare luce, in particolare, sull'ipotesi che il cadavere di Giuliano ripreso sul luogo del delitto, il cortile De Maria a Castelvetrano (Trapani), fosse lo stesso di quello fotografato nell'obitorio del cimitero di Castelvetrano. Ecco perché è stato disposto dalla magistratura un esame approfondito dei filmati e delle fotografie a disposizione. A mettere in dubbio la certezza che il cadavere mostrato ai giornalisti fosse davvero Salvatore Giuliano è stato, tra gli altri, un docente di Medicina Legale, il professor Alberto Bellocco. "Dobbiamo fare un'attenta verifica del materiale a nostra disposizione - ha spiegato ancora Ingroia - per accertare se quanto affermato dal professor Bellocco sia plausibile". Il Procuratore Ingroia sta cercando, quindi, di stabilire se effettivamente il cadavere di cortile De Maria a Castelvetrano sia lo stesso del corpo di Salvatore Giuliano dell'obitorio. "Purtroppo abbiamo poche immagini a disposizione - ha detto ancora il magistrato - ma noi cerchiamo di fare luce grazie alle tecniche che abbiamo a disposizione nell'eseguire gli accertamenti".
A chiedere la verifica sul cadavere è stato un giornalista Rai, Franco Cuozzo, che sta scrivendo un libro sulla vicenda, l'ennesimo sul mistero di Montelepre. Un altro e' stato pubblicato di recente dal nipote di Giuliano, Giuseppe Sciortino Giuliano 'Via d'inferno. Cause ed affetti', in cui l'uomo racconta che il nonno sarebbe scappato negli Stati Uniti e che sarebbe morto solo pochi anni fa, ultraottantenne, dopo essere tornato due volte in Sicilia. "Una ricostruzione - spiega il nipote - frutto dell'immaginario popolare". E il mistero si infittisce sempre di piu'.

Parla il giornalista che ha scoperto le foto ora sotto perizia (di Paolo Cucchiarelli) - La Procura di Palermo indaga sulla morte di Salvatore Giuliano. L'ipotesi da verificare, attraverso l'esame delle fotografie disponibili del cadavere ripreso nel cortile di casa De Maria il 5 luglio del 1950 e di quelle che lo ritraggono nell'obitorio del cimitero di Castelvetrano, è se si tratti sempre dello stesso cadavere e se uno dei due sia in effetti di Salvatore Giuliano. Ipotesi da fiction? Non tanto se il Pm Ingroia ha fatto partire una indagine a tutto campo e disposto l'acquisizione dell'unico video della morte diffuso all'epoca dalla settimana Incom e di molte foto dell'epoca. Ora la polizia scientifica farà le sue analisi. Che il cadavere mostrato ai giornalisti nel luglio del 1950 potesse non essere quello di Giuliano è in Sicilia diceria, leggenda, brusio costante in questi 50 anni. Ma ora c'è una verifica che ha come base l'ipotesi che i due cadaveri, del cortile e dell'obitorio, siano di due persone diverse messa nera su bianco, anni fa, da un specialista dei Medicina Legale, il Professor Alberto Bellocco.
A chiedere quella verifica è stato il giornalista della Rai Franco Cuozzo che all'Ansa racconta tutti i retroscena di questa incredibile ipotesi e anche le conclusioni a cui è giunto nel libro che sta scrivendo.
Cuozzo trova, circa 10 anni fa, in un Archivio, La Fondazione Allori, delle foto di Giuliano all'obitorio che non aveva mai visto. Verifica che non siano state pubblicate e si accorge che ci sono vistose anomalie. Quel cadavere è "troppo fresco" per essere stato dalle 3 di notte alle 10 per alcuni e alle 15 per altri del 5 luglio all'aria aperta. Colava del sangue dalle ferite. Non mostra segni evidenti di processi degenerativi. "C'erano dei fori, quattro, due dalla parte destra del costato e due sul braccio sinistro. E poi non quadra nulla nella ricostruzione. La notizia dai carabinieri arriva a Roma tardi, alle 20.30 mentre ai politici arriva subito: c'è una evidente sfasatura, come se i 'carabinieri attendessero che qualcosa si compisse' e ci fosse 'in corso una trattativa'", dice Cuozzo che cita le perplessità dei giornali dell'epoca. Nel cortile Giuliano era irriconoscibile, bocconi, con il viso per gran parte rivolto a terra e una chiazza di sangue proprio in corrispondenza. I giornalisti a Castelvetrano arrivarono - ha ricostruito Cuozzo - quando già il cadavere era stato portato via. Facevano fede solo le foto fatte scattare sotto stretto controllo dei carabinieri. Cuozzo è giunto, sulla base di attenti studi che poggiano anche sulla perizia da lui chiesta ma diffusa da due ricercatori, ad una sua verità.

"Come ha detto anche Andreotti la Dc, lo Stato, usò la mafia per far fuori Giuliano. C'era una taglia di 50 milioni e tutte le sfasature, le anomalie, le contraddizioni, le incertezze delle prime ore, la rabberciata e incerta ricostruzione fotografica, si spiegano se si parte dall'idea che la mafia 'apparecchiò' quel cadavere, il sosia di Giuliano che il bandito voleva utilizzare per un film, come 'contromarca' per avere i 50 milioni pattuiti e consegnare subito dopo il cadavere di Giuliano. Si è scritto, detto, sostenuto, ci sono anche dei nomi, che nella vicenda venne utilizzata la mafia di Monreale, l'unica che era rimasta legata a Turiddu. Ecco, credo, il perché di quei due cadaveri diversi. Quello del cortile De Maria è il sosia, l'altro, è Giuliano. La trattativa aveva per oggetto le coperture da garantire e i soldi da incassare. Qualcuno non si fidava e ricorse al vecchio detto,'pagare tappeto, vedere cammello'". E soprattutto Cuozzo seppe dal fotografo che aveva fatto quello scatto, Osvaldo Restalli, che era del tardo pomeriggio del 6 luglio e che nella gestione della pubblicazione sui giornali c'era una accorta regia. "Quelle dell'obitorio, se prese da una certa angolazione, erano stata tutte non pubblicate. Poteva poi un cadavere colare sangue fresco dopo 37 ore dalla morte?". La storia è semplice.
La perizia di Bellocco dice chiaramente, con riscontri difficilmente confutabili (ci sono colpi di arma da fuoco in posti diversi sui due cadaveri; i lobi delle orecchie sono nettamente diversi, ci sono solo in uno le basette, il cadavere dell'obitorio ha una gamba spezzata ecc.) che si tratta di due corpi diversi. Quella perizia ha una sua spiegazione ma non quella 'strombazzata' della messinscena per coprire la fuga di Giuliano "ma la trattativa tra lo Stato, i carabinieri, e la mafia che doveva, dopo aver fatto fuori Giuliano e il suo sosia, consegnare il cadavere del bandito dopo aver dato, con il primo cadavere, il riscontro di aver portato a termine l'operazione. Soldi, quindi. E coperture. Eco perché quello dell'obitorio altri non è, per me che seguo la cosa da 10 anni, che il corpo di Turiddu".

[Informazioni tratte da Ansa, La Siciliaweb.it, Adnkronos/Ing]

 

 

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13 agosto 2010
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