Ma che ci fa ancora lì?
Battuto ancora una volta, Berlusconi chiede la fiducia. Le opposizioni vogliono le sue dimissioni, ma lui non ci pensa nemmeno
Ieri il governo è stato battuto in aula alla Camera sull'assestamento di bilancio. L'Aula ha respinto l'articolo 1 del Ddl di rendiconto 2010. Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha rinviato ad oggi i lavori su richiesta del presidente della commissione Giorgetti. "Mi sembra giusto, date anche le evidenti implicazioni di carattere politico dell'accaduto", ha dichiarato Fini. E' un fatto che non ha precedenti, avrebbe poi commentato nel corso della conferenza dei capigruppo, stabilendo quindi la convocazione della Giunta per il Regolamento per decidere se, dopo la bocciatura, sia possibile andare avanti.
Sono 14 (con Alfonso Papa, però) i deputati del Pdl che non hanno partecipato al voto. Tra questi, spicca il nome di Claudio Scajola, reduce da un lungo incontro con il premier Silvio Berlusconi ("E' stata una chiacchierata sincera tra amici", ha commentato uscendo da Palazzo Grazioli).
Tra gli altri, mancavano poi Antonio Martino, Piero Testoni, Giustina Destro. Sei gli assenti di Popolo e territorio, a partire da Domenico Scilipoti. Assente anche Gianfranco Miccichè. Nel Misto mancava tra gli altri Andrea Ronchi. Non c'era nemmeno Umberto Bossi, che si è fermato a parlare con i cronisti e ha mancato, di un soffio, il voto facendo scoppiare un caso. Assente anche l'altro leghista Matteo Bragantini. Andando per gruppo, sono stati tre gli assenti del Pd, tre di Fli e tre dell'Udc compreso il leader Pier Ferdinando Casini. Alla voce 'in missione', invece, figurano Roberto Maroni, Franco Frattini, Catia Polidori e Giulio Tremonti (che però a un certo punto è entrato in Aula). "Nessuna ragione politica, di nessun tipo" per l'assenza del ministro dell'Economia, ha spiegato una nota del Tesoro. "A poche ore dalla presentazione della legge di stabilità era al ministero impegnato con gli uffici di gabinetto nella valutazione dei dossier relativi a ciascun ministero" e "appena ricevuta la notizia dall'aula il ministro ha interrotto i lavori e si è recato a Montecitorio".
Il premier subito dopo il voto, ha raggiunto scuro in volto l'aula del governo di Montecitorio con in mano l'elenco degli assenti. In particolare, Berlusconi avrebbe storto il naso proprio per l'assenza al voto dei due big al voto, Tremonti e Scajola.
Il voto di ieri, ha però spiegato Ignazio La Russa, è stato determinato da "assenze occasionali" e dalla bocciatura di un articolo di un provvedimento non può derivare la conseguenza che il governo non ha la maggioranza in Parlamento. "Deciderà il presidente del Consiglio - ha aggiunto -, per me sarebbe corretto mettere subito un voto di fiducia per vedere se il governo c'è o non c'è". Quanto alle assenze, il coordinatore del Pdl ha minimizzato: "Non c'è nessuna dietrologia da fare, alcuni erano assenti perché impegnati in attività istituzionali, altri sono arrivati trafelati, un attimo in ritardo, come Tremonti...".
Fatto sta che il governo è stato battuto, di un solo voto, ma è stato battuto. Nella maggioranza, nonostante chi tenta di minimizzare, è il caos. Infatti, esistono solo due precedenti simili nella storia del Parlamento. Ed entrambi portarono i presidente del consiglio in carica a rassegnare le dimissioni al capo dello Stato. Il primo risale al 1988 quando il governo Goria venne battuto per l'ennesima volta su un emendamento al Bilancio. L'altro riguarda Giulio Andreotti.
Ma Silvio Berlusconi non ci sta a fare un passo indietro. Nonostante la rabbia provata a Montecitorio. L'intenzione sarebbe quella di presentare un nuovo provvedimento e chiedere la fiducia che si trasformerebbe in un voto sul governo. La decisione è stata presa dopo un vertice di quattro ore a Palazzo Grazioli. Riuniti Pdl, Lega e Responsabili. E sarà lo stesso Berlusconi, o almeno così sembra, a chiedere la fiducia. "Far cadere il governo nel mezzo di questa crisi economica sarebbe da irresponsabili", sarebbe uno degli argomenti che vorrebbe utilizzare il premier. La sua idea, insomma, è quella di non prestare il fianco alle opposizione e "dimostrare di avere i numeri. Li sbugiarderemo".
L'opposizione, ovviamente, continua a chiedere a gran voce le dimissioni del premier. "Berlusconi si convinca ad andare al Quirinale", ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. "Un governo bocciato sul consuntivo non può fare l'assestamento di bilancio, un governo che non può fare l'assestamento non c'è più", ha aggiunto.
Chiede un passo indietro al premier anche il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini. "Oggi le dimissioni di Berlusconi, e prima ancora quelle del ministro Tremonti, sono inevitabili per ridare credibilità al Paese", ha sottolineato. "Molti pensano che sia un'ossessione dell'opposizione chiedere le dimissioni di Berlusconi ma - ha insistito - siamo di fronte a un governo paralizzato".
Per il presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, "non si tratta di un incidente, ma di un atto politico uguale alla sfiducia del Parlamento nei confronti di questo governo, perché bocciare il bilancio dello Stato vuol dire bocciare l'atto fondamentale su cui si fonda l'attività di governo". "Ci auguriamo che il capo dello Stato possa autonomamente prendere atto che questo Parlamento è ormai asfittico". "Prima che sai troppo tardi ponga fine al governo Berlusconi e ci mandi a elezioni anticipate", ha concluso Di Pietro.
Già questa mattina il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è stato molto chiaro: "Berlusconi dica se la maggioranza può governare". E Berlusconi vuole rispondere con i numeri, per questo si presenterà in tempi brevissimi, già oggi o al massimo domani, alla Camera e chiederà la fiducia sulla base di un discorso programmatico. E' quanto venuto fuori dal vertice di maggioranza che si è svolto in serata a Palazzo Grazioli. Il capogruppo al Senato, Maurizio Gasparri riassume: "Berlusconi è orientato a recarsi oggi alla Camera, immagino che ci andrà nel pomeriggio e su queste dichiarazioni si metterà la fiducia. Non credo che debba fare un ampio discorso. Prevedo un voto di fiducia domani".
Insomma la linea della maggioranza è chiara: "Solo un incidente di percorso, i numeri ci sono. Dimissioni? Non se ne parla". Non si deve confondere, questa la visione del premier, il voto su un provvedimento con i numeri della maggioranza. Un'analisi che il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi condivide: "Un infortunio non voluto da alcuno degli assenti anche se è un fatto politicamente rilevante da non sottovalutare che merita la verifica circa la capacità di questo governo di andare avanti".
E la Corte dei Conti lancia l'allarme sulla riforma fiscale - La riforma fiscale non ha copertura, anche perché parte delle entrate sono state usate dal decreto di agosto. Bisogna quindi tassare beni "personali e reali", evitando i tagli lineari alle agevolazioni che "sarebbero recessivi". Lo ha detto il presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino alla commissione Finanze della Camera.
Giampaolino ha osservato che il disegno di legge di delega della riforma fiscale e assistenziale è nato con "l'aspettativa" di ridurre il prelievo fiscale e di ridistribuirlo. Ma tutto ciò si trova "in conflitto" con le esigenze di "rigore" nella finanza pubblica emerse in estate. Il problema subentra dal momento che parte delle coperture (aumento dell'Iva, aumento delle aliquote sulle rendite finanziarie) sono state utilizzate dal decreto di agosto. Giapaolino ha poi espresso "perplessità" sulle "stime" di un'altra fonte di copertura, e cioé la lotta all'evasione. "Oltre a largamente affidarsi a mezzi incerti - ha proseguito il presidente della Corte dei Conti - limitati e talora superati dagli eventi, la copertura del ddl risulta intaccata e messa in forse dalla 'concorrenza' che si è venuta a determinare tra due obiettivi: quella della riforma tributaria e quello della messa in sicurezza dei conti pubblici con riferimento alle risorse attese dal riordino della tassazione delle attività finanziarie e dalla parziale revisione delle aliquote Iva. Dimensioni ben più consistenti - ha ammonito - raggiungerà lo spiazzamento che si produrrà per quanto riguarda le risorse attese dalla revisione delle agevolazioni fiscali". Su esse, ha ricordato Giampaolino, pende la mannaia della "clausola" della manovra di agosto, che prevede un taglio lineare del 10% a tutte le agevolazioni se non verrà approvata la delega, la quale dovrà dare 4 miliardi nel 2012, 16 nel 2013 e 20 nel 2014. I tagli lineari avrebbero "inevitabili effetti regressivi" che "si concentrerebbero soprattutto su coloro che già pagano l'imposta e, più specificamente, sui contribuenti che si collocano nelle classi di reddito meno elevate". Per questo motivo il presidente della Magistratura contabile, ha auspicato l'approvazione "in tempi stringenti", del testo "per impedire che risulti inevitabile l'attivazione della clausola di salvaguardia". Ma il giudizio sul provvedimento non è incoraggiante: "Nel complessivo disegno redistributivo il ddl risulta ormai spiazzato dagli eventi che hanno riportato in primo piano le esigenze del rigore. Le incertezze che ne discendono investono la praticabilità di una riforma complessiva del sistema del prelievo in assenza di una concreta identificazione dei necessari mezzi di copertura".
[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Corriere.it, Repubblica.it]