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Ma come si fa a credere a quest'uomo?

La scoperta di un nuovo "pizzino" e la storia confusa e inverosimile della dinamite...

18 giugno 2011

Diventa sempre più difficile e complesso credere alle parole di Massimo Ciancimino, superteste in alcuni dei processi più importanti della Storia italiana e, nello stesso tempo, carcerato per calunnia e condannato per riciclaggio e intestazione fittizia di beni.
L'esplosivo trovato in parte nel giardino della sua casa palermitana e in parte eliminato da un suo amico (LEGGI) proveniva da Bologna. A Palermo è invece arrivato dopo un lungo viaggio e addirittura con l’aiuto inconsapevole della scorta.
Questa che avete appena letto è l’ultima versione data dal figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo in un nuovo interrogatorio davanti ai pm Nino Di Matteo e Paolo Guido.
La Procura ha subito promosso una serie di accertamenti. Dall’attendibilità del racconto, accolto con molta cautela, dipende ora la competenza della magistratura di Palermo. Se davvero l’esplosivo veniva dal capoluogo emiliano le indagini dovranno essere trasferite a Bologna.
Ciancimino jr ha sostenuto, come scritto dal Giornale di Sicilia, di non avere segnalato subito i fatti a Bologna per non apparire "allarmista" ma soprattutto per non complicare ancora il menage familiare rischiando la separazione dalla moglie. Ha preferito, ha detto, portare l’esplosivo a Palermo, dove poteva disfarsene più facilmente, caricando i pacchi sull’auto di scorta che lo ha poi accompagnato a Napoli. Qui gli involucri sono stati imbarcati su un traghetto di linea e ricaricati all’arrivo su un’altra auto di scorta. Tutte queste operazioni avevano un alto grado di pericolosità attenuato solo dal fatto che i 13 detonatori non erano collegati all’esplosivo.
In un primo momento Massimo Ciancimino, da circa due mesi in carcere per calunnia nei confronti di Gianni De Gennaro e per detenzione di esplosivo, aveva detto che i candelotti gli erano stati consegnati da uno sconosciuto nella sua casa di via Torrearsa a Palermo. Al citofono il "corriere" gli avrebbe detto: "Questa volta puoi aprire i pacchi, la prossima volta no". Il sistema di videosorveglianza non ha però registrato nulla. Le immagini confermano invece che da Bologna il figlio di don Vito arrivò con plichi voluminosi. Due giorni dopo altre immagini mostrano il momento della consegna dei pacchi all’uomo che poi ha abbandonato il materiale tra i rifiuti. Neanche lui sarebbe stato consapevole della natura del contenuto.

Intanto, oltre a questo ginepraio di affermazioni, rivelazioni e contraddizioni, è spuntato un nuovo "pizzino". Il biglietto manoscritto e originale, risalente agli inizi del 1993, era tra i documenti sequestrati nell'archivio segreto di Massimo Ciancimino trovati dopo il suo arresto (LEGGI).
Il documento è un appunto cifrato che il figlio di don Vito avrebbe scritto al padre nel '93, quando questi era detenuto. Il documento - originale e autografo, attesta la Scientifica interpellata dalla Procura - è vergato su carta in commercio agli inizi degli anni '90. Particolare che non prova, però, che la scrittura risalga a quell'epoca, in quanto l'autore avrebbe potuto utilizzare anche successivamente materiale di quel periodo.
In questo ultimo appunto Massimo dava al padre misteriose indicazioni: "Per papà. Ho visto Giancarlo come da appuntamento: ho posto i tre quesiti ('T', '18 P' e se era possibile prima della Cass. andare a casa). Mi ha detto che fino ad ora non ci sono novità. Restano i vecchi accordi presi con te". E poi ancora: "T non fa niente prima della sentenza P.
Dichiarazioni dei pentiti (nuovi) su di te non dicono nulla. Le ha lette. Aspetta insediamento del nuovo a Palermo. (E' amico), per sapere notizie dei nuovi assetti. Per quanto riguarda P si preoccupa di interventi esterni e per poterli arginare ha bisogno di parlare con te. Abbiamo stabilito che è il caso che vi incontriate al più presto. Come te lo spiego giorno 12 al colloquio".
A spiegare il senso di quanto appuntato ai magistrati è stato l'autore che si è fatto interrogare più volte dopo l'arresto. Un'interpretazione, quella fornita dal detenuto Ciancimino, che conferma quanto lui stesso va raccontando ai pm di Palermo da mesi. Dunque, nella lettera Ciancimino jr dice al padre di avere parlato con "Giancarlo", pseudonimo da lui usato per indicare uno dei presunti protagonisti della trattativa: Giuseppe De Donno, ex ufficiale del Ros e braccio destro del generale Mario Mori, altro personaggio chiave, secondo gli inquirenti, del "dialogo" che parte di Cosa nostra avrebbe intavolato con le istituzioni negli anni delle stragi. All'allora capitano dei carabinieri, Ciancimino jr sostiene di avere posto tre quesiti: uno di questi relativo ai tubi - T si legge nel pizzino - in cui sarebbero state contenute le mappe catastali fornite dai militari del Ros al boss Bernardo Provenzano, tramite don Vito e il figlio, per individuare il covo del capomafia latitante Totò Riina. Secondo Massimo Ciancimino, infatti, Provenzano avrebbe in qualche modo collaborato all'arresto di Totò Riina. Il riferimento all'insediamento "del nuovo", sarebbe stato, poi, alla nomina del nuovo Procuratore di Palermo Giancarlo Caselli che arrivò a Palermo per prendere possesso della carica il giorno della cattura di Riina. E ancora Ciancimino scrive che Provenzano ha bisogno di parlare con don Vito che, però, all'epoca era detenuto. Massimo Ciancimino su questo punto ha sostenuto che, d'accordo con i carabinieri, sarebbe stato organizzato un incontro tra il padre, che doveva presenziare il 18 gennaio in aula a un processo, e Provenzano che era latitante. Il testimone non sa dire se l'incontro ci fu.
Ma quanto ci sarà di vero in tutto ciò? Ma come si fa a credere a quest'uomo?

[Informazioni tratte da LiveSicilia.it, Repubblica/Palermo.it, GdS.it]

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18 giugno 2011
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