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Ma da che parte sta il governo italiano?

Dai primi accertamenti del Ris di Messina sul motopesca Ariete: "I libici hanno sparato ad altezza d'uomo"

16 settembre 2010

E' polemica su quanto accaduto lo scorso 12 settembre al motopesca di Mazara del Vallo mitagliato da una motovedetta libica (LEGGI).  Secondo il Viminale, infatti, quel pomeriggio "non c'é stato alcun inseguimento del motopesca italiano da parte della motovedetta libica". E' quanto emerge dalla ricostruzione dei fatti riportata nel verbale della riunione d'inchiesta svoltasi ieri al ministero dell'Interno.
Nel documento si legge che alle 19.25 i militari libici hanno aperto il fuoco prima in aria, poi in acqua e poi contro lo scafo dell''Ariete', che si trovava a "circa 30 miglia nautiche a nord della località di Abu Kammash". "Ciò nonostante - si legge ancora nel verbale - l'imbarcazione da pesca proseguiva la navigazione verso nord. Alle ore 20.00 il Comandante dell'Unità militare straniera (libica, ndr), valutata l'impossibilità di bloccare la corsa del natante fuggitivo, decideva di interrompere l'azione in attesa di ordini da parte delle Autorità libiche competenti". Dopo circa tre quarti d'ora, ricevute disposizioni dalle autorità libiche, "il comandante del Guardacoste invertiva la rotta e si dirigeva verso il porto di Zuwarah".

Una ricostruzione che contrasta totalmente con quella del comandante del motopesca, Gaspare Marrone. "Si è trattato di un assalto bello e buono, di un tentativo di abbordaggio che è proseguito per circa tre ore, anche dopo la nostra fuga, con raffiche di mitraglia sparate a intervalli di un quarto d'ora-venti minuti". Il comandante Marrone, che è stato ascoltato ieri dai magistrati della Procura di Agrigento, ha ribadito inoltre che l'imbarcazione non era impegnata in una battuta di pesca e che si trovava in acque internazionali. Una replica quest'ultima alle dichiarazioni del ministro degli Esteri Franco Frattini, che l'altro ieri aveva accusato i marinai di "pescare illegalmente", e a quelle del ministro dell'Interno Roberto Maroni, che aveva parlato di un "incidente" sostenendo che forse i militari libici avevano scambiato il peschereccio per un barcone di clandestini. "Non è possibile - ha ripetuto Marrone - al comandante della nave libica abbiamo espressamente detto d'essere italiani, pescatori italiani".
Ecco i momenti fondamentali dell'attacco, così come descritti dal comandante nella dichiarazione all'Ufficio Marittimo: "Alle ore 18.10... la motovedetta libica apriva il fuoco colpendo ripetutamente il motopesca. Dopo la prima raffica cambiavo rotta anche per evitare la collisione con la suddetta motovedetta che si avvicinava al mio motopesca. Successivamente, la motovedetta sparava altre raffiche, a intervalli di circa un'ora, e io continuavo a cambiare più volte la rotta del mio motopesca per evitare la collisione con loro. Tutto ciò proseguiva fino alle ore 21 circa; quindi ricevevamo in tutto circa 4 raffiche. Alle ore 21 subivamo l'ultima raffica e dopo di che riprendevamo la nostra navigazione... Alle ore 23 la motovedetta libica desisteva dall'inseguimento e potevamo così proseguire la nostra navigazione verso Lampedusa...".

"Non è possibile che ci abbiano scambiati per un barcone di clandestini - ha ripetuto più volte Marrone -, al comandante della nave libica abbiamo espressamente detto d'essere italiani, pescatori italiani".
Secondo un articolo di Alfio Sciacca, pubblicato sul Corriere della Sera, le autorità militari italiane sono state informate della tensione in corso tra la motovedetta libica e l'Ariete ancor prima che venisse aperto il fuoco con kalashnikov e mitra. Successivamente avrebbero ricevuto aggiornamenti quasi in tempo reale sulle sventagliate di mitra sparate prima in mare poi ad altezza di scafo. A tenere i contatti, tramite telefono satellitare, col comando della finanza in Libia, proprio i sei militari italiani a bordo della motovedetta libica. A sua volta il responsabile del contingente di stanza a Zuwarah, tenente colonnello Antonello Maggiore, ha girato la segnalazione al comando operativo di Pratica di Mare e alla sala operativa del comando generale della Guardia di finanza. La segnalazione è arrivata in Italia alle 19.20. Cinque minuti dopo i libici iniziavano a mitragliare il peschereccio almeno fino alle 20, continuando "l'inseguimento" fino alle 20.45.
Particolari imbarazzanti che emergono dalla relazione di servizio dei finanzieri italiani. Sono loro ad usare l'espressione "inseguimento" che invece non compare nel rapporto diffuso ieri dal Viminale ma che è plausibile anche dall'esame delle varie coordinate. La versione dei finanzieri solleva interrogativi già al vaglio della Procura di Agrigento. La prima relazione di servizio è firmata dai sei finanzieri della motovedetta: i due ufficiali Gaetano Pulvirenti e Sebastiano Sanso e i sottoufficiali Antonio Giardinelli, Girolamo Ascione, Giuseppe Greco e Giuseppe Abbatantuono. A questa si aggiunge l'informativa del colonnello Maggiore.

L'Ariete è stato sottoposto a sequestro cautelativo dalla Procura di Agrigento, e ieri sono state efettuate una serie di perizie balistiche da parte dei carabinieri del Ris di Messina per accertare se - come riferito dai dieci uomini d'equipaggio - i militari libici abbiano sparato "ad altezza d'uomo".
Ebbene, dai primi accertamenti sembra proprio che i libici abbiano sparato "ad altezza d'uomo", e anche se l'equipaggio durante la traversata da Lampedusa a Porto Empedocle ha ripulito l'imbarcazione, per il Ris non è stato difficile individuare la tipologia dell'arma che ha sperato visto che è del tutto identica a quella in dotazione alle motovedette italiane. "Fino a questo momento - ha detto il procuratore Renato Di Natale - non abbiamo alcun motivo per non credere alla ricostruzione del comandante dei marinai dell'Ariete".
L'inchiesta, aperta dai magistrati a carico di ignoti, ipotizza i reati di tentativo di omicidio plurimo aggravato e danneggiamento. Non è escluso che il procuratore Di Natale, l'aggiunto Ignazio Fonzo e il sostituto Luca Sciarretta decidano di ascoltare anche i militari della guardia di finanza che erano a bordo della motovedetta, donata a Gheddafi dal governo italiano, in qualità di "osservatori".

"Osservatori" che, secondo ministero dell'Interno, hanno operato nel rispetto dei protocolli di cooperazione tra Italia e Libia. Secondo il Viminale, grazie al verbale della riunione, che oltre a riportare una dettagliata ricostruzione dei fatti, fa riferimento agli Accordi di cooperazione Italia-Libia per fronteggiare l'immigrazione clandestina e alle successive intese tra i due Paesi, "si ha la possibilità di giungere, sotto il profilo tecnico alle seguenti conclusioni: l'operato del personale della Guardia di Finanza italiana che al sopraggiungere degli eventi si ritraeva sotto coperta, è pienamente consono a quanto previsto dai Protocolli summenzionati, nonché al contenuto del verbale di riunione sottoscritto il 13 marzo 2009 dalla Commissione Tecnica incaricata dell'esecuzione dei protocolli tra Italia e la Grande Giamairia Araba Popolare Socialista Libica del 29/12/07 e del 4/02/09".
Senza la possibilità di dare ordini o di eseguire controlli, in borghese e senza gradi: gli accordi siglati tra Roma e Tripoli spogliano di fatto di ogni potere i militari italiani a bordo delle motovedette libiche. Ruoli e compiti dei nostri militari sono stabiliti rigorosamente dagli accordi siglati tra Roma e Tripoli: in particolare - secondo quanto riporta il verbale d'inchiesta del Viminale sui fatti che hanno coinvolto il motopesca 'Ariete' - l'intesa tra i due paesi in materia di immigrazione è stabilita dal Protocollo di cooperazione per fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e dal Protocollo aggiuntivo tecnico-operativo, entrambi sottoscritti a Tripoli il 29 dicembre 2007, nonché dal Protocollo aggiuntivo di un articolo (3 bis) firmato a Tripoli il 4 febbraio 2009. A questi si aggiunge il verbale di riunione sottoscritto il 13 marzo 2009 dalla Commissione Tecnica incaricata dell'esecuzione dei protocolli tra l'Italia e la Grande Giamairia araba popolare socialista libica del 29 dicembre 2007 e del 4 febbraio 2009. Ed è l'articolo 4 di questo verbale che specifica i compiti dei nostri militari. Eccoli nel dettaglio. "Il comando e l'esecuzione delle missioni di pattugliamento marittimo con equipaggi congiunti sono affidate alla responsabilità dei comandanti e del personale dell'unità navale del paese ospitante. Gli elementi italiani imbarcati su unità navali libiche e gli elementi libici imbarcati su unità navali italiane partecipano alle missioni di pattugliamento svolgendo esclusivamente compiti di osservatori". In particolare, è scritto, "gli osservatori non possono in nessun caso emanare ordini o direttive concernenti la condotta della navigazione e dell'attività operativa né eseguire materialmente controlli a persone e mezzi navali individuati durante i pattugliamenti; assicurano i compiti di punti di contatto con i rispettivi comandi italiani e libici di appartenenza al fine di agevolare nel corso dell'attività di pattugliamento congiunto lo scambio di informazioni e ogni possibile cooperazione in caso di necessità; rispettano le leggi dello Stato ospitante e in nessun caso possono essere chiamati a rispondere delle attività svolte dal comandante e dal personale dell'unità navale del paese ospitante". Infine, "durante le attività di pattugliamento congiunto, indossano abiti civili e/o da lavoro scevri da segni distintivi".

A trattare "l'increscioso incidente" è stato anche il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, rispondendo ieri nel question time ad una interrogazione del deputato radicale Matteo Mecacci che, tra l'altro, chiedeva al governo di "convocare la controparte libica". L'episodio del motopeschereccio mitragliato dai libici merita un "forte impegno perché azioni del genere non si ripetano più", perché non c'è nessun accordo che "prevede l'uso di armi contro navi pacifiche", ha spiegato il ministro che ha inoltre ricordato che "le collaborazioni con l'autorità libica per l'immigrazione clandestina sono oggetto di intese" firmate dai ministri Amato prima e Maroni poi e di un protocollo del 2007. Il Trattato del '08, criticato da Mecacci, "richiama un accordo firmato nel 2000 e, per quanto riguarda l'immigrazione, ad altre successive intese" e "non modifica gli accordi del 2007". Il ministro ha ricordato ancora che per l'ultimo episodio "sono state formalmente presentate scuse", "avviata una inchiesta" e, in Italia, "è in corso l'indagine del ministero dell'Interno e quella penale contro ignoti". Vito ha spiegato che "il governo approfondirà i necessari correttivi alle intese tecniche sul pattugliamento congiunto".
Ma la polemica politica non accenna a placarsi. "Si sono scusati è vero, ma in questo caso le scuse non bastano. Bisogna pretendere qualcosa di più, per esempio che vengano ridefinite le regole d'ingaggio e che si risolva una volta per tutte la questione delle acque internazionali tra Italia e Libia". Così il presidente della commissione Esteri della Camera, Stefano Stefani. "Quando una nave militare intima l'alt - ha aggiunto l'esponente del Carroccio in un intevento su 'la Padania' - non c'è niente da discutere, bisogna fermarsi, cosa che il peschereccio siciliano non ha fatto. Detto questo - ha aggiunto Stefani - bisogna però dire che arrivare a mitragliare un'imbarcazione di un paese amico ce ne passa".

[Informazioni tratte da Ansa, Adnkronos/Ing, La Siciliaweb.it, Corriere.it, Repubblica.it]

 

 

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16 settembre 2010
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