Ma quante ''talpe'' ci stanno a Palermo... La grande rete del contro-spionaggio di Cosa nostra
Scoperta una probabile rete di informazione che allertava il clan Lo Piccolo
A Palermo il terreno della politica insieme a quello della giustizia sta rivelandosi disseminato di talpe.
Un commissario di polizia avrebbe passato notizie ai boss mafiosi della zona di San Lorenzo, affiliati alla cosca che protegge la latitanza di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, padre e figlio, indicati al vertice di Cosa nostra accanto a Bernardo Provenzano.
Un'indicazione questa che emerge dall'inchiesta che la scorsa settimana ha portato all'arresto di 84 persone.
In una intercettazione ambientale due indagati che sono finiti in cella, Salvatore Gottuso, imprenditore che aveva il ruolo di mediatore con i boss, e Filippo Cinà, parlano di un commissario, ''probabilmente - scrivono i pm nell'ordinanza di custodia - in servizio presso il commissariato di Ps San Lorenzo'', che avrebbe rivelato a Carmelo Militano la notizia dell'imminente esecuzione di un provvedimento restrittivo.
La procura ha avviato già da tempo accertamenti per identificare la ''talpa''. Gli inquirenti, che hanno delegato da molto tempo queste indagini proprio alla polizia, non sono riusciti finora ad avere notizie certe né sul ruolo né sulla persona che ha avuto contatti con Militano, considerato uno dei gregari del boss latitante Salvatore Lo Piccolo.
L'indagine, che ha portato la scorsa settimana al maxi arresto, ha avuto diversi imprevisti che potevano far saltare l'operazione per via delle ''talpe'', e non solo al commissariato di polizia ma anche negli uffici giudiziari in cui si trovano i gip. Un impiegato giudiziario ha segnalato al gip che ha emesso i provvedimenti cautelari, lo ''strano atteggiamento'' di una donna delle pulizie in servizio al Palazzo di Giustizia. La donna, che è dipendente di una società che esegue i lavori per conto del Comune, due giorni prima del blitz aveva sistemato dentro un sacchetto di plastica alcune pagine dell'ordinanza che erano state stracciate e buttate nel cestino dei rifiuti.
L'impiegata voleva portare fuori dal palazzo i documenti, ma è stata bloccata con una scusa. E' risultato, infatti, che abita nello stesso palazzo in cui sono state arrestate nove delle 84 persone arrestate.
Ma non è l'unico aspetto preoccupante della vicenda. Dagli accertamenti è emerso infatti che il marito e il figlio della donna delle pulizie erano stati segnalati dagli investigatori come ''contigui'' alla cosca mafiosa dei boss Lo Piccolo. I pm non avevano però fatto alcuna richiesta di arresto nei loro confronti, perché non sussistevano gli elementi per la detenzione preventiva. La donna non è stata denunciata. L'operazione si è poi conclusa con tutti gli arresti eseguiti, compresi quelli del palazzo in cui vive l'impiegata.
Il clan ''Lo Piccolo''
Con l'arresto di 84 persone nell'operazione "Notte di San Lorenzo" la Squadra mobile della Polizia di Palermo ha sgominato un intero clan mafioso. Quello del boss latitante Salvatore Lo Piccolo e di suo figlio Sandro, radicato appunto nella borgata di San Lorenzo e dall'organigramma tra i più articolati e vasti di Cosa Nostra.
La zona interessata dal blitz comprende, oltre al mandamento di San Lorenzo situato nella parte nord-occidentale di Palermo, anche le cosche dei Comuni di Capaci, Isola delle Femmine, Carini e Villagrazia di Carini.
Le accuse per gli arrestati vanno dall'associazione mafiosa all'estorsione continuata ed aggravata, dal trasferimento fraudolento di valori aggravato alla ricettazione, dall'associazione per delinquere tesa al compimento di una serie indeterminata di rapine aggravate, tentativo di estorsione aggravata al concorso esterno in associazione mafiosa, dalla ricettazione al porto e detenzione abusiva d' arma, dal furto aggravato al commercio di droga, dall'associazione per delinquere tesa al commercio di sostanze stupefacenti all'associazione per delinquere finalizzata alle rapine.
L'indagine - coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e svolta dalla Squadra Mobile - era stata avviata nel marzo del 2001 e recentemente ha ricevuto importanti contributi dagli ultimi collaboratori di giustizia. L'inchiesta ha confermato ancora una volta la diffusione capillare del pizzo, imposto a tappeto dai mafiosi che costringevano a pagare imprese ed esercizi commerciali operanti nel territorio del mandamento. Ancora una volta, nessuna vittima ha sporto denuncia.