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Ma quelle scuse non bastano...

Rientrato all'alba a Porto Empedocle (AG) il peschereccio mitragliato dai libici nel Canale di Sicilia

15 settembre 2010

AGGIORNAMENTO
Non c'é stato alcun inseguimento del motopesca italiano da parte della motovedetta libica. E' quanto emerge dalla ricostruzione dei fatti riportata nel verbale della riunione d'inchiesta svoltasi ieri al ministero dell'Interno sul caso del motopesca italiano contro cui il 12 settembre ha sparato una motovedetta libica. Nel documento si legge che alle 19.25 i militari libici hanno aperto il fuoco prima in aria, poi in acqua e poi contro lo scafo dell' 'Ariete', che si trovava a "circa 30 miglia nautiche a nord della località di Abu Kammash". "Ciò nonostante - si legge ancora nel verbale - l'imbarcazione da pesca proseguiva la navigazione verso nord. Alle ore 20.00 il Comandante dell'Unità militare straniera (libica, ndr), valutata l'impossibilità di bloccare la corsa del natante fuggitivo, decideva di interrompere l'azione in attesa di ordini da parte delle Autorità libiche competenti". Dopo circa tre quarti d'ora, ricevute disposizioni dalle autorità libiche, "il comandante del Guardacoste invertiva la rotta e si dirigeva verso il porto di Zuwarah".
"Si è trattato di un assalto bello e buono, di un tentativo di abbordaggio che è proseguito per circa tre ore, anche dopo la nostra fuga, con raffiche di mitraglia sparate a intervalli di un quarto d'ora-venti minuti". Il comandante del motopesca mazarese Ariete, Gaspare Marrone, ha ribadito oggi, conversando con i giornalisti sulla banchina del molo di Porto Empedocle, la sua ricostruzione dell'assalto avvenuto domenica sera da parte di una motovedetta libica. Una versione che non coincide con quella contenuta nel rapporto del Viminale. Nel verbale della riunione d'inchiesta svoltasi ieri al Ministero dell'Interno si legge infatti che "non c'é stato alcun inseguimento da parte dell'unità libica" dopo che ha aperto il fuoco. Il capitano Marrone, che è stato ascoltato oggi da magistrati della Procura di Agrigento, ha ribadito inoltre che l'imbarcazione non era impegnata in una battuta di pesca e che si trovava in acque internazionali. Una replica alle dichiarazioni del ministro degli Esteri Franco Frattini, che ieri aveva accusato i marinai di "pescare illegalmente", e a quelle del ministro dell'Interno Roberto Maroni, che aveva parlato di un "incidente" sostenendo che forse i militari libici avevano scambiato il peschereccio per un barcone di clandestini. "Non è possibile - ha ripetuto Marrone - al comandante della nave libica abbiamo espressamente detto d'essere italiani, pescatori italiani".
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E' arrivato all'alba di oggi a Porto Empedocle, nell'agrigentino, il motopeschereccio della flotta di Mazara del Vallo (TP) raggiunto nella serata di domenica da colpi di mitragliatrice sparati da una motovedetta libica in acque internazionali, al largo della Libia (LEGGI).
L'Ariete, questo il nome del motopesca, è stato posto sotto sequestro dalla Procura di Agrigento e oggi verrà sottoposto ad una serie di esami balistici che verranno eseguiti dai Carabinieri del Ris di Messina per accertare se - come riferito dai dieci uomini d'equipaggio - i militari libici abbiano sparato "ad altezza d'uomo".
L'inchiesta, aperta dai magistrati a carico di ignoti, ipotizza i reati di tentativo di omicidio plurimo aggravato e danneggiamento. Non è escluso che il procuratore Renato Di Natale, l'aggiunto Ignazio Fonzo e il sostituto Luca Sciarretta decidano di ascoltare anche i militari della Guardia di Finanza che erano a bordo della motovedetta, donata a Gheddafi dal governo italiano, in qualità di "osservatori".

Il comandante del motopesca Gaspare Marrone e l'armatore Vincenzo Asaro hanno contestato la ricostruzione del ministro dell'Interno Roberto Maroni, che ha parlato di "incidente", sostenendo che i libici sapevano benissimo che stavano sparando a un peschereccio italiano e non a un barcone di immigrati.
"Ma quale incidente, Maroni dica quello che vuole. Ma non possono averci scambiato con una barca di clandestini o con altro. Io ho parlato con il comandante della nave libica in Vhs e gli ho detto con chiarezza che eravamo italiani e che stavamo lavorando", ha detto Marrone. "Ora è chiaro, su quella nave c'erano nostri militari della Guardia di finanza - ha commentato ancora il comandante Marrone - quando io mi sono rivolto a quell'uomo che parlava perfettamente la nostra lingua, gli ho chiesto se fossero italiani. Mi ha detto che era un guardiacoste libico, se mi avesse detto che era italiano avrei subito fermato le macchine". "Era impossibile scambiarci per altri - ha detto con decisione il comandante dell'Ariete - la nostra è una barca di 36 metri attrezzata con macchinari da pesca modernissimi, impossibile fare confusione. Loro invece hanno sparato ad altezza uomo. Se avessero voluto intimidirci, sparavano in aria, in acqua. Invece la mia barca ha 50 fori da una paratia all'altra. Ma che comportamento è questo? E Maroni lo chiama un incidente? Dica quello che vuole, ma le cose non stanno così, quelli sparavano per ammazzarci, ad altezza uomo. E sapevano che eravano pescatori".

Se i dati del 'blue box', il sistema di rilevamento Gps a bordo dell'Ariete, hanno infine confermato che l'imbarcazione al momento del tentativo di abbordaggio si trovava a circa 30 miglia dalla costa, in acque internazionali, i membri dell'equipaggio dell'Ariete "hanno invece confermato che" durante la pesca "si sono spostati molto più giù rispetto a quanto consentito", ovvero avrebbero sconfinato nelle acque di Tripoli. Lo ha detto a SkyTg 24 il comandante della Capitaneria di Porto Empedocle, Vito Ciringione. Il comandante Ciringione ha riferito che sul natante "ci sono i segni degli spari, una trentina di colpi ben visibili sulla parte sinistra della fiancata e a poppa. L'equipaggio ha raccontato dell'intimazione di alt in acque internazionali, poi hanno detto che sono seguiti alcuni episodi di rappresaglia. Comunque oggi si svolgeranno accertamenti più precisi con l'autorità giudiziaria. In ogni caso - ha concluso il comandante - hanno confermato che si sono spostati molto più giù rispetto a quanto consentito".

Mons. Mogavero: "Governo inerte, esasperata caccia all'immigrato" - "L'opinione pubblica qui è sconcertata. Il nostro peschereccio non ha compiuto nessun atto di ostilità. L'equipaggio del motopesca ha cercato solo di raggiungere una sponda siciliana, ben sapendo che altrimenti lo avrebbe atteso il sequestro e l'arresto. Il Codice della navigazione fissa limiti ben precisi, che la Libia unilateralmente ha ampliato. E' ovvio che la tutela dei nostri uomini spetta al governo, che invece di fronte ad una situazione grave ed allarmante resta inerte". Lo ha dichiarato all'Adnkronos monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del Consiglio per gli Affari Giuridici della Cei, commentando la vicenda di cui è stato protagonista il peschereccio 'Ariete'.
Quanto alle scuse di Tripoli, "se ci fossero stati dei morti le scuse non li avrebbero certo fatti resuscitare". Per il vescovo di Mazara del Vallo bisogna "assumere un'iniziativa politica, intraprendere un negoziato lungo, complesso, dall'esito non scontato. Ma è chiaro che in questo modo non si può andare avanti". "Non si può sparare contro un essere umano - ha concluso - sia esso un italiano o un clandestino. In entrambi i casi è un atto contro cui è necessario indignarsi".
Poi, ai microfoni della Radio Vaticana, mons. Mogavero ha spiegato che "con regolarità questi episodi si verificano e il punto di contrarietà è sempre lo stesso: il limite delle acque territoriali libiche. Il governo di Gheddafi, con atto unilaterale ha allargato il limite delle acque territoriali fino a 72 miglia marine, contro le 12 previste dal diritto internazionale". "Quindi - ha aggiunto - tutte le volte che un peschereccio della nostra flotta, secondo la loro impostazione delle cose, sconfina, per loro è un atto di aggressione. Per noi invece è operare in mare aperto secondo le convenzioni internazionali". Mogavero ha poi ricordato che episodi del genere "sono accaduti anche di recente con sequestri di pescherecci. Questa volta l'Ariete ha avuto la meglio sulla motovedetta ed è riuscito ad attraccare a Lampedusa". "Però - ha detto ancora - sono episodi che si ripetono e la preoccupazione qui è grande, perché si vede soprattutto l'assenza di un'azione politica a livello nazionale ed internazionale che affronti finalmente nelle sedi dovute questa questione ormai spinosa". La pesca rimane per Mazara del Vallo, ha spiegato Mogavero, "una delle attività primarie, pur essendo un settore in forte crisi come molti altri in questo momento. E' un comparto che occupa parecchie migliaia di persone, compresi molti immigrati".
Quanto all'ipotesi avanzata dal ministro degli Interni, Roberto Maroni, in base alla quale forse la marina militare libica ha sparato perché credeva che sul peschereccio ci fossero degli immigrati clandestini. Mogavero è netto: "Il clima che si respira, questa esasperata caccia all'immigrato, per cui ogni imbarcazione è un potenziale mezzo nemico che tenta di portare in Occidente persone 'pericolosissime' da rinviare subito al mittente, certamente non giova a rasserenare i rapporti, e a risolvere la questione nella maniera più umana possibile, cioè attraverso il dialogo e l'intesa". "Bisognerebbe attendere a compiere atti di ostilità gravi - ha aggiunto - fino a che non si constatino effettivamente delle intenzioni ostili da parte dell'altra imbarcazione. Quello dell'Ariete era solo un equipaggio che andava a pesca, non c'era alcuna condizione per cui l'imbarcazione italiana potesse essere inseguita e ripetutamente attaccata col fuoco". Quindi mons. Mogavero ha lanciato un appello: "Noi siamo per la linea costruttiva del dialogo e della trattativa. Prima di dover raccogliere di nuovo amaramente il cadavere di qualche pescatore o marittimo, siciliano o immigrato, imbarcato su mezzi mazaresi, ci si affretti a trovare il modo la via giusta del dialogo per risolvere questa querelle internazionale che sembra un nodo inestricabile per tutti". "Ma non esistono - ha concluso - nodi inestricabili, ci vuole la pazienza di una trattativa diplomatica che per quanto lunga può di certo approdare a risultati soddisfacenti".

La Lega al governo: "Le scuse di Tripoli non bastano" - "Alla luce della sparatoria di domenica sera, le scuse del governo Gheddafi non bastano e l'Italia deve pretendere di più". La Lega fa sentire la sua voce dopo l'affaire del peschereccio italiano mitragliato da una motovdetta libica che aveva a bordo anche ufficiali della Guardia di Finanza. Mentre il governo si appresta a riferire in Parlamento, Stefano Stefani, presidente leghista della commissione Esteri ha chiesto che "vengano ridefinite le regole di ingaggio e finalmente si risolva una volta per tutte la questione delle acque internazionali fra Italia e Libia. Poichè i pescatori italiani spesso sconfinano perché il confine delle acque non è chiaro". "Bisogna cogliere l'occasione - ha detto Stefani - per risolvere i contenziosi e ridefinire l'intera situazione, tutelando sia i pescatori di Mazara che la sicurezza degli Stati".
Botta e risposta Cicchitto-Franceschini. È stato un acceso botta e risposta quello davanti alle telecamere di Unomattina tra i due capigruppo del Pdl e del Pd alla Camera, Fabrizio Cicchitto e Dario Franceschini, sull'episodio della motovedetta. "Abbiamo un interlocutore - ha osservato l'esponente del Pdl Cicchitto - che è Gheddafi, che presenta caratteristiche singolari, ma con il quale dobbiamo fare i conti. Può scaricarci migliaia e migliaia di immigrati sulle nostre coste. Va condannato tutto l'episodio del peschereccio, è deplorevole, ma una rottura con Gheddafi e con la Libia comporterebbe conseguenze disastrose per il nostro Paese".
"Nessuno vuole rompere - ha replicato Franceschini -, ma questo non vuol dire chinare la testa". All'episodio accaduto nel mediterraneo "qualsiasi Paese avrebbe reagito in modo durissimo, da noi è stato archiviato come incidente. Ed è gravissimo che il ministro dell'Interno abbia detto 'credevano ci fossero degli immigrati', come se in quel caso fosse lecito sparargli addosso". Per l'esponente democratico "c'è un atteggiamento di sottomissione psicologica nei confronti del colonnello, cui abbiamo offerto in agosto un palcoscenico per fare spettacolo quando è venuto in Italia. In quell'episodio c'è dentro un problema di perduta dignità del Paese e di danno alla dignità delle donne italiane".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa, Apcom, La Siciliaweb.it, Repubblica.it]

- "Noi finanzieri ostaggi di Tripoli" di Francesco Viviano

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15 settembre 2010
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