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Mafia, politica, economia, la trinità che tutti devono sconfiggere con una vera e propria rivolta morale

Ribellarsi e lottare ogni giorno contro la mafia nelle fabbriche, nelle officine, nelle università

17 marzo 2005

Al convegno-incontro organizzato dalla Cgil a Palermo su 'Lavori contro la mafia', le affermazioni, le accuse, gli inviti del procuratore capo di Palermo Piero Grasso e del procuratore di Torino, Giancarlo Caselli, hanno avuto toni forti e appassionati.
Il procuratore Piero Grasso ha parlato di come la ''holding Cosa nostra'' negli ultimi anni si sia pericolosamente espansa, cercando anche a Bruxelles un nuovo terminale. Da lì l'Unione europea programma la gestione dei fondi ed è al cuore dell'Europa che la mafia punta decisamente per incrementare il proprio business
Grasso, rendendo noto quanto emerso da alcune intercettazioni ambientali nei confronti di un reggente di una famiglia mafiosa di Palermo, ha rivelato che Cosa nostra vorrebbe piazzare a Bruxelles un proprio «tecnico» in grado di intercettare le risorse comunitarie.
Bruxelles è solo l'ultima frontiera di Cosa nostra che, spiega Grasso, continua a concentrare la sua attività principale negli appalti pubblici, contando sulle connivenze con la cosiddetta 'borghesia mafiosa', quella 'zona grigia', fatta di politici, imprenditori, amministratori e funzionari di banca.
A questi il procuratore si è rivolto indirettamente sottolineando che ''oggi si sa e si deve sapere da che parte stare, basta rispettare le regole, fare onestamente la propria attività''.
Grasso ha quindi lanciato un accorato appello, invitando alla ribellione civile contro Cosa nostra. ''Non è più tempo di fare analisi sulla mafia ma di ribellarsi nelle fabbriche, nelle officine, nelle università. Bisogna lottare ogni giorno''.

Altrettanto forti i toni nel rilanciare la necessità di ''porre la questione morale'', fondamentale per scavare nei rapporti della trinità 'mafia - politica - economia'. ''Bisogna avviare una rivolta morale contro la mafia - ha detto il capo della Dda - contro quelle istituzioni che tolgono la libertà ai cittadini, contro quelle persone che sono pronte a chinarsi e a baciare le mani, contro la cultura dell'antimafia fatta di sofisticati ripensamenti, contro l'affarismo, contro l'inerzia''.
''In questi ultimi anni - ha sottolineato incisivamente il procuratore - il contrasto a Cosa nostra è stato incentrato su strumenti globali che hanno permesso di arrestare capi, killer e affiliati. Oggi quei pilastri di democrazia sono messi in discussione. Il carcere non e più tanto duro - sostiene Grasso - i collaboratori di giustizia sono delegittimati e qualificati come inattendibili e prezzolati e il processo penale è sempre meno adatto a gestire procedimenti contro la criminalità organizzata''.

Insomma uno calo di tensione sul fronte della lotta alla mafia, avvertito anche dal pm Antonino Ingroia, ex braccio destro del giudice Paolo Borsellino, che intravede alcuni rischi, soprattutto quando si parla di Bernardo Provenzano. ''Attenzione - dice - a fare di Provenzano un'icona, la mafia non è solo lui come non lo erano solo Luciano Liggio e Totò Riina. Bisogna accendere i riflettori sui rapporti tra Cosa nostra e il potere politico, perché come diceva Paolo Borsellino, che non era una toga rossa, il vero nodo è la politica''. Ingroia ha inoltre sostenuto che ''i mass media spesso affrontano il tema mafia sotto un aspetto folkloristico'', in questo senso il pm cita il clamore attorno ''alla dieta di Provenzano, ai pizzini, e ai viaggi sanitari del boss in Francia''. ''Il pericolo - ha aggiunto Ingroia - è che si dica che la mafia è solo Provenzano e se viene arrestato la mafia è sconfitta. Ma non è affatto così''.

Anche il procuratore di Torino, Giancarlo Caselli, che per sette anni ha guidato la Procura di Palermo, con gli stessi toni appassionati ha parlato della pericolosissima connivenza, purtroppo ancora più radicata profondamente nell'attuale realtà, tra mafia e politica.
''Dopo le stragi del '92 e del '93, grazie al concorso di tutti, sembrava che il traguardo di ridimensionare se non addirittura di sconfiggere Cosa nostra fosse a portata di mano. Invece è successo qualcosa, a cominciare dalla falsa informazione che si è messa di traverso e anziché riconoscere i risultati conseguiti nella lotta alla mafia si è preferito ignorarli''.

Caselli ha fatto riferimento soprattutto ai ''processi politici, i cui risultati oggi sono negati, al di là della colpevolezza o dell'innocenza degli imputati''. Senza pronunciare mai volutamente il nome di Giulio Andreotti, Caselli ha citato il cosiddetto processo del secolo contro il senatore a vita, ricordando che ''la Corte d'appello ha dichiarato estinto il reato di associazione a delinquere connesso all'imputato''.
''Quando è uscito il dispositivo della sentenza - ha aggiunto Caselli - il presidente dell'Antimafia, non uno che fa chiacchere al bar, ha dichiarato che era stata malamente sbugiardata la tesi di mafiosità dell'imputato. Ecco che se si cancella la verità processuale tutto si complica''.
Il procuratore si è allora chiesto retoricamente il perché di questo stravolgimento della verità scritta dalle sentenze. ''Può darsi - ha proseguito Caselli - che si vogliono rimuovere le storie torbide di questo Paese, può darsi che la verità e certa politica sono incompatibili''.
Secondo l'ex procuratore di Palermo ''quando si tratta di personaggi di peso imputati di reati specifici, la 'giustizia giusta' è solo quella che assolve, mentre i magistrati ricevono fango''. ''Come stupirsi - ha continuato Caselli - se si moltiplicano i soggetti che intrattengono rapporti proficui di scambio con mafiosi e paramafiosi, come se niente fosse. E' una vergogna, questo dovrebbe fare drizzare i capelli a tutti, ma troppi però non si indignano''. Ecco ''perché - ha sottolineato Caselli - la questione morale e la responsabilità politica stanno diventando reperti archeologici, con la mafia che si riorganizza grazie alla strategia della tregua e della mediazione''.
''Non si può contrastare la mafia'', ha concluso il procuratore, ''prendendosela solo con l'ala militare, se non si indaga sulle connivenze con il potere politico'', ricordando che alcune assoluzioni eccellenti hanno seguito ''lo schema tipico dell'insufficienza di prove e della prescrizione, ma i reati sono stati commessi''.

Fonte: La Sicilia

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17 marzo 2005
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