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Magici misteri dell'Arte a misura d'uomo. Quando dietro al mistero si cela ''semplicemente'' la realtà

Sapienza, ricerca e sperimentazione: ecco le parole che svelano i misteri dell'arte

30 agosto 2005

L'arte dei grandi maestri è sempre stata considerata fonte di magnificenza e verità nonché di curiosità e mistero. Quali reali significati celassero alcune opere di Leonardo Da Vinci o di Giorgione, o quali incredibili tecniche pittoriche furono mai sperimentate da Michelangelo o da Tiziano, rimangano da sempre gli interrogativi che da secoli arrovellano le menti degli studiosi.
Recentemente due studi hanno rivelato le ''ennesime verità'' sui misteri nascosti dall'arte di Leonardo e dei coloristi veneziani del Rinascimento.

Lo studio riguardante l'arte del grande Leonardo si riferisce ad un conosciutissimo particolare presente nell'opera più celebre in assoluto del pittore fiorentino, il celeberrimo ''sorriso della Gioconda''
Quest'ennesima spiegazione ''scientifica'' dell'enigmatico sorriso della Monna Lisa, scaturisce da uno studio della neurobiologa statunitense Margaret Livingstone (presentato al 28° Congresso europeo di percezione visiva a La Coruña), che ha descritto l' ''enigma'' come ''un'illusione che appare e scompare a causa della particolare maniera in cui l'occhio umano analizza le immagini''.
In parole povere: secondo la ricercatrice di Harvard, Leonardo creò l'illusione usando ''in maniera intuitiva'' alcuni trucchi che oggi la scienza è in grado di spiegare.
''Gli artisti passano molto più tempo di noi neurobiologi a studiare i processi visivi''. In sostanza, dice la Livingstone, ''l'occhio umano ha una visione centralizzata, molto buona, per riconoscere i dettagli; e un'altra periferica, molto meno sofisticata, però più adeguata a percepire le ombre. Leonardo dipinse il sorriso di Monna Lisa usando ombre che vediamo molto meglio con la nostra visione periferica''. Per questo, per vedere sorridere Monna Lisa bisogna fissare gli occhi della donna o qualunque altra parte del quadro, in modo che le labbra cadano nel campo della visione periferica.
La studiosa ha inoltre ricordato che molti artisti avevano problemi di vista. Rembrandt, per esempio, era strabico, il che ostacolava la sua capacità di vedere in tre dimensioni: secondo la studiosa Usa, il difetto fu in realtà un vantaggio perché ''avere una scarsa percezione della profondità può essere un vantaggio in una professione in cui l'obiettivo è trasporre il mondo tridimensionale su una superficie piatta''. Secondo Livingstone il suo lavoro ''spiega scientificamente le tecniche che gli artisti hanno usato in maniera intuitiva per secoli''.

E sempre di recente due ricercatrici, americane anche sta volta, sono riuscite a svelare cosa si cela dietro alla misteriosa e ''meravigliosa brillantezza'' dei colori di Lorenzo Lotto, del Tintoretto e di tutti gli altri grandi coloristi veneziani del Cinquecento.
Soluzione di un giallo che a dire la verità  era stato da sempre davanti agli occhi di tutti.
Per oltre quattro secoli esperti e critici d'arte hanno brancolato nel buio, davanti all'ineguagliabile e ''magica'' ''Cristo sul mare di Galilea'' Tintorettobrillantezza di quelle tele. In realtà questi ineguagliabili artisti utilizzavano sì la magia, sotto forma di ''polvere incantata'', che per dirla tutta tanto magica non era: infatti la brillantezza dei  loro colori era dovuta all'utilizzo della polvere di vetro, sapientemente mischiata ai colori nella tavolozza.
Il ''trucco'' è stato smascherato da due ricercatrici della National Gallery of Art di Washington, Barbara H. Berrie e Louisa Matthew, analizzando con un microscopio digitale a raggi x la ''Santa Caterina'' (1522) di Lorenzo Lotto. Nel rosso scintillante di quella veste sono presenti migliaia di sfere di silicio, di un diametro variabile da 4 a 8 micron. La stessa polvere di vetro usata, allora come oggi, nei laboratori artigiani dell'isola di Murano.
Nei cinquant'anni successivi, questa tecnica viene ulteriormente raffinata dai pittori veneziani, la prova è nel capolavoro di Tintoretto ''Cristo sul mare di Galilea'' (1575/1580), anche questo finito sotto la lente delle ricercatrici americane. Per esaltare il celeste del mare e della tunica di Gesù, l'artista ha usato polvere di vetro colorata, con pigmenti verdi e gialli. E le scorie di bismuto, metallo rilevato ai raggi x, ci forniscono un particolare in più: quella polvere Tintoretto se l'era fatta mandare apposta dal Nord Europa, perché di quel tipo in Italia non se ne trovava, nemmeno a Venezia.

Un astuzia quella del Lotto e del Tintoretto certamente da non condannare, la sperimentazione di materiali nuovi per rendere nuova l'arte fa parte del genio dei grandi artisti di tutti i tempi, inoltre come ha ironicamente detto una delle due ''investigatrici'': ''In fondo, ci hanno dato una bella lezione: bisogna sempre guardare oltre le cose come appaiono, che poi non è altro che lo stesso principio alla base dell'arte e della ricerca scientifica''.

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30 agosto 2005
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