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Mai più bambini soldato

Più di 300.000 minori sono attualmente impegnati a combattere in conflitti che si svolgono in tutto il mondo

02 marzo 2007

''Un ragazzo tentò di scappare (dai ribelli), ma fu preso... Le sue mani furono legate, poi essi costrinsero noi, i nuovi prigionieri, a ucciderlo con un bastone. Io mi sentivo male. Conoscevo quel ragazzo da prima, eravamo dello stesso villaggio.
Io mi rifiutavo di ucciderlo ma essi mi dissero che mi avrebbero sparato.
Puntarono un fucile contro di me così io lo feci. Il ragazzo mi chiedeva: perché mi fai questo? Io rispondevo che non avevo scelta.
Dopo che lo uccidemmo essi ci fecero bagnare col suo sangue le braccia...
Ci dissero che noi dovevamo far questo così non avremmo avuto più paura della morte e non avremmo tentato di scappare...
Io sogno ancora il ragazzo del mio villaggio che ho ucciso.
Lo vedo nei miei sogni, egli mi parla e mi dice che l'ho ucciso per niente, e io grido.''

[dal sito www.bambinisoldato.it]

Più di 300.000 minori di 18 anni sono attualmente impegnati in conflitti nel mondo. Centinaia di migliaia hanno combattuto nell'ultimo decennio, alcuni negli eserciti governativi, altri nelle armate di opposizione. La maggioranza di questi hanno da 15 a 18 anni ma ci sono reclute anche di 10 anni e la tendenza che si nota è verso un abbassamento dell'età. Decine di migliaia corrono ancora il rischio di diventare soldati.
Il problema è più grave in Africa e in Asia, ma anche in America e Europa parecchi stati reclutano minori nelle loro forze armate.
Negli ultimi 10 anni è documentata la partecipazione a conflitti armati di bambini dai 10 ai 16 anni in 25 Paesi. Alcuni sono soldati a tutti gli effetti, altri sono usati come ''portatori'' di munizioni, vettovaglie ecc. e la loro vita non è meno dura e a rischio dei primi.
Alcuni sono regolarmente reclutati nelle forze armate del loro stato, altri fanno parte di armate di opposizione ai governi; in ambedue i casi sono esposti ai pericoli della battaglia e delle armi, trattati brutalmente e puniti in modo estremamente severo per gli errori. Una tentata diserzione può portare agli arresti e, in qualche caso, ad una esecuzione sommaria.

Lo scorso 5 febbraio a Parigi, per la prima volta cinquantotto Paesi si sono impegnati ad adottare misure per porre fine alla piaga dei bambini reclutati a forza come soldati nei conflitti armati.
Il documento, siglato al termine di una conferenza di due giorni dal titolo ''Liberiamo i bambini dalla guerra'', promossa dall'Unicef e dal governo francese, non ha valenza giuridica ma ''un forte valore politico e sociale'', come ha voluto sottolineare il ministro degli Esteri francese Philippe Douste-Blazy. ''Oggi per la prima volta gli Stati firmatari si sono impegnati solennemente ad applicare e rispettare i principi della lotta contro il reclutamento e l'impiego dei minori nei conflitti armati''.
Tra gli impegni sottoscritti, quello di lottare contro l'impunità e indagare e perseguire reclutatori e comandanti dei minori inseriti in gruppi armati o eserciti regolari. Per tutti questi reati non è ammessa alcuna amnistia. Il documento mette anche in evidenza come le bambine (che costituiscono il 40% del totale dei bambini soldato) siano le vittime più vulnerabili, perché sfruttate come combattenti al fronte ma anche a fini sessuali.

Tra i Paesi firmatari degli ''impegni di Parigi'' ci sono stati dieci dei dodici Paesi in cui l'Onu ha denunciato il ricorso ai bambini soldato, tra cui Sudan, Ciad, Somalia, Uganda, Repubblica democratica del Congo, Colombia e Sri Lanka. Gli altri due, Myanmar e Filippine, non hanno partecipato alla conferenza. Grandi assenti anche gli Stati Uniti. L'Italia è stata rappresentata dal viceministro degli Esteri Franco Danieli.

La conferenza di Parigi si è tenuta a dieci anni dall'adozione dei ''Principi di Città del Capo'', un primo codice di riferimento elaborato nel 1997 da Unicef e organizzazioni umanitarie per la protezione e il recupero dei bambini soldato, una conferenza che aveva mobilitato solo le organizzazioni non governative.
Ricordando proprio qull'incontro del 1997, il settimanale francese L'Express si è chiesto: ''I 'princìpi di Parigi' obbligheranno i paesi interessati a mettere fine al reclutamento dei minori? Dal 2001 i bambini soldato hanno beneficiato di programmi di smobilitazione e di reinserimento. Ma allo stadio attuale non si hanno dati precisi sul successo di questi tentativi''.
Il quotidiano di Barcellona La Vanguardia ha invece ricordato che il fenomeno dei bambini ha varie cause. ''Tuttavia è evidente che arruolarsi in un esercito può essere un modo per uscire dalla miseria o per rafforzare il senso di appartenenza a un gruppo''. Il giornale spagnolo ha ricordato anche la recente ammissione del ministro della difesa britannico, Adam Ingram, di aver inviato in Iraq quindici soldati minorenni: ''I bambini soldato sono un fenomeno drammatico contro cui bisogna combattere, ma è ancora più grave che gli eserciti professionali di alcuni paesi occidentali mandino in guerra ragazzi e ragazze adolescenti''.
Della stessa opinione l'editorialista di Libération Laurent Joffrin: ''Combattiamo pure contro gli eserciti di bambini del terzo mondo. Ma prima assicuriamoci che i nostri governi non abbiano sulla coscienza gli stessi crimini''.

Un bambino soldato su tre è una femmina
''Un giorno i ribelli hanno attaccato il villaggio in cui vivevo. Li ho visti uccidere i miei familiari, violentare mia madre e le mie sorelle. Ho pensato che entrando nell'esercito, sarei stata al sicuro. Invece sono stata picchiata e violentata a più riprese e a quattordici anni ho avuto un bambino''.
Questa è solo una delle terrificanti testimonianza che in questi giorni si sono potute ascoltare durante le sessioni della commissione Onu dedicata al coinvolgimento dei bambini, e in particolare di sesso femminile, nei conflitti armati.
Uno dei dati più inquietanti e sorprendenti del rapporto delle Nazioni Unite sui bambini soldato, ci dice che un bambino soldato su tre è una femmina. Solo per fare un esempio, in Etiopia si stima che le donne e le ragazze formino fra il 25 e il 30 per cento delle forze di opposizione armata.
''Le bambine sono spesso vittime di violenze fisiche, specialmente di carattere sessuale, anche perché si pensa non abbiano l'Aids'', dilagante in Africa, ha spiegato Radhika Coomaraswamy, responsabile dell'ufficio Onu sui bambini ed i conflitti armati.
''In Sierra Leone - ha raccontato la rappresentante del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon - ho parlato con bambine violentate dai ribelli, i padri imposti dei loro figli. Purtroppo queste violenze vengono date per scontate e spesso sono accettate''.
L'ufficio Onu sta infine preparando una serie di proposte perché chi commette delitti di questo tipo finisca automaticamente alla Corte penale internazionale (Cpi) dell'Aja.

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02 marzo 2007
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